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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Stampa Rassegna Stampa
07.03.2012 Una pessima notizia: Obama pronto a dialogare con l'Iran per il nucleare
Ancora?! Intanto Israele si prepara a difendersi. Cronache di Giulio Meotti, Paolo Mastrolilli

Testata:Il Foglio - La Stampa
Autore: Giulio Meotti - Paolo Mastrolilli
Titolo: «La provvista d’Israele - Iran, ripartono le trattative»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 07/03/2012, in prima pagina, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " La provvista d’Israele ". Dalla STAMPA, a pag. 18, l'articolo di Paolo Mastrolilli dal titolo " Iran, ripartono le trattative ".
Ecco i due articoli:

Il FOGLIO - Giulio Meotti : "La provvista d’Israele "


Giulio Meotti

Roma. Nel giorno in cui Barack Obama e Benjamin Netanyahu si vedevano alla Casa Bianca, il quotidiano israeliano Maariv rivelava il piano, in caso di attacco alle installazioni atomiche iraniane, per trasferire gli aerei della El Al dall’aeroporto Ben Gurion a una base dell’esercito. Tel Aviv è al centro di un gigantesco mirino nel caso in cui Israele attacchi i siti di Teheran. Dal vertice con gli americani, il primo ministro israeliano non è uscito soltanto con la promessa che Washington guarderà le spalle di Gerusalemme. Netanyahu ha esposto precise richieste all’Amministrazione Obama. Una “provvista” che include la richiesta di poter usare i device elettronici in grado di identificare gli aerei; la vendita o l’uso di jet in grado di rifornire in volo i velivoli d’Israele, e l’ampliamento della batteria antimissile “Iron Dome”. All’inizio degli anni Novanta, Bush senior si rifiutò di dare agli israeliani i device elettronici, lasciando intendere che le forze americane avrebbero potuto abbattere velivoli israeliani se avessero violato lo spazio iracheno. Ehud Barak, ministro della Difesa, non può permettersi che accada di nuovo, visto che se Israele vuole colpire i siti iraniani deve passare sopra Giordania, Iraq, Arabia Saudita, Siria o Turchia. Gli aerei israeliani non sarebbero in grado di compiere il viaggio con un unico serbatoio e avrebbero bisogno di fare rifornimento in volo. Prima dell’incontro alla Casa Bianca, l’ex senatore democratico Charles Robb e il generale dell’aviazione Charles Wald hanno chiesto a Obama di vendere a Israele tre aerei da rifornimento. Gerusalemme deve potenziare il sistema antimissile “Iron Dome”, un progetto congiunto dell’azienda israeliana Rafael e dell’americana Raytheon Company, primo produttore al mondo di missili teleguidati. Israele deve dislocare una batteria sulla raffineria di Haifa: se colpita da Hezbollah, paralizzerebbe il paese. Israele vorrebbe l’aiuto americano per soccorrere eventuali piloti dispersi in Iran. Secondo numerose ricostruzioni, un pilota israeliano su tre potrebbe non tornare dalla missione.

La STAMPA - Paolo Mastrolilli : " Iran, ripartono le trattative "

Ripartono i negoziati internazionali sul programma nucleare iraniano, proprio mentre le voci di un’imminente azione militare contro la Repubblica islamica si stavano moltiplicando. Il presidente Obama ne approfitta per criticare i suoi avversari repubblicani, accusati di parlare di guerra con troppa leggerezza.

Nei giorni scorsi Saeed Jalili, capo negoziatore di Teheran, aveva segnalato la disponibilità del suo Paese a riprendere i colloqui. L’apertura era seguita alla decisione dell’Europa e degli Stati Uniti di imporre nuove sanzioni, che tra l’altro puntano a bloccare le esportazioni di petrolio iraniano. In un primo momento Teheran aveva reagito minacciando di bloccare il traffico nello stretto di Hormuz. Poi è arrivata l’apertura, cui ha risposto in maniera positiva la rappresentante Ue per la politica estera, Catherine Ashton. I colloqui dovrebbero seguire il formato già utilizzato in passato del 5 + 1, includendo Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania, ma i dettagli dovranno essere studiati nelle prossime due settimane. Di sicuro la trattativa non dovrebbe riprendere prima del capodanno iraniano, che cade alla fine del mese.

In un altro potenziale segnale di distensione, Teheran ha dato la sua disponibilità a far entrare gli ispettori dell’Aiea nella base militare di Pachin, un sito segreto a Sud-Est della capitale, dove finora l’accesso era sempre stato negato. Anche in questo caso, però, l’apertura sembra accompagnata da alcune condizioni. L’ingresso infatti sarebbe limitato a due delle cinque aree del complesso, e legato poi all’andamento dei colloqui.

Lunedì Obama ha ospitato alla Casa Bianca il premier israeliano Netanyahu, ribadendo che ogni opzione resta sul tavolo per risolvere la crisi, ma la finestra per l’intesa diplomatica è ancora aperta, anche perché stanno entrando in vigore sanzioni più dure. Netanyahu ha rivendicato il diritto dello Stato ebraico a difendersi con i suoi mezzi come ritiene necessario, e parlando poi all’organizzazione ebraica Aipac ha avvertito che il tempo a disposizione per una via d’uscita pacifica sta scadendo.

Commentando le critiche ricevute dai repubblicani, Obama ha accusato i suoi rivali di parlare con «spacconeria». Poi ha aggiunto che i candidati presidenziali non hanno responsabilità esecutive, mentre lui è il comandante in capo: «Coloro che suggeriscono, propongono o battono i tamburi di guerra, dovrebbero spiegare chiaramente al popolo americano quali sarebbero i costi della guerra».

Sull’Afghanistan Obama ha detto che le violenze seguite all’errore del Corano bruciato confermano la necessità di continuare lungo la via d’uscita prevista, mentre sulla Siria, pur denunciando ancora la repressione, ha notato che manca il consenso internazionale e un’azione unilaterale americana sarebbe un errore.

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