Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La condizione terrificante della donna nei Paesi islamici tra sharia e delitti d'onore Cronache di Davide Frattini, Dimitri Buffa
Testata:Corriere della Sera - L'Opinione Autore: Davide Frattini - Dimitri Buffa Titolo: «L'editto di Kabul contro le donne. E Karzai approva - Vittime sacrificali dell’onore»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/03/2012, a pag. 16, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " L'editto di Kabul contro le donne. E Karzai approva". Dall'OPINIONE, a pag. 6, l'articolodi Dimitri Buffa dal titolo " Vittime sacrificali dell’onore ". Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Davide Frattini : "L'editto di Kabul contro le donne. E Karzai approva "
Davide Frattini
In famiglia il presidente Hamid Karzai segue già il codice di condotta promulgato dai religiosi afghani. La moglie Zinat non appare da anni in pubblico («Preferisce restare a casa con nostro figlio», spiega lui) proprio come ordina il documento stilato dal Consiglio degli Ulema: le donne non devono mai viaggiare senza che un parente maschio le accompagni ed è proibito per loro entrare in contatto con sconosciuti al mercato, a scuola, negli uffici. Le regole ricordano l'Afghanistan dei talebani, che nei cinque anni al potere, fino al 2001, avevano imposto il burqa (un velo che copre dalla testa ai piedi) e impedito alle ragazze di ricevere un'educazione. Da allora gli attivisti locali e le organizzazioni internazionali hanno pressato il parlamento perché votasse leggi che garantissero i diritti delle donne. Leggi che lo stesso Karzai ha sostenuto e controfirmato. Adesso il leader afghano appoggia il documento degli Ulema. Lo considera rispettoso della Sharia, le norme islamiche: «Non pone alcun limite alle donne. Sono regole valide per tutti i musulmani». I capi religiosi scrivono che «l'uomo è fondamentale e la donna secondaria». Ricordano che picchiare la moglie è proibito, «a meno che non ci sia una ragione ammissibile secondo i dettami islamici». Concedono che le donne hanno diritto «alla dignità e all'onore», «alla proprietà, al commercio, all'eredità». E di scegliersi il marito. L'87 per cento delle afghane — rivela l'organizzazione Oxfam — racconta di aver subito violenze fisiche o psicologiche, di essere state forzate a un matrimonio che non volevano. Come le ragazze vendute ai trafficanti di droga per pagare i debiti dei padri, contadini che hanno cercato di arricchirsi con il traffico di oppio e hanno perso tutto. Nel 2011 ottantatre spose adolescenti si sono date fuoco nella provincia di Herat. Lo scorso novembre un rapporto delle Nazioni Unite denunciava che la legge contro la violenza in famiglia, adottata nel 2009, restava ancora poco implementata dalla polizia e dai magistrati. «Il codice degli Ulema è contro le leggi afghane — commenta la parlamentare Shukria Barizkai all'Associated Press —. Karzai deve rispettare la Costituzione». Gli attivisti attaccano «il gioco politico cinico», che appoggia «la causa delle donne per continuare a ricevere i finanziamenti internazionali» e poi cede «agli elementi ultraconservatori dentro al palazzo presidenziale». Il leader afghano aveva promesso di voler riformare il diritto di famiglia per dare più tutela alle mogli durante i divorzi. «Invece adesso le donne hanno paura di venire svendute», dice Heather Barr di Human Rights Watch. Svendute nelle trattative con i talebani, quel dialogo che Karzai (e ormai anche gli americani) considerano l'unica via di uscita dalla guerra. I diplomatici occidentali e il presidente hanno fissato le linee rosse per i fondamentalisti: devono, tra l'altro, accettare la Costituzione e dichiarare di essere pronti a rispettare i diritti civili. Fatana Ishaq Gailani, che ha fondato il Consiglio delle donne afghane, sostiene i negoziati: «Ma non possiamo essere sacrificate in nome di un accordo». Gulnaz ha passato in carcere due dei dodici anni di condanna per aver denunciato il cugino del marito che l'aveva violentata. Karzai l'ha graziata lo scorso dicembre, i giudici le hanno consigliato (e il clan le sta imponendo) di sposare lo stupratore.
Gli israeliani ci hanno fatto su anche vignette e canzoncine sarcastiche, dedicate a quelle famiglie di estremisti islamici che a Gaza preferiscono “vendicare un delitto d’onore persino al gusto di uccidere un soldato israeliano”. Nel resto del mondo arabo si ride molto di meno: gli omicidi di donne che in Egitto, Giordania e Siria si susseguono a ritmi di uno a settimana se non al giorno, durante tutto il corso di ogni anno, stanno diventando un serio problema per le società e per gli Stati. Proprio in occasione dell’8 marzo il “Jerusalem Post” ha raccontato la storia molto poco edificante di alcune di queste vittime per lo più senza nome e senza volto per tutto il resto del mondo. Il problema non è di per sé legato all’Islam del fanatismo (molte vittime hanno il padre cristiano) ma all’arretratezza e alla ignoranza delle zone rurali dell’Egitto, di Gaza, della Siria, della Giordania, dello Yemen, e fanno a cazzotti con quel poco che resta delle aspirazioni libertarie delle cosiddette primavere arabe. Mediamente ogni anno, nei territori palestinesi, vengono uccise una dozzina di donne a causa dell’onore, stando alla stima di Rawdah Baseer, attivista del movimento femminista palestinese. Il parlamento egiziano è stato sollecitato a stabilire pene più severe per i delitti d’onore, ma i legislatori si mostrano riluttanti sostenendo che farlo porterebbe a un aumento della “promiscuità”. Spesso vengono anzi comminate condanne leggere agli uomini che uccidono le loro parenti donne, e i giudici tendono a trattare questi casi con clemenza. I giornali israeliani hanno parlato molto della vicenda di Sarah, rievocata anche dal “Post” per l’8 marzo. Una storia che mette i brividi. Questa ragazza, di famiglia cristiana, ha dovuto scoprire da sola come la cugina fosse stata ammazzata da un altro cugino per avere avuto una relazione con un musulmano al Cairo. “Ero all’università, qui al Cairo, l’estate scorsa, quando mi chiamò mia madre” - ha detto piangendo all’inviato del “Post” - “…mi disse che mia cugina, con cui ero cresciuta e con cui avevo sempre giocato, era stata uccisa”. Come? Da chi? Perché? In queste faccende che ricordano la Sicilia degli anni ’50 e i film italiani del dopoguerra, l’omertà di madri, sorelle, delle donne in genere, è un dramma nel dramma. La famiglia di Sarah e la madre tacquero, finche la ragazza non trovò la forza di parlarne con un giornale egiziano Al Badeel. Sarah ha preso questa iniziativa dopo che, alla fine dello scorso febbraio, i quotidiani locali avevano dato notizia di altre due uccisioni di donne per delitti d’onore in due villaggi nei pressi di Alessandria. L’8 marzo, vinta o quasi la battaglia sulle mutilazioni genitali femminili anche grazie al Partito Radicale Transnazionale che ne ha fatto per anni una bandiera con Emma Bonino, le donne arabe hanno adesso bisogno di aiuto per questa altra tragedia dell’ignoranza (o della “jahylya” come direbbero loro): il delitto d’onore.
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