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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Stampa Rassegna Stampa
30.05.2012 Espulsi dai Paesi europei tutti gli ambasciatori della Siria
commento di Redazione del Foglio, cronaca di Francesca Paci

Testata:Il Foglio - La Stampa
Autore: Redazione del Foglio - Francesca Paci
Titolo: «Che fare con il regime di Damasco - Siria, Ue e Usa espellono gli ambasciatori»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 30/05/2012, a pag. 3, l'editoriale dal titolo "Che fare con il regime di Damasco " . Dalla STAMPA,  a pag. 22, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Siria, Ue e Usa espellono gli ambasciatori ".
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - "  Che fare con il regime di Damasco"


Il massacro di Hula

Un’esecuzione. Quella di Houla, dice l’ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu, è stata un’esecuzione. Quasi cento morti, molti bambini, moltissimi ragazzini, uccisi nelle loro case, uccisi contro un muro, trascinati nei cortili e uccisi. Uno via l’altro, in varie parti della cittadina nella provincia di Homs, in Siria. I singhiozzi del padre con il cadavere del figlio in braccio hanno sollevato il velo dell’ipocrisia dell’occidente, umanitario a seconda dei casi, attento agli interessi in gioco, in tempo di crisi poi. Quelle file di sacchi chiusi, piccoli e piccolissimi, sono il “tipping point”, dicono commentatori e leader politici: non si può tollerare oltre. E allora ieri molti paesi occidentali – compresa l’Italia – hanno espulso i diplomatici siriani. E allora il neo presidente francese, François Hollande, ha denunciato la “follia assassina” del regime di Damasco e assieme all’inglese Cameron ha convocato “Gli amici della Siria” a Parigi, non si sa bene per quale data. E allora il filosofo umanitario Bernard-Henri Lévy ha chiesto a Hollande se ha intenzione di fare sul serio, come si è fatto in Libia con il suo predecessore Sarkozy (predecessore molto entusiasta della campagna libica che pure ha assistito a un anno di carneficine in Siria senza fare nulla); e Hollande ieri, sul tema, è stato piuttosto chiaro, sostenendo che non si può escludere un intervento militare se ci fosse il via libera del Consiglio di sicurezza dell’Onu. E allora i russi si sono agitati, ché Damasco è affare loro, e hanno chiesto all’Onu un’inchiesta sul massacro di Houla, un’inchiesta che guardi anche alle responsabilità dei ribelli, perché anche loro hanno le loro colpe. E allora Kofi Annan, inviato dell’Onu e della Lega araba in Siria, ha parlato “francamente” al rais Bashar el Assad, occhi negli occhi gli ha detto: rispetta il mio piano di pace! Rispetta quei sei punti che da marzo tengono sospesa la diplomazia internazionale, quei sei punti che chiedono il cessate il fuoco e che sono stati accettati dalle parti con cortesia, e poi disattesi. Annan “ha portato il suo punto di vista in termini molto franchi davanti al presidente Assad – ha detto il portavoce dell’ex segretario generale dell’Onu – Gli ha detto che il piano in sei punti non può funzionare senza passi decisi per fermare la violenza e rilasciare i detenuti, e ha stressato l’importanza di una completa implementazione del piano”. Questa concertazione è l’azione più importante e coordinata che è stata fatta contro il regime siriano, assieme a varie risoluzioni di condanna e a molte sanzioni che però non riescono a rinsecchire Damasco. Intanto sono morte 13 mila persone, molte città sono sotto assedio, Teheran manda truppe (l’Iran non ha vincoli multilaterali, si sa) “per mantenere la calma”. E aspettando il “tourning point” il Wall Street Journal, mai molto tenero con l’attendismo internazionale, dice che questa è la “Srebrenica di Siria”.

La STAMPA - Francesca Paci : " Siria, Ue e Usa espellono gli ambasciatori"


Bashar al Assad

I morti di Hula segneranno il punto di non ritorno nello scontro tra regime siriano e opposizione, come la strage di My Lai lo divenne per la guerra del Vietnam? Di certo ieri 11 Paesi occidentali, tra cui l’Italia, hanno espulso i diplomatici siriani ritenuti ormai «persone non grate». Poche ore prima, l’Onu e associazioni umanitarie come Human Rights Watch avevano confermato che gran parte delle 108 vittime, tra cui 49 bambini, avevano subito esecuzioni sommarie casa per casa.

«Per gli uccisi da armi pesanti è chiaro che la responsabilità ricade sul governo di Damasco, gli altri, morti a causa di armi bianche, potrebbero essere attribuiti agli shabiha, le milizie locali fedeli a Bashar Assad» spiega il capo delle operazioni di pace delle Nazioni Unite Hervé Ladsous al Palazzo di Vetro, dove si discute l’aumento del numero di osservatori. Il condizionale è d’obbligo mentre il presidente siriano accusa i «terroristi» e subordina la riuscita del piano Annan alla «fine del traffico di armi» destinato ai ribelli.

Nelle ultime ore però l’umore internazionale è mutato. Francia e Regno Unito guidano il fronte dei falchi insieme alla Turchia, da dove il premier Erdogan avverte che la pazienza del mondo «ha un limite». Sebbene nessuno violi ancora il tabù del coinvolgimento militare, da Londra a Washington si accenna ormai senza remore dell’ipotesi di armare l’opposizione (come pare stiano già facendo i Paesi del Golfo). E mentre «la soluzione yemenita» viene superata dagli eventi (difficile a questo punto defenestrare Assad affidando la transizione al resto del regime alawita), i Fratelli Musulmani egiziani chiedono l’intervento militare scavalcando l’esitante Lega Araba.

«Il piano di pace è morto nel momento in cui la strage di Hula è avvenuta a pochi km dalla postazione degli osservatori Onu a Homs», afferma l’attivista Omar su Skype. Kofi Annan, che ieri ha incontrato il presidente siriano raccomandandogli di «agire subito per fermare le violenze», sembra consapevole che, sebbene caldeggiato ancora dal Consiglio d’Europa, il suo piano di pace sia una sorta di foglia di fico a copertura dell’irriducibile avversità di Mosca al cambio di regime. Delle 11 mila vittime accertate dall’inizio della rivolta (almeno 32 ieri), 1300 sono state uccise dopo il 14 aprile, data d’avvio della missione Onu.

Assad può contare ancora su Russia e Iran (l’amicizia cinese ha preso a scricchiolare dopo Hula). Ma mentre Teheran non nega la presenza di proprie milizie in Siria (sostenendo che limitano il numero dei morti), Putin, glissa sulle forniture di armi russe a Damasco, e cerca una via d’uscita distribuendo le responsabilità della guerra civile siriana tra governo e opposizione. Niente di nuovo, insomma. Eppure, più d’un analista nota un certo lieve ammorbidimento di Mosca, indisponibile a una soluzione che la tagli fuori umiliandola (come nel caso della Nato in Libia) ma consapevole di non poter difendere ancora a lungo il cliente alawita.

Il caso siriano, diverso da quelli libico e yemenita non fosse altro che per il confine condiviso con Israele (che, taciturno finora per paura del post Assad, denuncia adesso i crimini del regime), è complicato anche dalla complessità dell’opposizione, divisa non solo politicamente ma anche tatticamente tra chi vuole restare a mani nude, chi chiede un intervento stile Nato e chi vorrebbe far da solo con armi fornite dall’esterno (il Libero Esercito Siriano ha giurato vendetta per Hula). La novità è la serrata dei commercianti di Damasco a lutto per Hula: la resistenza della maggioranza silenziosa dei siriani al salto nel vuoto cadrà prima di quella russa?

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