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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
03.04.2012 Siria: la Lega Araba pronta a finanziare i ribelli appoggiati da al Qaeda
il vignettista siriano Ali Farzat torna a disegnare. Cronaca di Viviana Mazza, commenti di Guido Olimpio, redazione del Foglio

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Viviana Mazza - Guido Olimpio - Redazione del Foglio
Titolo: «Mi hanno spezzato le dita, non la volontà - Salari ai ribelli, una decisione solo a metà - Lo stipendio dei ribelli siriani»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/04/2012, a pag. 18, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Mi hanno spezzato le dita, non la volontà ", l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Salari ai ribelli, una decisione solo a metà ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Lo stipendio dei ribelli siriani ".
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Mi hanno spezzato le dita, non la volontà "


Ali Farzat



vignette di Ali Farzat

C'è un uomo con il volto coperto da bende, eccetto per gli occhi pesti, e accanto a lui un brutto ceffo vestito di nero gli dipinge con un pennarello rosso un sorriso sulle fasciature. È una delle vignette del disegnatore siriano Ali Ferzat che sono state esibite a Londra pochi giorni fa in una mostra sponsorizzata da Amnesty International.
Il sessantenne Ali Ferzat, noto in tutto il mondo arabo, è stato ridotto in modo simile lo scorso agosto: picchiato da quelli che ha definito sgherri del regime, che gli hanno rotto le dita delle mani. Da Londra, prima di partire ieri pomeriggio per il Kuwait, dove si è rifugiato con la famiglia dopo l'assalto, dice che non è se stesso che ha disegnato in quella vignetta. Ferzat non ha perso, nonostante tutto, il sorriso e l'ottimismo vero. «Ho recuperato l'uso delle dita al 90 per cento», spiega attraverso un interprete. Uno dei suoi ultimi disegni mostra un fiore che, sbocciando dal suolo, solleva un carroarmato. E lui sostiene che «la vittoria del popolo è vicina», benché non spieghi come: non parla del piano di pace mediato dall'Onu, né si esprime a proposito di un intervento militare straniero caldeggiato da alcuni. Semplicemente, si dice certo che «il popolo non tornerà più indietro». In una vignetta, c'è un soldato pronto a sparare contro un prigioniero. I due sono in piedi alle estremità opposte di una tavola in bilico su una roccia: se il soldato spara, cadrà anche lui insieme al dissidente.
Il vignettista ha denunciato per decenni in un totale di 15.000 caricature la corruzione e l'ipocrisia del regime. Ma prima evitava di ritrarre persone precise. Dall'inizio delle rivolte in Siria un anno fa, represse con oltre 9000 morti secondo le stime dell'Onu, Ferzat ha iniziato a disegnare personaggi reali, incluso il presidente siriano. Una delle prime: Bashar Assad che strappa dal calendario la pagina del venerdì, perché come ogni settimana sarà giorno di proteste. Poi Bashar Assad che chiede un passaggio al leader libico Gheddafi in fuga su una jeep. Assad che flette i muscoli allo specchio, e nel riflesso (non nella realtà) sembra possente. Assad che cerca di sedersi in poltrona, ma le molle sono saltate: «Neanche la sedia lo vuole più», ha detto sorridendo ad un giornalista della Reuters alla mostra.
Quelle vignette sono state portate in piazza dai manifestanti. E Ferzat ha ricevuto telefonate di minaccia, ma non si aspettava la ferocia di quell'attacco nelle prime ore del mattino del 25 agosto. Tre uomini a volto coperto l'hanno spinto fuori dall'auto mentre tornava a casa dal suo studio, l'hanno colpito a manganellate e hanno continuato a picchiarlo dopo averlo caricato nella loro vettura, mirando anche al volto, ma in particolare alle mani. Nonostante il governo abbia negato di aver ordinato l'attacco, Ferzat ha spiegato in una recente intervista alla giornalista italo-siriana Asmae Dachan che è certo che si trattasse di mercenari del regime che l'hanno abbandonato in strada credendolo morto: la tv Addunya trasmise di lì a poco la notizia del suo assassinio, per mano di una banda armata. Il mese prima, Ibrahim al-Qashoush, che aveva composto una popolare canzone contro il regime, era stato trovato morto con le corde vocali recise.
Nell'accettare il premio «Index of Censorship», la scorsa settimana a Londra (non il suo primo riconoscimento, l'anno scorso ha ricevuto il «Sacharov»), Ferzat ha paragonato l'artista al lampionaio che accendeva i lumi nelle strade di un tempo. Il lampionaio (Al-Domari) era anche il nome del giornale satirico che Ferzat aprì a Damasco nel 2000, quando il giovane Bashar prese il posto del padre Hafez. Negli anni 90, aveva incontrato il futuro presidente, che visitò il suo studio, rise delle sue vignette, gli promise che non sarebbero state più bandite. Ma nel 2003 Al-Domari fu costretto a chiudere. Ferzat ha continuato a disegnare nel quotidiano di stato Tishreen e per altri della regione. «Il lampionaio accende una luce di amore, umanità e libertà quando i tempi sono oscuri e difficili», ha detto a Londra.
E ora che le sue dita sono guarite, vuole tornare in Siria. A quanti lo pregano di non rischiare, risponde: «Non posso stare lontano dal mio Paese».

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : "Salari ai ribelli, una decisione solo a metà "


Lega Araba

Promettendo di pagare gli stipendi dei ribelli, gli «Amici della Siria» compiono un passo in più dentro la crisi. Ma sempre con grande prudenza e un po' di ipocrisia, due aspetti che hanno accompagnato dall'inizio ogni iniziativa della diplomazia internazionale.
La formula del salario è un modo per sostenere gli oppositori evitando però, almeno formalmente, di consegnare armi in grandi quantità. Chi si è ribellato a Assad ha bisogno di fucili migliori, sistemi anti-tank moderni, apparati di comunicazione e soprattutto munizioni. I racconti che arrivano dal teatro sono chiari: ci sono i combattenti, mancano i mezzi per tenere testa all'esercito. Però in casa occidentale si nutrono timori e si vuole evitare che i rifornimenti finiscano in mani sbagliate. In apparenza solo l'Arabia Saudita — che ha perfino indicato le rotte seguite — e il solito Qatar garantiscono con decisione agli insorti l'equipaggiamento militare. Dunque assistenza ai coraggiosi che sfidano la repressione, però con moderazione.
I prossimi passi in favore della rivolta saranno legati all'atteggiamento di Bashar Assad. In un messaggio all'inviato Onu Kofi Annan ha promesso che le sue unità militari si ritireranno a partire dal 10 aprile dalle principali città. Ma di impegni Damasco ne ha presi tanti e spesso si sono rivelati dei trucchi per guadagnare tempo. Quel tempo sfruttato per schiacciare senza pietà i suoi avversari. Ora deve fare sul serio, la diplomazia lo aspetta al varco. Altrimenti gli «stipendi» saranno seguiti da altro.

Il FOGLIO - " Lo stipendio dei ribelli siriani "

Con le stragi a Homs e Idlib, la mancanza di armi e munizioni per la guerriglia e le continue defezioni di membri del Cns, Damasco stava per avere il sopravvento sui rivoltosi. L’intervento di Washington, però, può cambiare le dinamiche del conflitto. Domenica a Istanbul il Consiglio nazionale siriano (Cns) presieduto da Burhan Ghalioun è stato riconosciuto dai partecipanti alla seconda conferenza “Amici della Siria” come il legittimo rappresentante dei ribelli siriani. La pressione nei confronti del regime cresce, tanto che Bashar el Assad ha dovuto accettare la scadenza del 10 aprile come termine ultimo per dare attuazione al piano di pace presentato da Kofi Annan. I paesi del Golfo hanno messo a disposizione del Cns 100 milioni di dollari che saranno utilizzati per pagare un salario dei militanti dell’Esercito libero siriano e dei soldati che diserteranno il campo lealista. Fondamentale è stato il ruolo assunto dagli Stati Uniti, che hanno condiviso l’iniziativa dei paesi del Golfo per tentare di compattare le forze d’opposizione. Washington fornirà ai ribelli apparecchiature per facilitare le comunicazioni sul territorio. E’ una presa di posizione netta che pone fine al sostanziale inattivismo americano. Fino a oggi, infatti, al di là delle denunce dell’ambasciatore a Damasco Robert Ford (che pubblicava su Facebook le foto dei massacri a Homs), e delle rituali accuse al regime, gli Stati Uniti avevano preferito non coinvolgersi troppo nella crisi. L’intervento congiunto americano e arabo giunge nel momento in cui la resistenza sembrava al crepuscolo, prossima a essere annientata dalle forze di Assad.

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