Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La faida sunnita-sciita nelle lotte tra Libano e Siria Analisi di Guido Olimpio
Testata: Corriere della Sera Data: 03 giugno 2012 Pagina: 17 Autore: Guido Olimpio Titolo: «Dalla Siria al libano il contagio della Faida fra Sunniti e Sciiti»
Sul CORRIERE della SERA di oggi, 03/06/2012, a pag.17, con il titolo " Dalla Siria al libano il contagio della Faida fra Sunniti e Sciiti ", Guido Olimpio analizza lo scontro tra i due paesi partendo dalle lotte fra sunniti e sciiti .
WASHINGTON — Le guerre nel martoriato Libano sono spesso iniziate per un «incidente». Il conflitto civile venne innescato da una sparatoria su un bus il 13 aprile 1975. E per quasi 20 anni non si sono più fermati, trovando sempre un nuovo pretesto. Ecco perché i combattimenti a Tripoli, la più importante città nel nord, non vanno sottovalutati. Nelle ultime ore sono morte 9 persone, una quarantina i feriti. A incrociare kalashnikov e lanciagranate sono due quartieri. Rab el Tabbaneh è una roccaforte sunnita, gli abitanti odiano il regime siriano e i suoi alleati. A Jabal Mohsen, zona popolata dagli alauiti (come il dittatore Bashar Assad), tifano per Damasco. Settarismo e armi a volontà. Una battaglia che ha seguito altri scontri frenati dall'intervento — a fare da paciere — dell'esercito. Ma è stata solo una tregua. E molti osservatori avvertono: il Libano può essere risucchiato nella guerra siriana. Un contagio forse già avvenuto. Anche perché non mancano gli untori. Damasco ha sempre usato e considerato il Libano come il cortile di casa. Un posto dove poteva fare ciò che voleva. Il regime ha finanziato movimenti, sette, partitini, intrighi. La sponda più solida è quella degli sciiti, con l'Hezbollah in testa, legato alla Siria dall'ostilità contro Israele. Ma non ha interesse, per ora, a farsi coinvolgere. I siriani, allora, si sono «inventati» la milizia di turno: il partito del movimento arabo di Shakir Al Barjawi. Veterano delle faide degli anni 80, ha cambiato spesso casacca per poi riemergere al fianco di Bashar. E ne difende la bandiera. Sull'altra barricata le formazioni sunnite sostenute dai sauditi, dal Qatar e dalle forze politiche locali. Realtà nella quale tentano di inserirsi anche elementi radicali che pensano di imitare i qaedisti. Così avviene che nelle aree al confine con la Siria nascono piccoli campi d'addestramento per volontari che si uniscono agli insorti siriani. Movimenti che si sviluppano in parallelo al traffico di armi. L'ostilità tra i due schieramenti è segnata da agguati, scaramucce e anche rapimenti, alcuni dei quali oscuri. Compreso quello di una colonna di pellegrini sciiti libanesi avvenuto in Siria. È quell'area grigia dove tanti si possono mimetizzare. E chi diffida di Damasco ritiene che Assad potrebbe incendiare il Libano con obiettivi diversi: 1) Stroncare il network di supporto agli insorti. 2) Alleggerire la pressione interna. 3) Spaventare una diplomazia internazionale non troppo convinta della coesione dei ribelli. Vedete — sarebbe il messaggio — cosa succede ad appoggiare la rivolta? All'estero osservano con inquietudine ma restano concentrati su quanto avviene in Siria. L'inviato dell'Onu Kofi Annan ha messo in guardia: il Paese sta scivolando nella guerra civile. Un appello a una svolta vera sperando che Assad applichi il piano fissato dalle Nazioni Unite. Pochi si fanno illusioni. E il Qatar, da sempre capofila nel sostegno alle ribellioni regionali, è tornato a premere per iniziative più decise: il regime deve rispettare un preciso calendario e seguire il piano Onu. In caso contrario — secondo i qatarioti — l'Onu può autorizzare un intervento armato.
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