Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Inverno islamista, a che punto è in Egitto ? cronache di Redazione del Foglio, Redazione della Stampa, commento di Cecilia Zecchinelli
Testata:Il Foglio - La Stampa - Corriere della Sera Autore: Redazione del Foglio - Redazione della Stampa - Cecilia Zecchinelli Titolo: «Il candidato islamico: Un copto mio vice - L’antirivoluzionario Egitto va sul lettino psico-geopolitico di Doha - In Egitto il potere potrebbe restare nelle mani della giunta militare»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 30/05/2012, a pag. 3, l'articolo dal titolo " L’antirivoluzionario Egitto va sul lettino psico-geopolitico di Doha ". Dalla STAMPA, a pag. 22, la breve dal titolo " Il candidato islamico: «Un copto mio vice» ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 46, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo "In Egitto il potere potrebbe restare nelle mani della giunta militare" . Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - " L’antirivoluzionario Egitto va sul lettino psico-geopolitico di Doha"
Us-Islamic World Forum
Milano. La primavera araba è finita sul lettino della psicoanalisi geopolitica riunita a Doha per il summit organizzato dalla Brookings Institution, lo Us-Islamic World Forum. Quattro giorni di analisi e interventi, per capire dove andrà a finire la grande rivolta del mondo arabo che dal dicembre del 2010 sta cambiando un’intera regione. La domanda più sconcertante riguarda l’Egitto, l’esito elettorale che ha dimostrato cha piazza Tahrir, il fulcro della rivoluzione simbolo di lotta per molti altri paesi che hanno cercato di copiare la grande svolta egiziana, è stata dimenticata. Non c’è più. Com’è stato possibile? Neppure gli egiziani sanno darsi una spiegazione – o forse sarebbe meglio dire i cairoti – e bruciano il quartiere generale dell’ex premier del rais, Hosni Mubarak, quell’Ahmed Shafik che è uno dei due sfidanti del ballottaggio previsto per il 16 e 17 giugno in quota “feloul”, il termine con cui in Egitto indicano quel che resta del passato, del regime. L’avversario è l’ingegnere Mohammed Morsy, rappresentante dei Fratelli musulmani recuperato alla fine quando il primo candidato della Fratellanza è stato eliminato dalla corsa. L’ascesa di Morsy era prevedibile, per quanto ci siamo illusi che il “moderato” Farouk fuoriuscito dalla Fratellanza (ma era stato in galera con Zawahiri, nientemeno) potesse avere più consensi. Ma la presenza al ballottaggio di Shafik è quasi irriverente: non soltanto la società civile, i candidati spendibili in occidente à la Amr Moussa, sono scomparsi, ma s’è imposto l’ultimo primo ministro di Mubarak. Com’è possibile che un paese ristabilisca democraticamente un regime? Non c’era bisogno di andare fino a Doha per sapere che la rivoluzione di Tahrir è rimasta probabilmente nei pressi della piazza e che le grandi aree rurali sono rimaste legate a una cultura, a leader e a finanziamenti connessi all’ex regime. La rete clientelare creatasi in trent’anni di Mubarak non è finita con la cacciata del rais, soprattutto in quelle zone in cui si conosce solo il proprietario delle terre o i personaggi legati alla Fratellanza, che come si sa hanno una rete sul territorio di welfare di fatto molto attiva e capillare. La paura per l’ascesa islamista ha fatto il resto, assieme al grande terrore di tutto l’Egitto, che è quello del collasso economico. Come ha spiegato Fouad Ajami sul Wall Street Journal (la sua delusione si poteva leggere assieme alle parole), la stabilità è tutto per gli egiziani, perché garantisce soldi dall’estero e turismo, e per molti egiziani la stabilità significa regime. Sconcertato, a Doha, era ieri anche Hossam Bahgat, uno dei volti più noti (e più belli, cinguettavano le donne presenti al summit) della difesa dei diritti umani in Egitto che cercava di spiegare che un ritorno al passato così forte era davvero imprevedibile – e non c’è da prendersela con i copti che, per paura dell’avanzata islamista, hanno sostenuto l’unica alternativa credibile, cioè il regime. L’unico ad avere un tono molto gagliardo è stato il cofondatore di Ennahda, il partito degli islamisti di Tunisia che ha conquistato il potere dopo la caduta del regime, Rachid Ghannouchi. Ha parlato della transizione riuscita a Tunisi, del ruolo moderato del suo islamismo nella politica, della necessità di investimenti e del dibattito fuori luogo sul’imposizione della sharia. Le cose, nel sud della Tunisia, non vanno proprio bene su questo fronte – quello è il mondo dell’islamismo più duro – ma anche nella capitale in molti ambienti si registra ansia sul futuro e sulla capacità di questa nuova compagine di governo di concludere la transizione in modo da portare più benessere. Perché il punto di caduta è lì: gli stati falliti hanno bisogno dell’aiuto esterno, quindi è meglio non dover dipendere da fuori o al limite dotarsi di questuanti credibili. La Tunisia, per quanto in bilico su se stessa e sulla sua identità, ha scelto per ora la prima strada, e Ghannouchi l’ha ribadita con toni quasi paradossali: ma se il confronto è l’Egitto, l’Egitto uscito dalle ultime urne, è facile sembrare i primi della classe della primavera araba. Per di più, gli interlocutori erano pur sempre gli americani, invisi certo, ma ricchi.
La STAMPA - " Il candidato islamico: «Un copto mio vice» "
Mohamed Morsi
Un vice presidente copto o donna. Sono queste due delle possibilità annunciate ieri dal candidato alle presidenziali dei Fratelli Musulmani, Mohammed Mursi, il più votato tra tutti gli aspiranti successori di Hosni Mubarak al primo turno. L’esponente del Partito di Libertà e Giustizia ha annunciato che, in caso di vittoria, formerà una coalizione di governo non necessariamente guidata dalla Confraternita. Mursi ha quindi promesso la formazione di una Assemblea Costituente bilanciata, con esponenti di tutte le forze politiche, per redigere la nuova Costituzione. Il ballottaggio si terrà i prossimi 15 e 16 giugno e vedrà Mursi sfidare l’ex premier Ahmed Shafik.
CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " In Egitto il potere potrebbe restare nelle mani della giunta militare "
Ahmed Shafiq
C'è un grande e giustificato allarme, all'estero come in Egitto, per la vittoria al primo turno delle presidenziali del Fratello Musulmano Mohammed Morsi. C'è forse un meno esteso ma sempre motivato timore per la qualificazione al ballottaggio dell'ultimo premier di Mubarak, Ahmed Shafiq. Ma c'è stato e c'è un grande assente nella più parte dei commenti e delle dichiarazioni, perfino da parte dei 12 candidati a raìs di cui dieci sono ormai fuori gioco. Il Grande Fratello, il Convitato di pietra, chiamatelo come volete. È la Giunta dei 20 Generali guidati dal maresciallo Tantawi che dall'11 febbraio 2011 ha il quasi assoluto potere in Egitto. Silenziosi e discreti, questi militari controllano un'impressionante fetta dell'economia nazionale, fino al 40% qualcuno stima. Manipolano i governi da 15 mesi, s'impongono al Parlamento a maggioranza islamica eletto in autunno. Ritardano una nuova Costituzione che fissi tra l'altro i poteri del presidente, che il 16 giugno verrà eletto senza che ancora nessuno sappia che ruolo avrà. In Egitto qualcuno pensa che dipenderà da chi vince: se Morsi dovesse imporsi, i Generali saranno ancora meno propensi a permettere che il presidente abbia veri poteri. Altri sostengono che la Giunta mai lascerà il Paese a un Fratello e il successo di Shafiq è scontato, magari con brogli. E pochi credono che si faranno davvero da parte in luglio come hanno promesso. Ma sono congetture, perché i Generali quasi non parlano e di loro quasi non si parla, nemmeno per dire che in fondo sono stati (anche) loro ad affossare Mubarak, schierandosi almeno all'inizio con la Rivoluzione. Proprio il deposto raìs tra pochi giorni tornerà protagonista: il 2 giugno è atteso il verdetto nel processo che lo vede imputato per corruzione e complicità nella morte di centinaia di manifestanti. In teoria rischia la pena di morte, ma a parte che pare non esistano prove, è prevedibile che Tantawi non tradirà fino in fondo il vecchio ex raìs-generale. Una sentenza di parziale condanna per lui, una vittoria non eccessiva per Shafiq, una Costituzione con qualche concessione alla rivoluzione, e un sostanziale mantenimento del loro potere: probabilmente è questo il piano dei Generali. Senza clamore, potrebbero riuscirci.
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