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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Libero Rassegna Stampa
16.05.2012 Tunisia, Libia, Algeria: con l'inverno arabo gli islamisti al potere
impossibile crede ancora alla favola della 'primavera'. Cronache di Antonella Rampino, redazione della Stampa. Commento di Souad Sbai

Testata:La Stampa - Libero
Autore: Antonella Rampino - Souad Sbai - Redazione della Stampa
Titolo: «In Algeria gli islamisti sono già nelle istituzioni»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 16/05/2012, a pag. 19, l'articolo di Antonella Rampino dal titolo "  Tunisia, la rivoluzione ora cerca una sponda", la breve dal titolo "   Libia,Belhaj si candiderà alle prossime elezioni". Da LIBERO, a pag. 18, l'articolo di Souad Sbai dal titolo " In Algeria gli islamisti sono già nelle istituzioni" .

Il pezzo di Antonella Rampino è troppo roseo nella sua descrizione della situazione in Tunisia e sulla 'primavera' araba. Per meglio capire la situazione, consigliamo la lettura della breve della Stampa e del pezzo di Souad Sbai che pubblichiamo in questa stessa pagina. La breve riporta la candidatura di un ex di al Qaeda alle elezioni in Libia, il pezzo di Sbai, invece, racconta di come, in Algeria, gli islamisti continuino a mantenere il potere senza che l'Occidente se ne accorga.
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Antonella Rampino : " Tunisia, la rivoluzione ora cerca una sponda "


Rached Ghannouchi, leader di Ennahda

Siamo nella seconda fase del secondo periodo della transizione democratica, quella che dovrà dare solennemente e definitivamente il via alle nuove istituzioni della Seconda Repubblica... ». Hassine Bouazra, abituato a scuotere la politica tunisina dalle colonne del quotidiano Les Temps, riassume in una battuta l’impasse in cui versano gli esiti della rivoluzione dei gelsomini. C’è una crisi economica da sfracello, 800mila disoccupati, ma il Paese - la classe dirigente soprattutto - si appassiona a quello che sa di futuro: la politica, l’Islam politico, le riforme da fare al più presto. C’è stata una rivoluzione, per quanto arancione, e i giornali non parlano d’altro. Fare presto, che il presidente della Costituente Jaafar elimini le contraddizioni, fissare davvero la data delle elezioni, e soprattutto preparare una nuova legge elettorale... Intanto, a Tunisi, c’è un partito a congresso e a rischio scissione, il Cpr - di centrosinistra, una forza che esprime il 14,5 per cento del Parlamento e il presidente della Repubblica Marzouki - e su un tema non di secondo piano: il segretario,Mohamed Abbou, è contemporaneamente anche ministro. E questo si teme apra la strada alla partitocrazia... Nulla di nuovo sotto il sole del Mediterraneo. E, fuor d’ironia, è anche per le straordinarie «similitudini» che in tutti i contatti di questi mesi, intensissimi, i tunisini a comimciare dal premier Jebali hanno raccontato il richiamo «ai valori comuni» delle due sponde del Mediterraneo. Ma, nel cuore delle primavere arabe cui proprio lei ha dato il via, quella della Tunisia è una storia a parte. Una «success story» l’hanno chiamata all’ultimo gruppo di contatto transatlantico sulle primavere arabe, il 7 maggio scorso alla Farnesina. Forse è un po’ troppo, ma certo in Egitto e in Marocco è in corso un processo di islamizzazione, al Cairo le recenti legislative hanno consegnato il parlamento alla fratellanza islamica e ai salafiti, estremisti anche in versione tecnocratica, e a Rabat come a Tripoli la nuova Costituzione tenta di imporre la sharia, la legge islamica come fondamento dello stato di diritto. A Tunisi non sarà così. C’è stato certo un lungo dibattito alla Costituente sulla «questione identitaria » e dunque sulla sharia, un dibattito subito sceso in piazza, con le violenze dei gruppi - minoritari - di salafiti. Ma gli islamici moderati di Ennahda, il partito che controlla 89 dei 217 seggi del parlamento ed esprime il premier Jebali, si sono schierati a tutela della laicità dello Stato. Nella Costituzione ci sarà solo l’Islam come religione di Stato. In questo scenario, la visita di oggi a Tunisi di GiorgioNapolitano, che vedrà tutti i protagonisti istituzionali, ha un segno chiarissimo. Non si tratta - solo - dell’interesse nazionale, di quelle 700 imprese italiane che operano in Tunisia, moltissime nel turismo che è stato duramente messo in crisi dalla caduta di Ben Ali. Si tratta di suggellare rapporti bilaterali indispensabili alla stabilità della Tunisia e dell’intera regione. Crediti di aiuto alla cooperazione per 200 milioni di euro, un nuovo rapporto in tema di immigrazione per il quale, nel controllo dei flussi, l’Italia accetterà di importare piccole quote di giovani qualificati. Il presidente Marzouki, che raccontano di forte leadership, parlerà a Napolitano del suo «pallino», attrarre investimenti stranieri. L’Italia, che con Terzi a Tunisi firmerà un partenariato strategico con incontri bilaterali a cadenza fissa che precede di poco il grande forum che si terrà a Tunisi, il 5 giugno, indetto dall’Unione, punta a farla diventare un modello per tutto il Maghreb.Non potendo far affluire massicce dosi di capitali come fa il Qatar, l’Italia punta su un ruolo di influenza geopolitica. Esportando la fiducia nella democrazia.

La STAMPA - "  Libia,Belhaj si candiderà alle prossime elezioni"


Abdelhakim Belhaj, già fra i reclusi a Guantanamo

Abdelhakim Belhaj, ex jihadista ed ex detenuto a Guantanamo, diventato comandante militare a Tripoli dopo la caduta di Gheddafi, ha annunciato ieri la sua candidatura alle elezioni di giugno. «È tempo di entrare in politica», ha dichiarato Belhaj, precisando che lancerà un suo partito. «Credo che sia giunto il momento che le istituzioni dello Stato entrino in scena », ha aggiunto, precisando che il Consiglio militare di Tripoli non sarà disciolto. Belhaj ha recentemente accusato l’ex governo britannico di Tony Blair di aver favorito le torture subite durante la detenzione.

LIBERO - Souad Sbai : " In Algeria gli islamisti sono già nelle istituzioni "


Souad Sbai

L’Algeria è andata al voto. In silenzio. Un silenzio che tutta la Comunità Internazionale che pure ha voluto inviare degli osservatori, ha tacitamente imposto. Delresto, da decenni ilbuioimpone ilsuo ordine del giorno su Algeri, e nessuno si è mai sognato di infrangerlo. Nessuno si è sognato in questi anni di buio di dire la verità sull’Algeria e nemmeno queste elezioni hanno riportato la luce su una terra che ha vissuto massacri immondi. Con il silenzio assenso dell’Occidente tutto. Il voto ha segnato, senza dubbio, una battuta d’arresto nei numeri delle forze radicaliste, che credevano di eguagliare se non superare i risultati ottenuti in Tunisia, Egitto e Marocco, ma così non è stato. Il Fronte di Liberazione Nazionale del Presidente Bouteflika ha infatti raggiunto 288 seggi su 462 totali in Parlamento, mentre il Rassemblement National Democratique ne ha ottenuti la ragguardevole cifra di 68. I partiti di ispirazione islamista raggiungono la quota di 44 seggi, ovvero briciole, che non serviranno ad altro se non a fare un po’ di baccano. Ma attenzione, perché le cifre possono ingannare, soprattutto se parliamo di Algeria. In primis occorre ricordare che nel processo di “pacificazio - ne” del 1998, Bouteflika ha stipulato un accordo con gli islamisti, che si sono impegnati a non insanguinare più il Paese ma a patto di essere inseriti nei gangli vitali della società e della politica. Quindi, voto o meno,il radicalismo è nei fatti dell’Alge - ria, non necessita di deputati o di rappresentanti ulteriori. Secondo punto, l’asten - sionismo. O meglio, l’ammutinamento. In Algeria a questa ultima tornata elettorale si sono presentati al seggio meno del 50% degli elettori, con punte clamorose del 20% come Tizi Ouzu. Per non parlare del 31% che ha votato ad Algeri, simbolo dell’andamento politico e sociale del Paese, in cui la sterminata periferia algerina è lo specchio del disagio della popolazione. Insomma, un voto non rappresentativo di un popolo, ormai sotto sequestro della dittatura e degli estremisti, che forse avrebbe preferito spazzare via anche la presente classe di governo, Bouteflika in testa. La cui sorte non dovrebbe essere quella del padre buono dell’Algeria, bensì quella del responsabile del massacro dell’Algeria per vent’anni, ma mai nessuno si è preoccupato di fargli presente un mandato di comparizione al Tribunale dell’Aja. Cosa è cambiato in Algeria dopo il voto? Nulla, se non fosse che la débâcle dei partiti islamisti non ha portato al loro sdoganamento come è accaduto nel restante pezzo di Nordafrica, attendendo una Libia in cui il voto non è possibile perché la guerra, che il deposto Sarkozy credeva di aver vinto, ancora si combattea manoarmata. Ma anche lì il sostrato che verrà alla luce non sarà granché diverso e di Libia in Europaparla solo il Ministro Terzi, cheha ben compreso quale pericolo arrivi da quelle terre. La primavera islamista, la primavera del buio avrebbe subìto proprio ad Algeri una battuta d’arresto laddove pareva più semplice andare a vincere,ma anche dove Bouteflika ha istituzionalizzato gli ex sanguinari di Hassi Messaoud, Lakhdaria, Bentalha, Orano e chissà dove ancora. Non v’è alcun dubbio che la marea verde non ha più la forza di imporsi come ha fatto per un anno dai fatti di Sidi Bouzid. Ma il radicalismo di matrice islamica che ha conquistato senza battere ciglio tutto il Nordafrica non pensava certo di sbaragliare Bouteflika, con cui mangia allo stesso tavolo da 14 anni, bensì di avere un peso specifico maggiore. Quel che è certo è cha la condizione di uomini e donne moderati e silenziosi non migliorerà e l’Algeria rimarrà nell’ombra. Assieme alla verità sui massacri, sulle violenze del Fis e dell’esercito, sul patto scandaloso fra governo e fondamentalisti, e su quelle centinaia di fosse comuni in cui giacciono donne e uomini sgozzati dalla violenza di una guerra che l’Occidente ha avallato, da sempre, a occhi chiusi.

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