Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 26/05/2012, a pag. 1-4, l'articolo di Carlo Panella dal titolo "Ribelli che litigano". Da REPUBBLICA, a pag. 20, l'articolo di Alberto Stabile dal titolo " Avvelenati i gerarchi del regime siriano. Giallo sull´attentato nel bunker di Assad ".
Il FOGLIO - Carlo Panella : "Ribelli che litigano"

Carlo Panella
Roma. Le manifestazioni di ieri a Damasco, Aleppo e a Deraa, con i loro 9 morti, dopo le centinaia di morti da quando è iniziata a marzo la “tregua” auspicata da Kofi Annan, dimostrano che la rivoluzione siriana iniziata nel marzo del 2011 continua a svilupparsi nonostante i 14 mesi di repressione militare inaudita e i 14 mila caduti e nonostante la caduta del regime appaia tutt’altro che imminente. Il fatto strano, da notare, è che la rivoluzione siriana continua a svilupparsi dal basso, nonostante sia acefala, priva di un leader carismatico e addirittura di un gruppo dirigente affidabile. La spaccatura deflagrata in questi giorni nel Comitato nazionale siriano che ha portato alle dimissioni del segretario Burhan Ghalioun è sintomo di un’organizzazione scarsamente radicata nel paese che è afflitta dalle logiche correntizie tipiche delle organizzazioni di esuli. Il tutto è aggravato dai riflessi di un fortissimo intervento militare nella crisi siriana da parte del Qatar, dell’Arabia Saudita, di partiti libanesi e della Turchia. Commandos di questi paesi infiltrati in Siria, da mesi, appoggiano le azioni militari dei disertori, forniscono la copertura di telecomunicazioni (la Turchia), forze speciali (il Qatar), copertura finanziaria (Arabia Saudita) e supporto logistico e “santuari” a ridosso del confine (Turchia e forze vicine a Saad Hariri in Libano). Specularmente, l’Iran aiuta con i suoi pasdaran l’indispensabile alleato di Damasco. La Siria è dunque oggetto di un pesante intervento militare unilaterale arabo- turco – mentre la logica del multilateralismo paralizza Nazioni Unite, Nato e Unione europa – che comunque non è in grado, come riuscì in Libia, di rovesciare le sorti del conflitto. L’intervento unilaterale ha i suoi riflessi su un Consiglio nazionale siriano in cui sinora il professore esule a Parigi, Burham Ghalioun, ha garantito l’equilibrio tra i progetti di Qatar, Arabia Saudita e Turchia. Proprio questo suo ruolo di “procuratore” di stati esteri che però non sono riusciti a “dare la spallata” al regime di Damasco mette oggi in crisi la leadership di Ghalioun, insidiata dal cristiano laico George Sabra che tenta di emarginare nel Cns, con Ghalioun, anche i Fratelli Musulmani, appoggiati da Qatar e Arabia Saudita. A giugno si vedrà se la crisi del Cns si ricomporrà, ma sarà comunque un elemento marginale della situazione siriana perché non è vero – come sostengono analisti e media – che la motivazione della reticenza della comunità internazionale ad affrontare di petto la crisi siriana è dovuta alle divisioni interne dell’opposizione. Nemmeno la complicità nei confronti di Damasco di Russia e Cina, che all’Onu bloccano tutte le risoluzioni sulla Siria, è sufficiente a spiegare l’inerzia di Stati Uniti, Nato e Ue. La vera spiegazione dell’impasse è altrove: Stati Uniti, Nato e Ue non hanno idea di come affrontare una rivoluzione araba. Non hanno dottrina, idee, interlocutori per sviluppare un intervento in un contesto rivoluzionario arabo. In Siria non hanno come interlocutori quei generali, complici del regime, che tradirono il loro stesso raìs e che furono determinanti nel successo delle rivolte in Tunisia, Egitto, Yemen e Libia. In Siria è in atto una rivoluzione di poveri contro i ricchi, iniziata dai contadini affamati dalla siccità e inurbati nella provincia di Deraa che continua a darle vita. Ai contadini poveri si sono uniti poi gli emarginati, e poveri anche loro, di tutta la grande provincia siriana e della periferia popolare di Damasco, Homs, Hama, Latakia, Deir Ezzor e Aleppo, i curdi e le migliaia di disertori delle Forze Armate. Nulla a che vedere con le rivolte tunisine e siriane che vedevano la jeunesse dorée accorrere a place Bourghiba o a piazza Tharir nell’inverno 2011. Controprova del carattere rivoluzionario del movimento siriano è la tenuta della élite da cui il Baath continua a ricevere un consenso che ha evitato quella rapida spaccatura nel vertice dello stato che ha caratterizzato le rivolte in Tunisia, Egitto, Libia e Yemen. Non solo gli alauiti, non solo l’intera classe imprenditoriale dominata da sunniti benestanti, ma anche i cristiani (gerarchie religiose in testa), continuano a non abbandonare Hafez al Assad, anche se spesso sono tentati da un prudente doppio gioco con i ribelli. Ma ora questa inarrestabile e acefala rivoluzione siriana contagia il Libano e terremota così l’intero scenario mediorientale, mentre nessuno in occidente, a partire dall’inquilino della Casa Bianca, ha idea di come e dove mettervi le mani e delega così agli alleati nell’area la gestione dello scottante dossier.
La REPUBBLICA - Alberto Stabile : " Avvelenati i gerarchi del regime siriano. Giallo sull´attentato nel bunker di Assad "

Bashar al Assad
BEIRUT - Il tempo: sabato 21 maggio, al tramonto. Il luogo: il bunker della Difesa, a Damasco, dove ogni giorno si riunisce l´unità di crisi per fare il punto sulla situazione nel paese. I protagonisti: i componenti di questa sorta di consiglio di guerra quotidiano composto dal potente ex capo dell´intelligence militare e cognato del presidente Assad, Assef Shawkat, dai ministri della Difesa, Daud Rajha, e dell´Interno, Mohamed al Sahar, dal capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Hisham Baktjar, dal segretario del partito Baath, Mohammed Said Makhtian e da Hassan Turkmani, braccio destro del vicepresidente, Faruk al Sharaa. In pratica, il fior fiore del regime, più uno: una sconosciuta guardia del corpo. La talpa che l´opposizione armata sarebbe riuscita a piazzare nel cuore del potere con un compito letale: eliminare il vertice della piramide con un avvelenamento di gruppo.
Come sceneggiatura di un diabolico complotto ai danni del regime siriano è certamente ben studiata. Non a caso, domenica 22 maggio, il racconto di questa "missione impossibile", anticipato su You Tube da una fonte che s´è detta appartenente al Libero Esercito Siriano, ha fatto il giro delle redazioni, finendo poi per essere trasmesso da Al Jazeera e da Al Arabiya. Ma c´è un particolare: la notizia è stata smentita, giovedì, dal ministero degli Esteri di Damasco con un "post" del portavoce Jihad Makdissi su Facebook. Si tratterebbe di un episodio, l´ennesimo, di disinformazione propagata ad arte per gettare discredito sul nemico, una tattica di cui le due parti in conflitto si sono ampiamente servite dall´inizio della rivolta.
Il lettore può facilmente immaginare il seguito della storia. L´agente infiltrato riesce a portare a termine il suo piano. Quindici gocce di un potentissimo veleno «inodore, insapore e incolore» vengono iniettati in un arrosto ordinato per la cena dei potenti. L´effetto è devastante, ma non immediatamente mortale. Le vittime vengono trasportate di fretta e furia all´ospedale. Qualcuno viene salvato per miracolo, qualcun altro soccombe. Il misterioso avvelenatore viene condotto dai complici fuori dal paese (e questo è francamente incredibile). Ma tant´è.
Ben prima che Makdissi rendesse nota la sua smentita, alcuni degli "avvelenati" si sono presentati davanti alla Tv per dimostrare che erano vivi e vegeti. Di tutti s´è saputo qualcosa, tranne che del generale Assef Shawkat, il cognato di Assad, persona di per se schiva e ombrosa, che forse era l´obbiettivo principale della "disinformazia".
Non è la prima volta che fonti dell´opposizione danno Shawkat per morto. L´interesse dell´opposizione è evidente: Shawkat non è soltanto un gerarca ad altissimo livello è anche un componente della famiglia presidenziale. Colpire lui vorrebbe dire che per i ribelli non ci sono obbiettivi invulnerabili.
Ma la notizia non fa molta strada. Il New York Times la riprende con tutti i condizionali del caso. La stampa libanese, che ben conosce Shawkat essendo stato il generale coinvolto nella prima fase delle indagini sull´uccisione dell´ex premier Rafik Hariri, ne accenna di sfuggita. Soltanto il sito del giornale israeliano Haaretz dà rilievo alla storia, affermando che, nonostante le smentite siriane, Israele avrebbe informazioni «affidabili» secondo cui un tentativo di avvelenare alcuni alti gradi del regime è stato compiuto alcuni giorni fa. «Ma il tentativo è fallito - avrebbe detto una fonte ben informata al giornale - e quelli che erano alla riunione sono ancora vivi». Shawkat compreso.
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