Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 29/03/2012, a pag. 3, l'articolo di Rolla Scolari dal titolo " Cacciatelo voi Assad con un esercito senz’armi (e con Annan) ", dalla STAMPA, a pag. 15, l'articolo di Giordano Stabile dal titolo " L’Onu accusa Assad: bambini torturati ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - Rolla Scolari : " Cacciatelo voi Assad con un esercito senz’armi (e con Annan) "


Rolla Scolari
Antiochia. Nonostante il computer aperto sulla piccola scrivania in compensato in un angolo della tenda, Ghazuan non sa che il regime di Damasco ha accettato il piano di pace delle Nazioni Unite negoziato da Kofi Annan, piano che ha ottenuto il consenso di tutti, Russia e Cina comprese, ma anche dell’Iran, perché chiede la fine delle violenze ma non tocca la leadership del regime. E poco gli importa: “Bashar el Assad accetta all’inizio per poi fare quello che vuole e uccidere tutti”, dice mentre scrive a matita su un quaderno. Ghazuan è conosciuto come l’avvocato e il poeta del campo di Bohsin, uno dei cinque campi lungo il confine tra Turchia e Siria aperti e gestiti dal governo di Ankara per oltre dodicimila persone in fuga dalle violenze. Damasco ha accettato martedì il piano dell’Onu che chiede all’esercito di tornare nelle caserme e alle parti di aprire un dialogo. Ancora ieri, secondo gli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, Daraa, Hama e Homs – dove Assad si è fatto riprendere mentre ispezionava le macerie causate da un mese di bombardamenti – erano ancora sotto attacco. Tutti sono scettici: “Giudicheremo la sincerità di Assad e la sua serietà da quello che fa e non da quello che dice”, ha detto il segretario di stato americano, Hillary Clinton. Ai margini del campo di Bohsin, i siriani in fuga hanno scavato tre finte tombe nel terreno: Cina, Russia e Lega araba, hanno scritto con i sassi. E’ un messaggio contro chi, dicono, non aiuta la loro rivoluzione. Dissidenti, attivisti, disertori, tutti quanti parlano dello stallo, del grande ristagno in cui è precipitata la crisi siriana. In vista della conferenza degli Amici della Siria, domenica a Istanbul, diversi gruppi antiregime si sono ritrovati per cercare di trovare un piano comune, come spiega Omar Kelani, dell’Higher Commission for Syrian Relief ad Antiochia. All’incontro, però, quando Burhan Ghalioun, del Consiglio nazionale siriano, ha preso la parola, alcuni leader hanno lasciato la sala. Pochi giorni prima, il generale Mustafa Sheikh, il più alto in grado tra i disertori siriani, ha dichiarato con un video su YouTube che tutti i gruppi armati ribelli sono sotto la leadership dell’Esercito libero siriano. Ma proprio questo Esercito libero rappresenta un problema: non sembra affatto un’armata. Tre giorni fa, quattro comandanti locali si sono incontrati ad Antiochia per fare il punto della situazione, per discutere delle necessità degli uomini sul campo, per portare ai vertici militari – che si trovano nella regione turca frontaliera di Hatay – la lista dei nuovi disertori. La discussione non è avvenuta in un luogo segreto, ma attorno a un tavolo di un centrale caffè di Antiochia, in un antico palazzo un tempo sede del Parlamento di quella che tra il 1938 e 1939 fu per pochi mesi la Repubblica di Hatay.
“Nessun governo ci sostiene”
Mohammed M. (tutti i nomi sono di fantasia o sono nomi di battaglia per ragioni di sicurezza) ha 40 anni. Era un tenente dell’esercito siriano fino al 1995. Oggi è comandante di un’unità di 50 disertori e dissidenti nelle campagne di Aleppo. E’ in città da tre settimane per raccogliere i soldi per comperare armi in Siria. “Nessun governo ci sostiene, arriva qualche soldo da ricchi siriani all’estero, da qualche arabo. Ogni unità ha al massimo un telefono satellitare, le linee fisse sono intercettate, i cellulari non funzionano”. Accanto a lui c’è Abu Muammar, 46 anni, comandante di un’unità di 500 uomini nel nord di Idlib. I suoi soldati per comunicare usano walkietalkie con un raggio di cinque chilometri al massimo. Per inviare un messaggio, è necessaria una lunga catena umana. “Servono i piccioni viaggiatori”, dice ironico Abu Mohammed, comandante di un’altra unità sempre dell’area di Idlib. Le comunicazioni con la leadership, con il colonnello Riad al Asaad, sono poche e non è lui a dire agli uomini cosa fare sul terreno. Abu Muammar, la camicia gialla stropicciata e la barba di tre giorni, è un tenente che ha disertato lo scorso aprile, quando i suoi capi gli hanno ordinato di “disperdere una manifestazione con qualsiasi mezzo possibile”. E’ arrivato sei giorni fa, con la lista aggiornata dei suoi uomini da dare alla leadership. “Aumentano ogni giorno – dice – il problema è che non abbiamo armi per loro. E si tratta comunque di armi leggere”. L’ex tenente ha appena speso 11 mila dollari per comperare in Siria kalashnikov ai suoi uomini. Mohammed M. spiega invece di aver acquistato qualche arma dai contrabbandieri sul confine iracheno, ma che la maggior parte dei fucili arriva dai depositi dell’ esercito regolare: o perché i disertori fuggono armati o perché ogni giorno di più i soldati del regime vendono armi e munizioni all’opposizione. Un kalashnikov, spiegano gli uomini al caffè, prima della rivolta costava in Siria 300 dollari, ora 2.500. Abu Zakhi, un civile che comanda un’unità dell’area di Jabal el Zawiyah, vicino al confine, spiega che i soldati del regime troppo spaventati dalla diserzione aiutano l’opposizione in altri modi. I suoi uomini, racconta, hanno ricevuto 200 proiettili in cambio di una stecca di sigarette da un soldato. Un altro li rifornisce di gasolio rubandolo dai serbatoi dei carri armati. Non abbastanza, però, per armare un esercito. Sono molti i comandanti locali che passano tanto tempo in Turchia e non manca chi tra i ranghi dell’Esercito libero sul campo in Siria critichi i vertici militari, troppo lontani dall’azione, al sicuro oltre il confine turco. Il termine “comandante” ha perso la sua connotazione militare. I comandanti seduti al caffè sono imprenditori, organizzatori che si occupano di questioni pratiche. Come progettano azioni militari, senza telefoni e senza munizioni? “Non facciamo operazioni – risponde Abu Muammar – con i nostri mezzi possiamo soltanto cercare di proteggere la fuga dei civili quando l’esercito entra nelle città”.
La STAMPA - Giordano Stabile : " L’Onu accusa Assad: bambini torturati "

Navi Pillay
Ci rallegriamo del fatto che Navi Pillay, alto commissario Onu per i diritti umani, abbia iniziato a svolgere il lavoro per cui percepisce uno stipendio, denunciare violenze e violazioni dei diritti umani. Finora, infatti, Pillay si era dedicata esclusivamente alla diffamazione di Israele e all'esercizio di girare la testa dall'altra parte di fronte alle violenze di Hamas contro i cittadini israeliani. A meno che Pillay non ritenga un diritto umano quello di fare da bersaglio per i qassam in arrivo dalla Striscia...
Ecco il pezzo:
Bambini «colpiti con proiettili alle ginocchia, ammassati in celle con gli adulti, senza cure». Altri «tenuti come ostaggi, torturati per ottenere informazioni». Sono le violazioni dei diritti umani perpetrate in Siria dal regime di Bashar al Assad. L’accusa viene da Navi Pillay, Alto commissario Onu per i diritti umani, in un’intervista al sito online della Bbc.
«Assad è responsabile - ha ribadito -. Il fatto che le violenze siano state compiute dalle forze di sicurezza significa che hanno ricevuto ordini dai livelli più alti».
Le accuse, durissime, della Pillay, sono state raccolte prima dell’accettazione da parte di Assad del piano di pace dell’Onu, ma diffuse ieri. Forse un modo per fare pressione sul raiss perché applichi i sei punti individuati dall’inviato delle Nazioni Unite Kofi Annan per uscire dalla crisi. Ieri il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha chiesto al presidente siriano di «mettere in atto immediatamente» il piano. Anche il segretario Usa Hillary Clinton ha chiesto che «gli impegni siano seguiti dalle azioni».
Il timore è che si replichi quanto accaduto alla fine dello scorso anno, quando Damasco approvò il piano della Lega Araba (che ieri ha «caldamente appoggiato Annan) ma poi di fatto continuò l’offensiva contro i ribelli. Ieri, secondo l’opposizione, Homs è stata di nuovo bombardata e ci sono stati almeno 21 morti.
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