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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica - L'Unità Rassegna Stampa
21.02.2012 Siria: il doppio standard della Croce Rossa Internazionale
scrivere alla CRI per protestare. Cronaca di Udg, commento di Moises Naim

Testata:La Repubblica - L'Unità
Autore: Moises Naim - Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Il rebus del tiranno siriano - Siria, la Croce Rossa tenta una mediazione per il cessate-il-fuoco»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 21/02/2012, a pag. 33, l'articolo di Moises Naim dal titolo " Il rebus del tiranno siriano ". Dall'UNITA', a pag. 34, l'articolo di Umberto De Giovannangeli dal titolo " Siria, la Croce Rossa tenta una mediazione per il cessate-il-fuoco ".

Apprendiamo dalla cronaca di Udg dell'impegno che la Croce Rossa Internazionale si è assunta nel ruolo di mediatore in Siria.
Ci chiediamo a che cosa sia dovuto l'interesse della Croce Rossa in Siria, dal momento che per Gilad Shalit non aveva mosso un dito. Cinque anni e mezzo di prigionia sotto silenzio.
Invitiamo i lettori di IC a scrivere alla CRI per chiedere spiegazioni cliccando sul link sottostante
http://www.icrc.org/web/forms/webforms.nsf/F_Gen2?OpenForm&ParentUNID=0CBE70F975D1215BC125717100394B7C

Ecco i due articoli:

La REPUBBLICA - Moises Naim : " Il rebus del tiranno siriano "


Moises Naim             Bashar al Assad

È la domanda che il tiranno siriano probabilmente si pone ogni giorno. Si parla molto delle opzioni a disposizione delle democrazie mondiali per fermare il massacro, ma non si parla altrettanto delle opzioni ancora a disposizione di Assad. Me lo immagino a riflettere sulle sue possibilità mentre contempla due fotografie dell´anno scorso. Una ritrae la sua bella sposa Asma in un servizio elogiativo della rivista Vogue, l´altra è quella del cadavere di Muhammar Gheddafi. La prima gli ricorda una vita e delle alternative che ormai non possiede più, la seconda mostra quale potrebbe essere il suo destino. La speranza – simboleggiata dall´articolo di Vogue – che Assad potesse riformare la brutale dittatura ereditata da suo padre, ormai non la nutre più nessuno: le migliaia di innocenti assassinati bloccano quella via d´uscita. Ma se questa e altre porte sono chiuse, quali rimangono aperte?
1) Uccidere. Assad può continuare, come ha fatto finora, a uccidere i rivoltosi e le loro famiglie. È quello che ha cercato di fare Gheddafi. Il dittatore libico è stato fermato dalla Nato, ma il dittatore siriano sa che le potenze occidentali non scenderanno in guerra contro il suo Paese; e ogni volta che gli impongono nuove sanzioni, Assad alza il livello dei massacri. Ma sa anche che la repressione da sola non è la via d´uscita, che non la può portare avanti a tempo indefinito, che troppi Paesi stanno armando e appoggiando gli insorti, le cui file crescono di giorno in giorno, e che in qualsiasi momento una fazione importante delle sue forze armate potrebbe voltargli le spalle; e Cina e Russia anche. Uccidere non basta.
2) Negoziare. Il problema è: con chi? L´opposizione è un amalgama in perenne mutamento di gruppi non coordinati tra loro, accomunati solo da un´irrinunciabile volontà di rovesciare Assad. L´altra alternativa è negoziare con gli stranieri: l´Onu, la Lega araba, l´Unione Europea, gli Stati Uniti e così via. Assad potrebbe promettere, in cambio della mediazione internazionale (invio di caschi blu?), una serie di riforme politiche che comportino una parziale rinuncia al potere. Ma sarebbe ingenuo presupporre che gli stranieri gli crederanno o che non esigeranno garanzie forti. E nemmeno Assad stesso ci crede. Sa bene che cedere un po´ di potere fa aumentare di parecchio la possibilità di perderlo completamente (vedere Mubarak, Hosni). L´ostinato rifiuto di fare concessioni da parte di Gheddafi era basato su questa convinzione. Ma, si starà domandando il leader siriano, se Gheddafi avesse saputo dove lo avrebbe portato la sua intransigenza, avrebbe tenuto duro comunque su quella linea? Alla fine Gheddafi e i suoi figli hanno cercato disperatamente la maniera di negoziare una tregua che potesse garantirgli di restare al potere, anche se con maggiori limiti, ma ormai era troppo tardi. La lezione della Libia è che bisogna negoziare prima di essere sconfitti. La lezione dell´Egitto, della Tunisia e dello Yemen è che nei regimi autoritari non esiste il concetto di condividere «un po´» il potere. O tutto o niente.
3) Fuggire. L´esilio è meglio della morte. O del carcere. Sicuramente la pensano così i familiari di Mubarak, Hussein e Gheddafi, per citarne alcuni. E oggi la qualità di vita dell´haitiano Baby Doc Duvalier è migliore di quella di Seif al-Islam Gheddafi. Anche la famiglia Assad deve essersi posta il problema. Dove andare, però? In Europa li aspetta la Corte penale internazionale e centinaia di organizzazioni che hanno documentato le atrocità commesse da Assad e dai suoi familiari. Un´altra possibilità è l´Iran, o anche la Cina e la Russia. Il grande problema è: chi altri far salire a bordo dell´aereo che li condurrà in esilio? Il fratello del presidente dirige l´apparato repressivo del regime e la sorella è indicata come una delle fautrici più agguerrite del pugno di ferro. E poi ci sono i generali, i capi degli organismi di sicurezza, i loro soci e altri collaboratori stretti; e rispettive famiglie. Gira voce, ed è abbastanza plausibile, che gli accoliti di Assad abbiano creato una rete molto efficace per impedire al dittatore di fuggire, nel caso si decidesse per l´esilio.
La fine della sanguinaria dinastia siriana si avvicina, ma nessuno sa se sarà una questione di giorni, settimane o mesi. Come abbiamo visto, le opzioni ancora disponibili per Assad sono poche e poco invitanti. È vero che i grandi leader riescono ad aprire strade nuove verso scenari che nessun altro aveva immaginato, ma è altrettanto vero che Bashar al-Assad non è un grande leader. Forse l´unica speranza che rimane è che sua moglie, che prima dei massacri la rivista Paris Match aveva definito «un elemento di luce in un Paese pieno di ombre», possa illuminare la strada per salvare migliaia di vite; compresa quella di suo marito.

L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Siria, la Croce Rossa tenta una mediazione per il cessate-il-fuoco "

Una«goccia» di speranza inunmare di notizie negative. Il «mare» siriano. Èstata liberata Razan Ghazzawi, blogger icona della rivolta in Siria, arrestata dalle forze di sicurezza il 16febbraio a Damasco insieme ad altre 13 persone. A riferirlo è stato l'avvocato della dissidente, Anwar Bunni, il quale ha annunciato che, oltre a Ghazzawi, sono state rilasciate altre 6 attiviste. La blogger era stato fermata duranteunblitz compiuto nel Centro siriano per la libertà di espressione. In manette era finito anche il direttore del Centro, Mazen Darwish, che rimane tuttora in detenzione. Razan Ghazzawi, dal 2009 scrive ed anima il blog Razaniayat dove con le sue parole è diventata un punto di riferimentopolitico e sociale per i cittadini siriani. Più volte proprio sul suo blog sono stati denunciati gli atti di repressione che il regime ha avuto in questi mesi nei confronti di blogger e giornalisti.
CONTROCORRENTE
Sfogliando le pagine virtuali del suo diario, si legge che Razan non ha mai fatto sconti a nessuno. Non al regime siriano, che ha sempre considerato unadittatura autocratica da rimuovere attraverso la lotta per l’istituzione della democrazia, ma non ha fatto sconti neanche alle organizzazioni non governative occidentali, colpevoli a suo dire di essersi «arricchite» durante la «cosiddetta Primavera araba».
CRONACA DI GUERRA
Al freddo senza riscaldamenti, assetati senz'acqua e affamati senza pane, migliaia di abitanti di Bab Amro, martoriato e assediato quartiere di Homs,terza città siriana teatro della repressione ed epicentro della rivolta, invocano aiuto e chiedono che siano evacuati almeno le donnee i bambini. Inun appello apparso su internet e firmato dalla Commissione generale della rivoluzione siriana, una delle piattaforme dell'attivismo anti-regime, si legge che «gli abitanti, nel freddo e in condizioni insopportabili, sono destinati a morire... almenodonne e bambini vanno evacuati immediatamente ». Nei giorni scorsi da Bab Amro, quartiere originariamente abitato da circa 100mila persone, era stato diffuso un video amatoriale, la cui autenticità non può essere verificata in maniera indipendente, chemostravacomegli abitanti raccoglievano l'acqua piovana dagli scoli degli edifici ancora in piedi per usarla come acqua da bere. Bab Amro e altri quartieri di Homs sono da più di due settimane sotto il fuoco dell'artiglieria governativa e secondo gli attivisti, ieri sono arrivati alla periferia della città nuovi rinforzi militari, per lo più soldati. I Comitati di coordinamento locali degli attivisti riferiscono ieri di9 uccisi accertati aHoms,mahanno annunciato che è impossibile dare cifre esatte dei morti a Bab Amro a causa della quasi totale assenza di comunicazioni e degli incessanti bombardamenti che costringono i residenti a rimanere al piano terra delle abitazioni. In questo scenario di guerra totale, il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) ha detto ieri alla Reuters che è impegnato in trattative sia con le autorità siriane sia con l'opposizione sul terreno per giungere ad una «cessazione delle ostilità » che permetta di portare aiuti e assistenza ai civili. Secondo fonti diplomatiche la Croce rossa internazionale, unica agenzia internazionale che ha in Siria suoi operatori, chiede una cessazione delle ostilità di due ore nei posti più critici, compresa Homs. Il Cicr sta prendendo in considerazione diverse possibilità per inviare aiuti umanitari di cui c'è urgente bisogno. Tra queste c'è la richiesta di una «cessazione delle ostilità nelle zone più colpite», ha detto la portavoce del Cicr, Carla Haddad.
DIPLOMAZIA IN MOVIMENTO
Stop alle violenze in Siria con un' azione diplomatica che aiuti il Paese a trovare una nuova stabilità rispettando i diritti di tutti. Da Villa Madama, al termine della riunione del5+5, ilministro degli Esteri Giulio Terzi lancia un appello e riaffermala linea italiana ribadendo la necessità di azioni concertate con i partner del Nord e del Sud, dall' Unione europea alla Lega araba passando, ovviamente, per il gruppo «amici della Siria» che si riunisce venerdì a Tunisi. L'obiettivo della nostra azione diplomatica, è «fermare le violenze, fermare le stragi, trovare una nuova stabilità per un grande Paese come la Siria che dovrà rispettare i diritti di tutti», ha sottolineato il titolare della Farnesina.

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