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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
01.05.2012 Iran nucleare: mentre l'Occidente continua a discutere, gli ayatollah fanno passi avanti
Commenti di Redazione del Foglio, Pio Pompa. Cronaca di Cecilia Zecchinelli

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Redazione del Foglio - Pio Pompa - Cecilia Zecchinelli
Titolo: «Quant’è invidioso Khamenei quando Obama fa il brillante in tv - Salvate mio marito dalle torture. E dalla morte in Iran»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 01/05/2012, a pag. 3, l'editoriale dal titolo "  Se anche Israele vacilla", l'articolo di Pio Pompa dal titolo " Quant’è invidioso Khamenei quando Obama fa il brillante in tv ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 24, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Salvate mio marito dalle torture. E dalla morte in Iran ".
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - "  Se anche Israele vacilla"


Iran nucleare

Tira una pericolosa aria di appeasement sul nucleare iraniano. Non soltanto la Casa Bianca sarebbe pronta ad accettare un proseguimento del programma nucleare iraniano nella misura in cui Teheran accetterà a sua volta i controlli internazionali.
E’ quanto hanno scritto il Los Angeles Times e prima David Ignatius del Washington Post. Washington sarebbe pronta a concedere agli iraniani l’arricchimento dell’uranio al cinque per cento, con i cascami nefasti che questo comporta (il proseguimento dell’attività iraniana nel sottosuolo). Dal 2003 al 2005 il capo negoziatore iraniano era Hassan Rowhani. Quando nel 2005 egli fu sostituito, Rowhani disse con orgoglio: “Mentre negoziavamo, installavamo i nostri equipaggiamenti nelle strutture a Isfahan”. Teheran replicherà questo schema nei colloqui con il 5+1.
Ma è soprattutto dall’interno d’Israele, l’unico paese che abbia costruito finora un uso credibile della forza per fermare Teheran, che giungono pesanti critiche alla linea del primo ministro, Benjamin Netanyahu. Nel weekend la ex troika per la sicurezza e l’intelligence si è espressa contro l’attacco unilaterale. Si tratta dell’ex capo del Mossad Meir Dagan, dell’ex capo di stato maggiore Gabi Ashkenazi e dell’ex capo dell’intelligence Yuval Diskin. L’attacco che quest’ultimo ha portato a Netanyahu e al ministro della Difesa, Ehud Barak, ha dell’incredibile: “Credetemi, conosco da vicino queste persone e non penso che siano in grado di gestire una guerra con l’Iran e vincerla… Non ho alcuna fiducia in loro”.
Prima ancora Tamir Pardo, il capo del Mossad, aveva scandito: “Un Iran dotato di bombe nucleari non costituisce necessariamente una minaccia esistenziale per Israele”. Secondo fonti vicine al primo ministro, Diskin ha arrecato un danno gravissimo agli sforzi di costituire un fronte internazionale contro l’Iran. Persino un commentatore equilibrato come Dan Margalit ha dato del traditore a Diskin. Quanto accade a Gerusalemme fa nutrire seri dubbi sulla deterrenza del paese ebraico. La Casa Bianca farà di tutto per evitare un confronto con gli iraniani. L’unica seria alternativa al patto col diavolo resta la minaccia israeliana di un attacco preventivo alle sue centrifughe. Ma se cade anche Gerusalemme, sarà meglio prepararci a un nuovo mondo iranizzato. Khamenei ha di fronte un florido raccolto di uranio arricchito.

Il FOGLIO - Pio Pompa : " Quant’è invidioso Khamenei quando Obama fa il brillante in tv "


Pio Pompa

Sembra che la Guida Suprema, Ali Khamenei, abbia provato un pizzico di invidia, lui così serioso, per la brillante e fascinosa performance di Barack Obama, venerdì scorso, durante la tradizionale cena di gala con i corrispondenti stranieri accreditati presso la Casa Bianca. Se non che, racconta al Foglio una fonte d’intelligence, in alcuni ambienti governativi iraniani starebbe circolando una vignetta che alla gag obamiana sul suo aspetto fisico, “quattro anni fa ero così” (volto giovanile e capelli neri), “oggi sono così”(volto con qualche ruga in più e capelli brizzolati), “a quattro anni da oggi sarò così” (il volto rugoso e i capelli bianchi di Morgan Freeman), ne avrebbe contrapposta una sull’arricchimento dell’uranio: “quattro anni fa era così”(serie di centrifughe a pieno regime e alambicchi fumanti), “oggi è così” (moltiplicazione esponenziale di centrifughe e bunker sotterranei), “a quattro anni da oggi sarà così” (lo stato d’Israele distrutto sotto i nembi del fungo atomico). Vignetta destinata, per il momento, a restare chiusa nei cassetti per via del fondato timore di suscitare la reazione furiosa di Khamenei e del suo entourage impegnati a preservare a ogni costo gli accordi segreti, intercorsi tra Washington e Teheran, che la nostra fonte non esita a definire “ai limiti dell’indecenza e a grave discapito di Gerusalemme”. Primo fra tutti quello sul nucleare iraniano, lo stesso che ha consentito al regime degli ayatollah di incassare un indubbio successo nei recenti colloqui di Istanbul e di avvicinarsi fiducioso al prossimo meeting dei 5+1 previsto il 23 maggio a Baghdad, da cui dipendono e si dipanano tutti gli altri accordi: dal mantenimento dello status quo nel vitale Stretto di Hormuz dove transita il 40 per cento del petrolio mondiale, alle pressioni sul Pakistan per favorire un esito positivo alle trattative in corso a Doha tra Stati Uniti e talebani, al destino del regime siriano consentendo l’eventuale dispiegamento di truppe americane ai confini della Turchia, all’Iraq e alla sua stabilizzazione resa incerta da una lunga sequela di attentati, alla situazione israelo-palestinese.“ Sicché – continua il nostro interlocutore – lo stato dei rapporti segreti tra Iran e Stati Uniti viene scandito da un sistema dove venendo meno l’accordo sul nucleare tutti gli altri lo seguirebbero di conseguenza con un effetto domino devastante”. Un sistema all’interno del quale le parole d’ordine, da parte americana, sono quelle di trattare, dialogare, se del caso minacciare e, contestualmente, dissuadere Israele da autonome iniziative militari contro i siti atomici iraniani. In fondo mancano pochi mesi alle elezioni presidenziali di novembre. Dunque, trattare e prendere tempo, poi si vedrà. Ma non sarebbe solo questo il collante che, con enormi vantaggi per Teheran, tiene per ora unito il puzzle dei contatti segreti tra i due paesi. “All’interno dell’Amministrazione statunitense – puntualizza la fonte d’intelligence – stanno prevalendo i sostenitori di una realpolitik poco incline alle ragioni di Gerusalemme soprattutto per le sue rigidità, ritenute una delle principali concause nel fallimento del processo di pace palestinese, che di fatto colloca l’Iran tra le grandi potenze mondiali con o senza l’atomica”. Di qui l’asserzione secondo cui, a fine anno, le celebrazioni per la vittoria nelle presidenziali, preannunciate da Obama nella cena di gala di venerdì, potrebbero coincidere con quelle di Teheran per il suo ingresso tra le potenze nucleari.

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Salvate mio marito dalle torture. E dalla morte in Iran "

Antonella, milanese: «Da tre anni è rinchiuso nel carcere di Evin»
Per anni la battaglia di Antonella Mega è stata discreta, nella speranza che Evin, il carcere più tristemente noto d'Iran, lasciasse libero il marito, che l'«incubo disumano» finisse. Poi la milanese che da 25 anni vive a Toronto, dove nel 1995 incontrò Hamid Ghassemi-Shall appena arrivato da Teheran e commesso in un negozio di scarpe, ha deciso di rompere il silenzio. E ora, per la prima volta, rilascia un'intervista a un giornale italiano. «Non volevo allarmare i miei genitori a Milano. Ma la situazione ormai è precipitata — dice con un filo di voce che a volte quasi svanisce al telefono —. Il 14 aprile la madre è stata convocata a Evin, e lì in presenza di suo figlio, mio marito, il giudice ha annunciato che la condanna a morte era ormai sul suo tavolo, perché spia e "mohareb", nemico di Dio. Mi hanno chiamato, me l'hanno detto».
Il caso di Hamid, 44 anni e doppia nazionalità iraniana e canadese, inizia con una visita alla madre nel maggio 2008. «Era già tornato tre volte a Teheran, senza problemi — ricorda Antonella — Ma quella volta, appena arrivato, hanno arrestato il fratello maggiore Alborz, ex ufficiale di Marina, e requisito tutti i documenti di Hamid. A fine maggio lui ha chiesto il passaporto per partire e hanno preso anche lui. Come Alborz è sparito nel nulla».
Per 18 mesi nessuno ha saputo niente dei due fratelli. Che non facevano politica, è assolutamente certa Antonella, né partecipavano a proteste. Poi un processo sommario, pochi minuti senza avvocato. Condannati a morte per legami con i Mujaheddin del Popolo, «un gruppo violento di estremisti che Hamid ha sempre detestato. La “prova” dell'accusa è una email che lui avrebbe inviato al fratello, ma non è vero — dice Antonella —. Pare sia stata una vendetta personale contro Alborz, qualcuno di potente ce l'aveva con lui. Hamid ne è rimasto coinvolto». Ma nessuno saprà mai la verità. «Nel gennaio 2010 Alborz è morto a Evin, hanno detto per un tumore — continua la donna —. In realtà era stato interrogato un'ennesima volta con metodi brutali, aveva un'emorragia cerebrale dovuta a percosse. L'abbiamo saputo in via confidenziale dal medico della prigione ma non abbiamo niente di scritto».
Trovati alcuni bravi avvocati, la battaglia è ripresa, per salvare almeno Hamid. «Per un periodo riusciva a chiamare spesso, poi niente per mesi. Un calvario». Dall'opaco sistema giudiziario iraniano un giorno arrivò la notizia che la pena di morte era stata commutata in ergastolo: «Almeno sarebbe rimasto vivo, c'erano speranze. Forse un giorno avremmo potuto tornare insieme, adottare un bambino come già pensavamo di fare, non abbiamo figli», confida la moglie. Ma il 14 aprile quella chiamata, l'annuncio dell'esecuzione imminente.
«È un caso terribile, e non isolato», commenta Marina Nemat, l'iraniana incarcerata a Evin quando aveva 16 anni e più volte vicina alla morte, dalla storia terribile finita con l'esilio a Toronto, che lei stessa ha narrato in Prigioniera di Tehran (Cairo, 2007): «In Occidente ha fatto scalpore il caso di Sakineh, perché è donna e la lapidazione a cui era condannata è esotica. Ma ci sono decine di Hamid che nessuno conosce, lui almeno ha un passaporto occidentale».
In realtà, quel passaporto non è servito molto finora, l'Iran non riconosce doppie nazionalità. E i tentativi del governo canadese di intercedere, forse troppo timidi, non hanno dato esito: i rapporti tra i due Paesi non sono buoni, già una irano-canadese, la fotografa Zahra Kazemi morì per torture proprio a Evin nel 2003, Ottawa ritirò perfino l'ambasciatore per un periodo. Anche il governo italiano si è mosso, con discrezione. «Se ne sono interessati il ministro Frattini, poi Terzi», confida Antonella. Che ora ha ricevuto un invito dal governo di Teheran, a recarsi in Iran. «Un'offerta generosa, che ho accettato subito, sto organizzando il viaggio. Non sono mai stata in Iran ma non ho dubbi, devo andare». Con la speranza che quell'amore iniziato diciotto anni fa tra due giovani immigrati, quando lei entrò in un negozio a comprarsi un paio di sandali, abbia un futuro. Che Antonella e Hamid possano risvegliarsi insieme dal lungo incubo e un poco alla volta lasciarselo indietro. «Nonostante tutto nel mio cuore non c'è odio — sospira —. Continuo solo a sperare».

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