Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 30/04/2012, a pag. 1-15, l'articolo di Magdi Cristiano Allam dal titolo " Massacri di cristiani nell’Africa islamica: è ora di dire basta ". Dalla STAMPA, a pag. 1-31, l'articolo di Domenico Quirico dal titolo " L'avanzata dell'islam nero ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 2, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Un nuovo scacchiere per la galassia jihadista ".
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Magdi C. Allam : " Massacri di cristiani nell’Africa islamica: è ora di dire basta "

Magdi C. Allam
Basta! Non è più tempo delle denunce! Basta! Non possiamo continuare a piangerci addosso! Basta! Finiamola una volta per tutte con il porgere l’altra guancia!Di fronte all’ennesima strage di cristiani in Nigeria, Kenya e Pakistan, al ripetersi degli attentati terroristici islamici in Siria, alle conquiste territoriali di Al Qaida nello Yemen e nel Mali, alla riconferma della connivenza del governo con gli estremisti islamici in Egitto, alla certezza che i fanatici di Allah sono più che mai attivi dentro casa nostra determinati a imporre la sharia, la legge coranica, in questa Europa che ha perso la propria anima, noi dobbiamo dire: basta!
È stata una domenica di sangue. Sangue sugli altari delle chiese in Nigeria e in Kenya. Nel corso di una funzione religiosa cristiana nell’auditorium dell’università Bayero a Kano, città nel nord della Nigeria a maggioranza musulmana, i terroristi islamici del Boko Haram legati ad Al Qaida hanno massacrato almeno 20 fedeli. Chi sono? Boko Haram significa «la cultura occidentale è proibita ». Considerano «haram», proibito, la democrazia, votare alle elezioni, i diritti fondamentali della persona quale la pari dignità tra uomo e donna, così come condannano a morte gli ebrei, i cristiani, gli infedeli e gli apostati. Il loro nome completo è Jamáatu Ahlis Sunna Liddáawati wal-Jihad, ovvero «Comunità fedele agli insegnamenti del profeta e al Jihad». Che cosa significhi concretamente essere fedeli a Maometto e militanti della Guerra santa islamica l’hanno dimostrato massacrando oltre un migliaio di persone dal 2009, tra cui circa 160 vittime a Kano lo scorso gennaio, l’italiano Franco Lamolinara e l’inglese Cristopher McManus lo scorso marzo nel corso di un tentativo di salvarli dal covo dove erano stati sequestrati.
Domenica di sangue anche a Nairobi, in Kenya, dove un sacerdote è stato ucciso e decine di fedeli sono rimasti feriti durante la celebrazione della messa in una chiesa dopo il lancio di una granata. Anche in questo caso si ritiene che dietro all’attentato terroristico ci sia un’organizzazione locale legata ad Al Qaida.
Sempre ieri si è saputo che il cittadino britannico Khalil Rasjed Dale, di origine yemenita, è stato decapitato. La sua colpa è di operare per la Croce rossa. Era stato rapito lo scorso gennaio in uno Stato dove i cristiani sono istituzionalmente discriminati, sono perseguitati in virtù della legge sulla blasfemia che condanna chiunque viene denunciato, anche arbitrariamente, per aver offeso il Corano o Maometto, così come sono stati a più riprese oggetto di efferati massacri. Lo sgozzamento e la decapitazione di tutti coloro che a vario titolo vengono condannati come nemici dell’islam è una prassi di Al Qaida e dei terroristi islamici che si rifà all’esempio di Maometto che nel 627 alle porte di Medina partecipò di persona alla strage di circa 800 ebrei della tribù dei Banu Qurayza con questo atroce rituale, nel convincimento che in questo modo la testa non si ricongiungerà mai più al corpo nel Giorno del Giudizio universale.
Venerdì scorso, giorno della preghiera collettiva islamica, a Damasco un terrorista suicida si è fatto esplodere di fronte a una moschea. Nove persone sono morte tra cui sette poliziotti. Nello stesso quartiere di Midan lo scorso gennaio un attentato terroristico islamico aveva provocato 26 morti e 63 feriti.
Eppure gli Stati Uniti e l’Unione Europea affiancano ciecamente la Lega Araba, ormai sottomessa ai Fratelli Musulmani al potere dal Marocco all’Egitto nonché alla teocrazia wahhabita dell’Arabia Saudita, nella condanna cieca e pregiudiziale del regime di Assad, facendo finta che sul fronte opposto non ci siano bande armate dei Fratelli Musulmani siriani e gruppi terroristici di Al Qaida di cui fanno parte degli stranieri.
Sempre in tema di crescita della dittatura islamica, il 24 aprile il tribunale egiziano ha scagionato l’esercito e gli estremisti islamici che lo scorso 9 ottobre avevano ucciso 27 cristiani copti e ferito oltre 320 manifestanti, nel corso di un corteo di protesta di fronte alla sede della Televisione di Stato al Cairo, archiviando per «mancanza di prove» il processo a carico di «ignoti». Secondo i giudici nominati dal ministero della Giustizia sarebbero stati gli stessi cristiani a sparare e ammazzare i propri correligionari, nonostante le immagini diffuse dalle televisioni attestino in modo inconfutabile la responsabilità dei militari e degli estremisti islamici che li affiancavano.
Ebbene come è possibile che di fronte a questo quadro lo scorso 23 aprile il presidente Napolitano, accompagnato dai ministri dell’Interno Cancellieri e della Cooperazione Internazionale Riccardi, si siano recati in visita alla Grande Moschea di Roma nelle stesse ore in cui si annunciava l’arresto di due cittadini italiani legati ad Al Qaida e che attraverso un sito Internet promuovevano la Guerra santa islamica nel nostro Paese? Come hanno potuto Napolitano e Riccardi esaltare la cosiddetta «Primavera araba», attribuendo una legittimità democratica ai regimi islamici al potere che dichiarano pubblicamente la volontà di imporre la sharia, arrivando a sostenere che ora «le ragioni della convivenza sono più forti»?
Basta! Non possiamo più andareoltre in questo deliberato suicidio di un’Italia e di un’Europa ingenui, ignoranti, pavidi, collusi con gli islamici! Basta! È ora di reagire recuperando il diritto a usare la ragione, riscoprendo il sano amor proprio, riscattando il nostro legittimo dovere a salvaguardare la nostra civiltà laica e liberale che, piaccia o no ai catto-comunisti, agli adoratori dell’euro e agli infatuati dell’islamicamente corretto che ci governano, si fonda sulle radici giudaico-cristiane! Basta! Noi non siamo una terra di nessuno e non vogliamo diventare una terra di conquista!
La STAMPA - Domenico Quirico : "L'avanzata dell'islam nero "

Domenico Quirico
L’ Islam avanza, penetra, si insinua, conquista, rosicchia l’Africa nera, quella un tempo degli animismi e dei missionari cristiani, ha ormai scavalcato la linea del fronte che corre, sinuosamente, lungo il sedicesimo parallelo, dal Senegal islamizzato al novantacinque per cento alla Somalia degli shebab. Avanza, ahimè, con il terrorismo i massacri i kalashnikov: autobombe esplodono a Kampala e a Nouakchott, Timbuctu è loro, conquistata come, dall’altro capo del continente, Mogadiscio. È il nuovo paese della guerra, «dar al-harb»; in attesa che diventi, purificato col fuoco, «dar al–islam», pezzo di crosta terrestre sotto la quale la lava sta bollendo, pronta all’eruzione.
L’ Occidente distratto non si è accorto di questo assalto, gli oppone ascari locali, corrotti e incapaci, si batte per procura, pagando vilmente etiopici e kenioti.
Ma l’Islam seduce anche con il denaro, la carità, le scuole coraniche, le moschee nuove di zecca, i centri che distribuiscono cibo e aiuti. Aggioga con il terrore, e con la forza della fede, il ricatto della necessità, la tentazione dell’ordine e della sopravvivenza. Gli africani diventano musulmani per disperazione odio seduzione speranza, seguono i profeti armati salafiti, ma anche le soavi promesse di pace dei marabutti. L’Islam nero: minaccia, ma anche travolgente tentazione della spiritualità, per il riconoscibile dolore di ogni giorno, la vita come sappiamo viene sofferta e vissuta. Si impone attraverso un nuovo sincretismo, nato dall’andirivieni degli emigranti, e dei loro figli, tra i quartieri sensibili delle città europee e i villaggi più disgraziati della brousse, della savana, del deserto. Modernizzazione islamista da un lato (sì, non è un paradosso), e riscoperta delle radici dall’altro, sono il filo e l’ordito di un nuovo inedito tessuto identitario.
Agli inizi degli Anni Ottanta un maestro di scuola coranica, Muhamadu Marwa, proclamò una repubblica islamica a Kano nel Nord della Nigeria, popolato di «mahdis», di messaggeri divini. Ai giovani disperati dell’esodo rurale, arrivati in città in cerca di un futuro, spiegava che chiunque porta un orologio, gira in bicicletta o in auto, e manda i bambini nelle scuole di Stato è un infedele, merita la punizione. Nonostante la feroce repressione (o forse è stata la causa?) trenta anni dopo quelle terre sono infeudate ai boko haram («l’educazione occidentale è un peccato»), i talebani d’Africa. E in quegli Stati del Nord è in vigore la sharia. Ha ben fermentato la lezione di quel maestro.
In Niger lo Stato ha privatizzato l’istruzione: mandare i bambini nelle scuole private costa troppo per la maggior parte della popolazione. L’unica alternativa alla strada sono le scuole coraniche: gratuite. Così i fedeli aumentano, gli imam si fregano le mani soddisfatti.
In tutto il Sahel l’appello alla moralizzazione della vita pubblica, che incanta e fanatizza le masse disperate, principali vittime degli abusi e della corruzione di queste società guaste, sfocia nella rivendicazione di Stati islamici, arbitri di un modo di vita che non si potrebbe concepire senza la moralità. La «charia», feroce ma implacabile, riporta l’ordine e la pace laddove i signori della guerra e le tribù comandavano. Da Mogadiscio a Gaò. L’Islam è uno straordinario filo di sicurezza spirituale, un ordine strutturante, una etica e una estetica di vita, trasforma le superstizioni in misticismo e rappresenta una scuola di universalità per 300 milioni di africani, il quaranta per cento della popolazione del continente. Più di quanti vivono in tutti i Paesi arabi riuniti.
L’islam è ricco, più dell’Occidente dei tiepidi postcolonialismi. La ricerca della «zakaat», l’elemosina prescritta dal Corano, ingrossa i ranghi della Organizzazione della conferenza islamica e trasforma gli Stati dell’Africa nera in mendicanti dei «fratelli arabi», Gheddafi, i sauditi, gli Emirati. Ma anche Al Qaeda. Con o senza fondi religiosi, semplicemente facendo forza sul risentimento contro gli occidentali colonialisti, arroganti e predatori, i fondamentalismi avanzano a Sud del Sahara. Tra i ventidue terroristi più ricercati del dopo undici settembre c’erano dodici africani. Nelle periferia di Dakar e di Abuja, di Khartum, potevi vedere le magliette con l’effigie di Bin Laden, il vendicatore.
Che cosa abbiamo opposto noi, Occidente, a tutto questo? Il fondamentalismo delle sette protestanti americane, il capital-cristianesimo che cerca di comprare le anime mettendo a libro paga i presidenti-dittatori. Alla interminabile ripetizione della fatiscenza, all’enorme pressione della povertà che scorre, si ramifica e si estende in tutto il continente come l’acqua alluvionale abbiamo proposto non l’immedesimazione con i sofferenti ma la predicazione del liberismo: che profitta soprattutto a noi. In questo mondo di miseria e di perdite l’uomo ha fame di fede e di irrazionalità. Ma il capitalismo non è un credo e non è un magnete. E’ solo un modo di vita a cui noi, solo noi, abbiamo fatto l’abitudine.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : "Un nuovo scacchiere per la galassia jihadista "

Guido Olimpio
WASHINGTON — I qaedisti, veri o affiliati, scelgono di colpire il «nemico vicino». Definizione che indica il governo o il regime in carica ma che in Africa si traduce nella caccia ai cristiani. Le bombe di Boko Haram in Nigeria, l'attacco con le granate in Kenya, le continue minacce contro chi professa una fede diversa fanno parte di una strategia duplice. La prima è quella della «pulizia religiosa». I talebani d'Africa, così sono stati soprannominati gli estremisti di Boko Haram, vogliono eliminare qualsiasi presenza cristiana in Nigeria. E non solo.
Lo hanno detto e ora provano a mantenere la promessa. Azioni più limitate nel quadrante Sud-Est (Kenya, Somalia), ma anche qui i missionari o simboli della Chiesa sono dei bersagli.
Nell'anniversario della morte di Osama Bin Laden, lo scacchiere africano conferma tutta la sua pericolosità. Grandi territori, confini porosi, armi in quantità (e non solo quelle prelevate negli arsenali libici) ne fanno l'arena ideale dove i qaedisti possono lanciare la controffensiva. La vecchia Al Qaeda aveva già deciso di farlo negli anni '90 (Somalia), poi si è concentrata in altre regioni. Ma l'idea è rimasta e ricorre spesso nella propaganda jihadista.
Alcuni gruppi non sono molto sofisticati e la preparazione ideologica, a volte, appare posticcia. Ma ciò che conta sono gli effetti: la lunga stringa di attacchi di Boko Haram contro le chiese ne è la conferma drammatica. Saranno pure dei mezzi banditi o criminali travestiti da terroristi, tuttavia rappresentano una minaccia pericolosa.
E sono già evidenti i collegamenti con quello che rischia di diventare un Afghanistan nel cuore del Sahel. La gigantesca area nel nord del Mali dove la travolgente rivolta tuareg ha contribuito a creare un vuoto subito riempito dai militanti. I qaedisti, fino a pochi mesi fa, erano delle ombre sfuggenti lungo le piste del deserto. Oggi si fanno vedere nelle città liberate. E la «sezione» algerina di Al Qaeda conta tra le sue file dozzine di africani. Usando poi i vincoli familiari con clan locali ha messo radici. E grazie ai riscatti ottenuti con i rapimenti degli occidentali — ricordiamo che Rossella Urru è ancora nello loro mani — può comprarsi il silenzio o l'alleanza. Un patto rafforzato dalla presenza della fazione tuareg islamista Ansar Dine. I guerriglieri, dopo aver dichiarato (e smentito) di voler imporre la Sharia (legge islamica) hanno iniziato a distruggere statue e documenti antichi a Timbuktu. Un gesto che ricorda quello dei talebani a Bamiyan. E non è certo un buon segnale.
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