Il mondo libero David Bezmozgis Traduzione di Corrado Piazzetta Guanda Euro 18,50
Una nuova tendenza letteraria sta conquistando il favore dei lettori italiani. Sono storie di emigrazione dalla Russia sovietica, in parte autobiografiche, che narrano le vicende di famiglie ebree alla ricerca del tanto agognato mondo libero, lontano dalle ristrettezze economiche e dalla repressione del comunismo con lo sguardo rivolto a quel sogno chiamato “Occidente”. E’ un percorso immigratorio denso di ostacoli, umiliazioni, imprevisti, quello intrapreso dai personaggi dei romanzi di Boris Zaidman, Vladimir Vertlib e David Bezmozgis verso la Terra Promessa oppure verso un Paese qualsiasi disposto ad accogliere l’ebreo errante che non ha rinunciato ad essere un uomo libero, nonostante la mancanza di certezze per il futuro e il forte senso di estraneità che lo coglie all’arrivo nel nuovo mondo. Dopo lo straordinario successo della sua prima opera, un racconto a episodi intitolato Natasha (Guanda), David Bezmozgis conferma il suo notevole talento con il romanzo “Il mondo libero” mirabilmente tradotto da Corrado Piazzetta. Considerato dal New Yorker uno dei venti migliori scrittori americani under 40, l’autore nato in Lettonia a Riga nel 1973, è arrivato a Toronto con la sua famiglia all’età di cinque anni e nel bel libro Natasha ha raccontato la sua adolescenza nella nuova terra. L’ultimo romanzo dello scrittore lettone è ambientato a Roma nel 1978, una città che “può pretendere di far parte dell’Europa soltanto da un punto di vista geografico” e dove in una soffocante calura approda la famiglia Krasnanskij al completo. Dopo essere transitata per Vienna la famiglia lettone, carica di bagagli e borse contenenti ogni sorta di ammennicoli sovietici da rivendere, si ferma a Roma in attesa di partire per l’America e qui fin dai primi giorni sfuma il sogno americano. La nuova meta è il Canada, un paese scelto in pochi minuti per via del clima rigido che ricorda la patria abbandonata. In attesa del visto è a Roma che i Krasnanskij si arrabattano a vivere, loro malgrado, per cinque mesi e sullo sfondo di una città caotica e divisa si declinano le vicende bizzarre dei protagonisti, in una commedia umana priva di pathos eroico ma arricchita dai continui flash back del patriarca Samuil in una terra e in un’epoca ormai lontane. I personaggi di Bezmozgis, raccontati con lieve ironia, sono uomini e donne infelici, disillusi, ebrei alla ricerca di una fede e di una tradizione non coltivata, in un cammino che fin dai primi passi si rivela segnato dall’irrimediabile perdita di affetti e di una quotidianità passata che, bel bene e nel male, dava il ritmo alle loro esistenze. Samuil, il patriarca, è una figura indimenticabile. Espressione del rammarico e della rabbia è un orgoglioso cittadino sovietico che per seguire i figli ha abbandonato il socialismo e i privilegi di uomo di partito per ritrovarsi a soli 65 anni umiliato da funzionari irrispettosi e da una burocrazia che non riconosce il valore dell’essere umano. La sua vita è ritratta con immagini forti e racconta, senza nulla concedere al sentimento, della perdita dei genitori, del fratello Reuven (di cui conserva gelosamente le lettere) e degli zii assassinati nei pogrom o dai nazisti. I figli che non capiscono il rifiuto del padre verso il nuovo mondo sono assai diversi l’uno dall’altro: Karl, pragmatico e padre di famiglia, desidera godere in fretta dei benefici del capitalismo mentre Alec, un giovane di 27 anni, immaturo e vanesio, consapevole del suo fascino maschile, guarda al mondo con mente leggera attraverso le seduzioni femminili da cui si lascia irretire. Le donne che costellano il romanzo sono ritratte con grande maestria e un’accurata indagine psicologica: Rosa, moglie di Kark, è impregnata di idee sioniste e anela a raggiungere il resto della sua famiglia in Israele; Emma, la moglie di Samuil, solo apparentemente figura di secondo piano, rivela un animo generoso e una forza d’animo non comuni, Polina l’unica non ebrea, è la figura più interessante ed enigmatica del romanzo per quell’aura di solitudine che la pervade e per il continuo scandaglio introspettivo che la porta ad interrogarsi incessantemente sugli errori e le decisioni prese in un passato così vicino ma che appare ormai irraggiungibile. In una continua contrapposizione tra le vicende, sia lecite che illecite, che coinvolgono i Krasnanskij a Roma e i ricordi del nostalgico Samuil sulla sua giovinezza nel paese natio di Rogozna, dove miseria e sofferenza si mescolano al desiderio di riscatto, si snoda l’affascinante racconto dell’emigrazione di una famiglia di ebrei sovietici che abbandonando l’Unione Sovietica sa cosa lascia ma non ha ancora le idee chiare di quel troverà nel tanto agognato “mondo libero”. Con quest’ultima opera David Bezmozgis, che è stato paragonato dai critici a Philip Roth, ci regala una narrazione asciutta, intensa, commovente, pervasa di ironia e umanità. E’ un affresco corale che attraverso la storia, simile a tante altre, di una famiglia di emigranti ebrei, ci restituisce un racconto di straordinaria maturità letteraria confermando - come testimonia la sua biografia - che “Al cuore di ogni opera d’arte deve esserci una perdita irrecuperabile”.