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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa-Il Giornale Rassegna Stampa
01.04.2012 Iran: che cosa sta combinando Obama
Commenti di Paolo Mastrolilli, Livio Caputo

Testata:La Stampa-Il Giornale
Autore: Paolo Mastrolilli-Livio Caputo
Titolo: «Obama. petrolio arma a doppio taglio-Se Obama sceglie il rischio con Teheran»

A che punto è la strategia - se così la si può definire- di Obama con l'Iran nucleare ? Due commenti oggi, 01/04/2012, sulla STAMPA, a pag.15, di Paolo Mastrolilli, sul GIORNALE, di Livio Caputo, a pag.13:

La Stampa-Paolo Mastrolilli: " Obama. petrolio arma a doppio taglio
anti-Iran "

-Quale nucleare ?
-Hai visto ? stare qui con questi ragazzi funziona !

Il presidente Obama, nel mezzo di una crisi che sta facendo salire il prezzo della benzina in America e altrove, ha stabilito che nel mondo ci sono abbastanza riserve petrolifere per sopportare la riduzione delle esportazioni iraniane. Questo gli consente di imporre nuove sanzioni più dure contro Teheran, alla vigilia della ripresa dei colloqui sul programma nucleare, prevista per il 14 aprile. La decisione della Casa Bianca sembra in contraddizione con l’allarme lanciato da mesi per l’aumento del costo del greggio, e la campagna per finanziare fonti alternative, che hanno un forte impatto politico anche in vista delle elezioni di novembre. L’amministrazione, però, giustifica la sua mossa sulla base di alcuni fatti. Secondo Washington la crescita del costo del petrolio non è dovuta a una reale mancanza di offerta rispetto alla domanda, ma piuttosto alla percezione che si possano creare situazioni d’emergenza, a causa dell’instabilità in Medio Oriente e della forte richiesta di greggio che viene da paesi emergenti come la Cina. L’Iran al momento produce 2,2 milioni di barili al giorno, e le sanzioni internazionali puntano a dimezzare le sue esportazioni entro l’estate. La sola Arabia Saudita, secondo quanto ha scritto sul Financial Times il ministro Ali Naimi, ha una capacità produttiva di 12,5 milioni al giorno, e quindi potrebbe facilmente sopperire da sola alla riduzione delle forniture della Repubblica islamica. Washington naturalmente ha sondato Riad, e ha ottenuto rassicurazioni in proposito, mentre anche altri paesi come la Libia, il Canada e la stessa Russia hanno garantito di poter aumentare la loro produzione. Gli Usa poi hanno discusso con Francia e Gran Bretagna la possibilità di attingere alle riserve strategiche. Sul piano della domanda, l’amministrazione ha chiesto ad alleati come il Giappone e la Corea del Sud se fossero disposti a limitare il consumo, in caso di emergenza. La vera svolta, però, potrebbe venire proprio dal rallentamento della crescita in Cina ed Europa, che lascia presagire anche una diminuzione della domanda di petrolio nei prossimi mesi. Queste sono le ragioni che hanno spinto Obama a dare via libera alle nuove sanzioni, anche se restano dubbi sulla capacità reale dell’Arabia di mantenere le sue promesso. Il resto è polemica elettorale, che continuerà fino a novembre.

Il Giornale-Livio Caputo: " Se Obama sceglie il rischio con Teheran"

A prima vista potrebbe sembrare una notizia di secondaria importanza, in realtà è suscettibile di imprimere una svolta decisiva ai tentativi occidentali di indurre Teheran a sospendere l’arricchimento dell’uranio: il presidente Obama ha deciso che il mondo dispone di sufficienti riserve di petrolio per procedere con le sanzioni che metterebbero in ginocchio l'industria petrolifera iraniana, che con l’esportazione di 2,2 milioni di barili al giorno costituisce la principale fonte di entrate per il regime degli ayatollah.
D’ora in avanti, infatti, gli Stati Uniti boicotteranno tutte le istituzioni finanziarie che continueranno ad avere rapporti con la Banca centrale iraniana, che provvede all’incasso delle vendite di greggio.
L’annuncio è stato preceduto da un accurato studio dei mercati e da un complesso lavorio diplomatico. Prima di procedere, gli Stati Uniti si sono assicurati anzitutto che l’Arabia Saudita, che teme una bomba iraniana non meno di Washington («Tagliate la testa al serpente» scrisse già due anni fa re Abdullah ad Obama, invitandolo a fermare Teheran prima che fosse troppo tardi), sarebbe stata in grado di aumentare la sua produzione in misura sufficiente per sostituire il greggio degli ayatollah; in secondo luogo, hanno ottenuto che in caso di aumento eccessivo dei prezzi sia la Francia, sia la Gran Bretagna avrebbero gettato sul mercato le loro riserve; infine ha esercitato forti pressioni sui suoi alleati asiatici, Giappone e Corea del Sud, e perfino sulla rivale Cina, principali clienti del petrolio iraniano, perché cercassero altre fonti di approvvigionamento.
Le sanzioni petrolifere rappresentano l’ultimo tentativo dell’America per fermare la corsa iraniana alla bomba con metodi pacifici, prima che Israele proceda a un intervento militare suscettibile di incendiare tutto il Medio Oriente.
C'è stato un momento, un mese fa, in cui questo intervento, che il premier Netanyahu giudicava indispensabile per evitare un secondo olocausto, fosse addirittura questione di settimane. Per fortuna, il 5 marzo Bibi e Barack si sono incontrati e hanno raggiunto un compromesso: Israele ha concesso altro tempo agli
Usa per cercare di piegare Teheran con le sanzioni, e in cambio la Casa Bianca ha garantito che, se questo fosse risultato impossibile, avrebbe comunque bloccato la corsa degli ayatollah alla bomba con altri mezzi («Dobbiamo prevenire, non contenere»).
Nel giocare questa carta, Obama corre dei grossi rischi: la prospettiva di una drastica riduzione dell’export iraniano, combinata con le minacce di ritorsione di Teheran, potrebbe fare impazzire il mercato, con serie conseguenze per le già non troppo fiorenti economie occidentali. Il conseguente aumento della benzina in America lo danneggerebbe sul piano elettorale.
Ma, soprattutto, il presidente è cosciente che le probabilità che l’Iran si arrenda e rinunci formalmente al suo programma di arricchimento dell’uranio, aprendo tutti i suoi impianti agli ispettori della Iaea, sono abbastanza scarse.
La prima seria verifica delle intenzioni degli ayatollah si avrà il 14 aprile, quando è in programma l’ennesimo round di negoziati, ma le previsioni sono che essi abbiano
accettato di tornare a sedersi intorno a un tavolo solo per guadagnare altro tempo.
Tuttavia, l’America si attacca alla speranza che il rapido deterioramen­to della situazione economica, con il rial che in due mesi ha perso il 75 per cento, l’inflazione che tocca ormai il 30 per cento e la prospettiva di una nuova, pesante stretta possano ancora indurre Teheran alla ragione. In un certo senso è un ritorno alla brinkmanship, la politica del rischio calcolato, che andava di moda nella guerra fredda.
Per l’Europa in generale, e l’Italia in particolare, questo passo avanti sulla strada delle sanzioni comporta importanti sacrifici, ma sembra che tutti siano disposti ad adeguarsi: nella speranza che questa questione, che si trascina ormai da anni, possa finalmente trovare una soluzione.

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