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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio-Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.03.2012 Tra Gerusalemme e Washington, il futuro dell'Iran
Articoli di Giulio Meotti, Mattia Ferraresi, Guido Olimpio

Testata:Il Foglio-Corriere della Sera
Autore: Mattia Ferraresi-Giulio Meotti-Guido Olimpio
Titolo: «La prima sfida tra candidati repubblicani e Obama è su Israele-Chiamata numero 8-Obama avverte: Verso teheran non sto bluffando»

Settimana di incontri fondamentali, la prossima, a Washington.  Lunedì Bibi Netanyahu incontra Obama, il quale già domani domenica parlerà all'Aipac. Riprendiamo dal FOGLIO una corrispondenza da New York di Mattia Ferraresi, una analisi sulla situazione vista da Israele di Giulio Meotti sullo stesso giornale, mentre dal CORRIERE della SERA a pag.16, la posizione di Obama raccontata da Guido Olimpio.
Ecco gli articoli:

Il Foglio-Mattia Ferraresi: " La prima sfida tra candidati repubblicani e Obama è su Israele"

 

New York. Mitt Romney e Rick Santorum parleranno al congresso dell’Aipac, la lobby americana pro Israele, dove domenica interverrà il presidente, Barack Obama. Newt Gingrich era già fra gli ospiti in programma, a parziale interruzione della consuetudine di non invitare candidati alla Casa Bianca quando c’è un presidente che corre per la rielezione. Questa è la motivazione per cui nel 2004 John Kerry non è stato invitato. Ma l’enorme pressione israeliana per uno strike alle strutture nucleari iraniane, le frizioni dell’Amministrazione con il governo di Benjamin Netanyahu – i due si incontreranno lunedì – e la narrativa imbracciata dai candidati repubblicani (a eccezione di Ron Paul) secondo cui Obama ha abbandonato Israele portano a rimescolare le carte nella conferenza più importante per la constituency ebraica. L’Aipac è l’interfaccia di un Congresso che coltiva con zelo bipartisan gli interessi di Israele e, nonostante quasi tutti i parlamentari ebrei siano democratici (specchio di un elettorato storicamente liberal), la domanda da sbrogliare in modo cogente è: l’Amministrazione è disposta a sostenere Israele fino ad appoggiare un’operazione militare contro i siti iraniani? I candidati repubblicani hanno tutto l’interesse a rispondere e a mostrare gli artigli rapaci, così da sottolineare la differenza con i rapporti altalenanti stabiliti da Obama con il governo conservatore di Netanyahu. Includere nella conferenza i tre candidati che all’unisono ripetono che Obama ha gettato Israele “under the bus” è (anche) un modo per costringere il presidente a dare qualche garanzia in più agli israeliani. Obama non ha motivi per dubitare del “voto ebraico”, ma deve tendere una mano al Congresso, che chiede più impegno verso l’alleato. La prima mossa l’ha fatta con l’intervista concessa a Jeffrey Goldberg dell’Atlantic – portavoce in pectore della comunità ebraica democratica – che può essere riassunta così: “State tranquilli, sono con voi”.

Il Foglio-Giulio Meotti: " Chiamata numero 8"

 I “miluim”, i riservisti d’Israele, a giorni potrebbero ricevere la “Chiamata 8”, il nome in codice della cartolina militare marrone che nessuno può ridare al postino. Sono le braccia strappate quaranta giorni l’anno alla vita normale, perché s’infilino la tracolla degli M 16 e servano nell’esercito. In vista di un possibile conflitto con l’Iran avviato sulla via del nucleare, i riservisti dello Home Front Command hanno ricevuto già la lettera (firmata dal colonnello Sagi Tirosh) che li invita a ritirare le maschere antigas dai depositi. Durante un briefing del generale Agay Yehezkel è stato delineato uno scenario in cui la mobilitazione avviene sotto una reazione concentrica, con centinaia e centinaia di missili in arrivo dalla Siria, dal Libano e da Gaza. “Le guerre nel passato non hanno raggiunto il fronte interno, la prossima vedrà la riserva mobilitata nelle città”, ha detto il generale. Amir Oren di Haaretz ha scritto che in caso di guerra con l’Iran i riservisti saranno la prima linea. Così, mentre la brigata paracadutisti conduceva la più massiccia esercitazione degli ultimi quindici anni nel deserto del Negev (oltre mille uomini lanciati simulando un attacco che, secondo gli esperti, ricorda molto quello effettuato sul Canale di Suez durante la Guerra dei Sei Giorni nel 1967), Israele metteva in allerta il suo grande bacino militare. La riserva è la vera arma segreta dell’esercito israeliano, circa 500 mila persone, uomini e donne che si aggiungono ai 200 mila soldati di leva. Sono sempre stati decisivi nelle guerre d’Israele, come quando nel 1973 ci fu il famoso attacco concentrico del Kippur, e solo quando le riserve riuscirono a essere mobilitate il paese reagì allo choc. Il colonnello Tirosh ha appena chiesto alle riserve di munirsi di maschere antigas. “C’è ne è soltanto un numero limitato, se non le prendete ora, rimarrete senza”, recita una lettera. Vi sono anche quei riservisti che pur avendo superato la soglia dei quarantacinque anni ed essendo quindi esenti dal servizio hanno chiesto di poter tornare sul campo.

Corriere della Sera- Guido Olimpio: " Obama avverte: Verso teheran non sto bluffando"

 Che si diranno lunedì ?

WASHINGTON — Barak Obama e il premier israeliano Benjamin Netanyahu si vedranno lunedì alla Casa Bianca per parlare di Iran. Un confronto che potrebbe diventare uno scontro viste le differenze delle posizioni. Per questo si avvicinano al momento con grandi manovre e qualche provocazione. Un agitarsi di due leader che non si amano affiancato da una campagna di persuasione condotta attraverso i media. La prima mossa l'ha giocata Obama con un duplice segnale. «Un attacco prematuro — ha sostenuto in un'intervista — trasformerebbe l'Iran in una vittima». E in effetti è ciò che qualche mullah sogna. Poi, raccogliendo un appello arrivato da Israele, ha avvertito che se dovessero fallire le sanzioni ogni opzione è sul tavolo. E ha aggiunto rivolto a tutti: «Non è un bluff». Dunque la Casa Bianca vuole evitare di legarsi le mani. Ma anche Israele. E, infatti, Netanyahu ha replicato con il classico «abbiamo diritto di difenderci» rafforzato da un «vogliamo avere libertà di manovra». Perché, è la sua analisi, i contatti diplomatici non porteranno a nulla, «sono una trappola». Se l'Iran vuole trattare davvero — è la condizione — «prima fermi il suo programma atomico». A Teheran non ci pensano per nulla e adesso sono alla prese con le presidenziali. Ieri si è votato in tutto il Paese, con un'affluenza del 64,4 per cento. Dato celebrato dal regime con il fervore rivoluzionario.
Ma questo non è più il momento degli slogan. Ora è solo una questione di tempo e di sostanza. La complessa alleanza Usa-Israele ruota adesso attorno a questi due fattori. Netanyahu viene a Washington con l'obiettivo di ottenere dal presidente delle «linee rosse» nette. A cominciare da quella chiave: se le sanzioni non funzioneranno si dovrà passare all'ipotesi militare. Obama ha già risposto ma gli israeliani, che sono pragmatici come l'uomo venuto da Chicago, vogliono fatti. L'opposizione degli Usa a un attacco «prematuro» preoccupa Gerusalemme. In queste settimane è emerso in modo evidente che c'è un'intesa sul piantare i paletti, però il problema è dove. A cominciare dal punto critico. Per gli Usa è quando l'Iran inizierà a costruire la Bomba, per Israele quando avrà conoscenza tecnica e ingredienti per farlo. Meta che, secondo Gerusalemme, è davvero vicina mentre a Washington pensano che gli ayatollah non abbiano deciso cosa fare. Un dibattito che sconfina nel tecnico. Gli americani ritengono di avere armi sofisticate per poter distruggere anche i bunker più profondi, l'alleato teme invece che più passano i giorni e più sarà difficile distruggere i tunnel. E, non senza contraddizioni, gli esperti Usa avanzano qualche dubbio sui risultati definitivi di un eventuale raid. Pareri che si sposano con le posizioni di generali e intelligence. A loro giudizio l'attacco sarebbe destabilizzante per l'intera regione.
Sugli scenari di guerra pesano poi le questioni interne. In particolare per la Casa Bianca. Diversi articoli lo hanno ben ricordato. In caso di crisi con l'Iran vi sarebbe un aumento del prezzo del petrolio e della benzina. Un rialzo che il presidente non può permettersi in campagna elettorale. E ricordando le sventure di Jimmy Carter hanno ipotizzato che potrebbe uscire sconfitto. Considerazioni «domestiche» che — a giudizio di alcuni — sono state soppesate da Netanyahu. Israele, si dice, può attaccare prima delle presidenziali di novembre scommettendo sul fatto che Obama non vorrà fare il gioco dei repubblicani mettendosi di traverso. Del resto il premier conosce bene l'America e spesso interagisce con gli avversari di Obama. Altri sminuiscono questa componente: Israele agirà senza tenerne conto.
Molti sono comunque convinti che «Bibi» — pur avendo pronto il piano per il blitz — stia cercando un'alternativa. Se c'era davvero fretta avrebbe dovuto agire. E allora è possibile che speri nelle promesse «armate» americane. Se non dovessero bastare, potrà dire di aver concesso tempo e di aver dato l'ok al blitz solo alla fine.

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