Iran nel ruolo della vittima e Israele in quello dell'aggressore, è il teatrino che si sta svolgendo a Istanbul. Pubblichiamo, oggi 14/04/2012, l'editoriale del FOGLIO, a pag.3. Il commento di Arrigo Levi sul CORRIERE della SERA a pag.1/60, il pezzo di Marina Forti sul MANIFESTO a pag.9, preceduto da un nostro commento.
Ecco gli articoli:
Il Foglio-Editoriale: " Il pessimo accordo con l'Iran"

Povero Israele. La crisi siriana ha richiesto la naturale mediazione dei padroni di Teheran, che però in cambio hanno ottenuto un credito davanti alla comunità internazionale intercedendo a favore del piano di pace proposto dall’inviato delle Nazioni Unite Kofi Annan. Questo è stato il bargain: se l’Iran persuade il presidente Bashar el Assad ad accettare la tregua con l’opposizione armata, allora l’America tratterrà Israele e le sue richieste di attacco preventivo contro il programma atomico iraniano. Così oggi Teheran siede al primo giorno di negoziati a Istanbul, in Turchia, in una posizione di vantaggio, quando invece avrebbe dovuto avvicinarsi al tavolo negoziale sentendosi sotto pressione. L’accordo apre tre problemi. Il primo è che la pace ottenuta in Siria è più che fragile: gli scontri tra esercito e ribelli sono già ripresi, non è che il fuoco sta covando sotto la cenere, è proprio che le fiamme si sono soltanto abbassate di poco. Il secondo è che il negoziato a Istanbul sembra congegnato soltanto per far guadagnare tempo a Teheran, con le sue clausole sull’arricchimento massimo dell’uranio, sulle centrifughe, sui siti militari da aprire alle ispezioni e sulla prospettiva di nucleare civile pacifico. Il terzo è che il calcolo è miope. Concedere altro tempo all’Iran sul programma atomico pur di ottenere una mano sulla Siria vuol dire scambiare un problema grave ora per un problema gravissimo in seguito. La guerra civile tra i siriani e gli Assad ricomincerà, i negoziati di Istanbul finiranno e la questione che modella tutta la politica nel Golfo, ovvero la minaccia di un Iran atomico e con un piano d’attacco, non sarà stata risolta. Anzi: ci sarà meno tempo.
Corriere della Sera- Arrigo Levi: " La difficile scelta di Israele "

È probabile un attacco nucleare iraniano a Israele? O dobbiamo invece aspettarci un attacco preventivo di Israele all'Iran?
Il mondo intero se lo domanda.
Q uanto è probabile un attacco nucleare iraniano a Israele per «eliminare dalla faccia della terra» lo Stato ebraico? O dobbiamo invece aspettarci un attacco preventivo di Israele all'Iran? E quanto è reale il pericolo che l'uno o l'altro di questi possibili eventi coinvolga tutto il Medio Oriente, o addirittura provochi un più vasto conflitto?
Il mondo intero si sta ponendo con grande senso d'urgenza questi interrogativi. Ed è giusto porseli alla vigilia della ripresa a Istanbul questo weekend, dopo una pausa di 15 mesi, dei negoziati con l'Iran dei cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza più la Germania: il cui obiettivo minimo è di rinviare la possibile acquisizione da parte dell'Iran di un «potenziale nucleare», e di ottenere che cessi l'accumulazione di uranio arricchito nell'impianto sotterraneo di Fordo, situato presso la città santa di Qom. Saeed Jalili, responsabile per Teheran dei negoziati nucleari, ha annunciato che presenterà «nuove iniziative» e ha affermato che «è la strategia del dialogo e della cooperazione che può avere successo con l'Iran». Le dure sanzioni economiche, le apparenti contraddizioni sulle reali intenzioni dell'Iran, a partire dalla Guida suprema, l'Ayatollah Ali Khamenei, (che definisce «contrario all'Islam» il possesso di armi nucleari, ma difende duramente i programmi nucleari iraniani), fanno sì che da parte occidentale vi sia, accanto a un ragionato scetticismo, anche qualche speranza sull'esito di questi negoziati.
Ma prevale anche un grande senso d'urgenza, per i segnali che vengono da Gerusalemme, che fanno ritenere «possibile» un'azione militare d'Israele prima dell'autunno. Netanyahu chiede che l'Iran ponga fine all'arricchimento dell'uranio, sia al 20% (subito sotto la soglia del bomb grade) che al 3%; che tutto il materiale nucleare già arricchito sia portato fuori dall'Iran; che l'impianto di Fordo sia smantellato. Le affermazioni iraniane che i loro piani nucleari «hanno soltanto scopi pacifici» non godono di molto credito. Certo non ci crede Israele: non soltanto il governo di Netanyahu ma la grande maggioranza dell'opinione pubblica israeliana.
Sullo sfondo di questa grave crisi ci si trova di fronte a un interrogativo, che riguarda la minaccia iraniana ma ha una più vasta portata, ed è questo: fino a che punto la teoria della Mutual assured destruction (o Mad, «Distruzione Reciproca Assicurata»), sulla quale si è basata la pace nucleare fra le superpotenze, rimane valida, in vista del possibile possesso di armi nucleari da parte di nuovi Paesi, a cominciare dall'Iran (a cui certo seguirebbero altri Stati della regione)? Kissinger ha profetizzato che «quando ci saranno venti potenze nucleari un conflitto atomico sarà certo». Da questo numero siamo ancora abbastanza lontani; e la corsa al nucleare sembrava interrotta. Ma l'arma nucleare iraniana potrebbe rompere l'incantesimo.
E ancora: Israele possiede armi nucleari, in parte presumibilmente collocate su sottomarini o comunque indistruttibili. Ma ciò può funzionare da deterrente, nel caso della minaccia iraniana? Un «primo colpo» contro un Paese così piccolo potrebbe bastare (nelle speranze di un ipotetico aggressore) per metterlo fuori combattimento o distruggerlo? E poi, perché non immaginare che una o più bombe atomiche vengano cedute a gruppi terroristici, come Al Qaeda, prive di territorio, non esposte quindi a Mad?
Attenzione, perché queste non sono ipotesi fantascientifiche. Sono gli interrogativi che debbono necessariamente porsi i responsabili della sicurezza, anzi della sopravvivenza, di uno Stato del quale si minaccia l'annientamento. Quale è appunto Israele. Istintivamente, la lunga esperienza fatta con Mad induce a pensare che la minaccia di rappresaglia nucleare basti per rendere inimmaginabile un attacco nucleare contro un Paese nucleare. Ma la storia è piena di imprevisti, di sorprese, di svolte irrazionali. Ecco perché, di fronte al pericolo dell'arma nucleare iraniana, Israele si trova di fronte a scelte terribili.
Il Manifesto-Marina Forti: " Oggi a Istanbul summit difficile sotto minaccia israeliana "
Il titolo è già, di per sè, un piccolo capolavoro. Quella 'minaccia israeliana', che trasforma Israele nel vero pericolo della pace globale, contiene tutto il nazi-comunismo del quotidiano di Rocca Cannuccia. E che spiega bene il silenzio sul 'Caso Grass', il quale la pensa esattamente come i compagnucci trinariciuti.

Comincia oggi a Istanbul, in Turchia, un finesettimana di negoziati che molti in Occidente presentano come «ultima chance della diplomazia » verso l’Iran, o un ultimo tentativo di evitare iniziativemilitari da parte di Israele. Attorno al tavolo si troveranno infatti i rappresentanti di Tehran e delle maggiori potenze mondiali, il cosiddetto gruppo 5 più 1 (i membri permanenti del Consiglio di sicurezza e la Germania). L’ultimo incontro, nel gennaio 2011, si era concluso con un nulla di fatto e nessuno si aspetta che questo week end si concluda con qualche accordo: potrebbe però aprire la via a un compromesso in futuro. Le nazioni occidentali per la verità arrivano a Istanbul con richieste tutt’altro che concilianti - così almeno hanno lasciato intendere negli ultimi giorni le cancellerie occidentali con una serie di «fughe di notizie». L’amministrazione Obama farà due richieste all’Iran: fermare e chiudere definitivamente il suo impianto nucleare a Fordow, ed esportare l’uranio finora arricchito al 20% (quello che l’Iran necessita per la ricerca medica). L’impianto di Fordow, dichiarato all’Agenzia internazionale per l’energia atomica nel 2009, dà particolare fastidio all’Occidente (e a Israele), benché sia sotto costante sorveglianza dell’Aiea, perché è costruito sotto 60-90 metri di montagna rocciosa nelle vicinanze di Qom, a sud di Tehran: e ciò lo mette al riparo da eventuali bombardamenti. E’ là che l’Iran produce il suo combustibile al 20% - un livello medio, ma comunque lontano dal 90% necessario per fabbricare bombe. La richiesta di chiudere l’impianto di Fordow è stata una «concessione» degli Stati uniti a Israele, a quanto pare (il ministro della difesa israeliano Ehud Barack ha rivelato il 4 aprile di aver avuto colloqui con le controparti Usa ed europee per perorare le richieste del suo governo nel prossimo negoziato con l’Iran). In cambio, Washington avrebbe ottenuto da Israele l’impegno a non lanciarsi in avventure militari durante la campagna presidenziale americana; a conferma, il Jerusalem Post giorni fa citava «alti ufficiali della difesa» israeliana, secondo cui un attacco all’Iran «potrebbe essere rinviato al 2013» in attesa dei risultati dei colloqui. Il fatto è che la richiesta occidentale è difficilmente accettabile per Tehran: il regime iraniano ha sempre presentato il suo programma atomico non solo come un diritto ma come un motivo di orgoglio. Il capo dell’Agenzia iraniana per l’energia atomica, Fereidoun Abbasi, ha dichiarato all’agenzia di stampa Isna che «la richiesta del P5+1 di sospendere le attività a Fordow è irragionevole».Qualche margine in più esiste forse sulla questione dell’uranio al 20% - ovviamente se le potenze nucleari ufficiali daranno all’Iran il combustibile per la ricercamedica che finora gli hanno negato. D’altra parte siaWashington che Tehran hanno tutto l’interesse a qualche tipo di accordo - ma difficilmente l’Iran accetterà richieste che suonano come una resa, almeno senza contropartite sostanziose Il punto è che non è chiaro cosa le nazioni occidentali intendano offrire all’Iran (su questo ciascuno ha tenuto le sue carte ben coperte), a parte l’implicita minaccia «se non scendete a patti non riusciremo a impedire che Israele vi attacchi ». Qualcuno anticipa che Washington offrirà la fornitura delle barre di combustibile per il reattore di ricerca di Tehran, e magari di non chiedere nuove sanzioni Onu: ma difficilmente basterà ad avviare un vero negoziato. Anche perché nell’ultimo anno, Stati uniti e Unione eeuropea hanno inasprito la loro pressione su Tehran con sanzioni unilaterali ormai strettissime contro il settore petrolifero e le banche. Ora, «sembra inevitabile che una de-escalation delle attività nucleari iraniane vada accompagnata da una de-escalation delle sanzioni, perché un accordo sia raggiunto», nota Trita Parsi, autore di diversi libri sulle relazioni tra Iran e Usa (e presidente del National Iranian American Council), sul Huffington Post. L’altro elemento sarà capire se e quali proposte porterà l’Iran. «i rappresentanti iraniani arriveranno ai colloqui con nuove iniziative», ha dichiarato il capo negoziatore Saeed Jalili alla Tv di stato iraniaia, «Siamo pronti a tenere colloqui fruttuosi e progressivi sulla cooperazione». I colloqui di Istanbul permetteranno forse di capire se ci sono proposte serie sul tavolo, e se Washington da un lato e Tehran dall’altro mostreranno qualche flessibilità: perché senza una volontà di compromesso, le minacce militari sono solo rinviate.
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