Titoliamo questa pagina dedicata alle elezioni iraniane " Vittoria di Hitler, Goebbels in un angolo", per riprendere il titolo del Corriere. Oppure " Goebbels cancellato dal partito nazista ", per parafrasare quello del Giornale. E' ovvio che Corriere e Giornale hanno titolato correttamente, ma altrettanto corretti sono i titoli che abbiamo scelto riandando indietro nel tempo alla Germania anni'30. Avrebbe fatto molta differenza se invece di Hitler a guidare il nazismo fosse stato Goebbels ? Come allora il problema era il nazismo, anche oggi il problema è il fondamentalismo islamico, quell' islamo-fascismo che i giornali, tutti, faticano ad adoperare come se fosse una espressione proibita.
Tra le molte cronache e commenti, riprendiamo Lorenzo Cremonesi, dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/03/2012, a pag.16. Dal GIORNALE, Gian Micalessin, a pag.14:
Corriere della Sera-Lorenzo Cremonesi: " Vittoria dei clericali. Ahmadinejad in un angolo"




Sostituire Hitler con Khamenei e Goebbels con Ahmadinejad, il risultato non cambia
TEHERAN — Come da copione, vince, anzi stravince il fronte conservatore guidato dalla Guida Suprema dello Stato, Ayatollah Ali Khamenei. A farne le spese è il presidente Mahmoud Ahmadinejad, che era destinato comunque a lasciare per la fine del suo secondo mandato tra 18 mesi, ma ora si vede impegnato in una dura battaglia per la sopravvivenza politica. La sua sconfitta è talmente grave che persino la sorella, la popolare Parvin che veniva data vincente nella circoscrizione della città natale di Garmsar e si era distinta nel consiglio municipale di Teheran, è stata battuta.
I primi risultati parziali dello spoglio delle schede per il rinnovo dei 290 membri del parlamento dopo il voto di venerdì confermano le previsioni della vigilia: lo scontro si è svolto sostanzialmente all'interno del campo conservatore. E ha visto il trionfo del successore dal 1989 dell'Ayatollah Khomeini, il carismatico padre fondatore della Repubblica Islamica nata dalla rivoluzione del 1979 e in nome del quale Khamenei continua a rivendicare la legittimità a guidare il Paese. Alle precedenti legislative del 2008, quando Khamenei e Ahmadinejad erano alleati contro il fronte riformista legato all'ex presidente Mohammad Khatami e soprattutto guidato dai leader emergenti Mir-Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi, il campo religioso pareva in grado di raccogliere l'80% delle preferenze. Ma dopo i gravissimi scontri alle elezioni presidenziali del 2009, accompagnati alle accuse di brogli nella riconferma di Ahmadinejad e al sostanziale eclissarsi nella repressione violenta del fronte laico-riformista, la dialettica politica «ufficiale» si è ristretta ai soli religiosi. Oggi Khatami è fuori gioco. E dal febbraio 2011 Mousavi e Karroubi sono agli arresti domiciliari: i loro candidati si sono ritirati, gli elettori astenuti in massa. Nessuno pare più in grado di contrastare lo strapotere egemonico di Khamenei. Con Ahmadinejad lo scontro è scoppiato oltre un anno fa, quando questi aveva cercato di allargare la sua base di potere influenzando i servizi di sicurezza e i circoli dei mullah, ora scandalizzati dalla sua esaltazione «eretica» della superiorità dell'Islam iraniano contro l'ortodossia sciita. Sembra che da aprile Khamenei stia così pensando di limitare i poteri della figura del presidente e arrogarsi la prerogativa di nominare i prossimi.
È su queste considerazioni che viene naturale guardare con sospetto ad un altro dato relativo al voto reso noto ieri: il tasso di partecipazione. Il ministero degli Interni annuncia infatti trionfante un «eccezionale» quasi 65%. Circa nove punti in più rispetto a quattro anni fa. «Altro che l'assenteismo degli americani e dell'Occidente, dove non esiste la nostra alta coscienza democratica!», esaltano radio e tv. Khamenei in persona ne fa un punto di forza della propaganda: «Votare è un diritto e un dovere. Aiuta il Paese a combattere le minacce esterne». Lo vede come un referendum al programma nucleare, la luce verde alla politica di autarchia e sfida aperta contro Israele, gli Stati Uniti e l'Occidente in generale. Ma non esiste alcuna possibilità di verifica indipendente sul tasso di partecipazione. Il regime non accetta osservatori esterni. Anche i criteri di scelta dei candidati, che vanno approvati dal Consiglio dei Guardiani sulla base della loro «idoneità morale», appaiono per lo meno aleatori. I giornalisti stranieri ammessi nel Paese venerdì sono stati accompagnati in bus a 12 seggi prescelti nella sola Teheran scortati da uno stuolo di «traduttori», poliziotti e funzionari. «Non potete vederne altri», ci è stato detto. In diversi tra i seggi visitati l'afflusso era comunque modesto: c'erano più giornalisti che votanti. I tre visti da lontano dall'inviato del Corriere, non in bus, durante il pomeriggio erano deserti. Impossibile però viaggiare nelle campagne, dove in genere il tasso di voto è alto. Negli ultimi cinque giorni abbiamo invece incontrato centinaia di cittadini che hanno sostenuto apertamente di non solo di non votare, ma soprattutto di «non credere assolutamente più ai dati forniti da un regime che ci ha imbrogliato nel 2009, arresta e perseguita gli oppositori e fomenta e bella posta una cultura del terrore e dell'accerchiamento per giustificare la repressione». Ieri diversi reporter si sono addirittura visti bloccare l'accesso alla città religiosa di Qom. Sembra si temessero scontri tra le fazioni pro e contro Ahmadinejad.
Il Giornale-Gian Micalessin:" Ahmadinejad cancellato dal partito degli ayatollah"

Se per elezioni intendete libera scelta, candidati indipendenti, equo conteggio di voti ed affluenze cambiate articolo. In Iran la pratica è passata di moda da tempo. Ma se per elezione intendete la capacità di un regime di dimostrare determinazione, efficienza ed organizzazione allora la Suprema Guida Alì Khamenei e i suoi fedelissimi godono di ottima salute. Il voto di venerdì, la chiamata alle urne di 48 milioni di iraniani chiamati a rieleggere i 290 membri del Majlees, il parlamento di Teheran, non puntava certo ad assecondare le aspettative occidentali. Chi non crede nel regime non aveva alcuna possibilità. I candidati dell’Onda Verde, il movimento riformista che nel 2009 sfidò il potere, contestò la rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad e definì «dittatore » Alì Khamenei erano già sistemati. Mir Hossein Mousavi and Mehdi Karroubi, i due capi dell’opposizione sono agli arresti dal febbraio 2011. I loro amici ancora in libertà, invece, sono stati estromessi dalle liste grazie alle cernite preventive del Consiglio dei Guardiani, l’organismo costituzionale chiamato a valutare l’aderenza dei candidati ai valori della Rivoluzione Islamica.
Khamenei e i suoi alleati dovevano sistemare, però, due questioni non marginali. Dovevano ribadire la legittimità del regime e togliersi dai piedi quello sprovveduto ed irriconoscente di Mahmoud Ahmadinejad, un presidente illusosi di poter sfidare gli stessi poteri a cui doveva due improbabili successi elettorali e due mandati consecutivi.
L’operazione fin qui è un capolavoro. Venerdì i pochi giornalisti stranieri presenti vengono accompagnati a visitare seggi stracolmi. E in serata la televisione annuncia 4 ore di proroga nella chiusura dei seggi per dar a tutti la possibilità di esaudire la volontà di una Suprema Guida che paragona il voto alla preghiere del buon musulmano e invita a trasformarlo in un «messaggio ai nemici della Repubblica Islamica».
Risultato un magico 64 per cento di affluenza dichiarata, superiore del 9 per cento a quella raggiunta alle parlamentari del 2008. «Uno schiaffo in faccia ad americani e sionisti e a tutti gli altri nemici» proclama immediatamente il ministro dell’interno Mostafà Mohammad Najjar . Come dire siamo in ottima salute e queste elezioni confermano la nostra legittimità. Alla faccia di quanti nel 2009 scesero in piazza e ci chiamarono dittatori. Alla faccia del premier israeliano Benjamin Netanyahu che domani va a trovare Obama per chiedergli il permesso di bombardarci. Alla faccia dell’America e dell’Europa convinte di poterci ridurci in miseria e toglierci l’appoggio popolare con l’arma delle sanzioni.
Anche la distruzione di Mahmoud Ahmadinejad, la sua trasformazione in innocuo ed irrilevante cadavere politico, sembra pienamente conseguita. I candidati al Majlees fedeli alla Suprema Guida dovrebbero aver già guadagnato la quota del 50 per cento. Quelli di Ahmadinejad dovranno dividersi la restante metà con una pattuglia di centristi e indipendenti sicuramente più disponibili ad appoggiare i poter forti che non ad allinearsi con un presidente in disgrazia.
E alla sconfitta s’aggiunge la sferzante umiliazione. Parvin Ahmadinejad, la sorellina più giovane del presidente, candidata al Parlamento nella città natale di Garmsar, si ritrova graziosamente trombata. Il signor Gholam Ali Haddad Adel, un Carneade famoso soltanto per aver dato la figlia in moglie al primogenito di Alì Khamenei, guida invece i risultati della circoscrizione di Teheran. Alì Larijani,l’ex negoziatore nucleare umiliato e costretto alla dimissioni dal presidente conquista invece la vittoria nella città santa di Qom. Sferzate dolorose inferte per indicare al presidente che sognava di farsi re il deferente e silenzioso percorso da imboccare durante i 18 restanti mesi di solitario e inutile mandato.
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