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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera-Libero Rassegna Stampa
19.02.2012 Iran: venti di guerra, ma per ora sono solo ipotesi
Articoli di Freed Zakaria, Guido Olimpio, Carlo Panella

Testata:Corriere della Sera-Libero
Autore: Fareed Zakaria-Guido Olimpio-Carlo Panella
Titolo: «Il rischio di giocare d'anticipo con l'Iran-Navi iraniane nel Mediterraneo, gli ayatollah mostrano i muscoli-Navi iraniane nel Mediterraneo, Israele attaccherà a settembre»

La quetione Iran tiene banco oggi su tutti giornali, Pubblichiamo dal CORRIERE della SERA l'analisi di Freed Zakaria, per capire quale fine farà l'Occidente è sufficiente leggere i suoi ragionamenti. Non fossimo totalmente contrari alle teorie complottiste, definiremmo Zakaria il cavallo di Troia del fondamentalismo islamista all'interno della nostra società democratica. Evitiamo di commentare la sua analisi, basta leggerla per essere riconfermati nel giudizio sull'autore. Che il Corriere tiene in gran conto, ovviamente, come se bastasse aver diretto NEWSWEEK per avere la fedina pulita.  Seguono due cronache, la prima di Guido Olimpio, sempre sul Corriere, la seconda da LIBERO, di Carlo Panella, a pag.16. 
ecco i pezzi:

Corriere della Sera-Fareed Zakaria:  Il rischio di giocare d'anticipo con l'Iran "

Negli ultimi giorni, in tutti i dibattiti sull'Iran, si sente ventilare un nuovo concetto: la «zona d'immunità». L'idea, spesso elaborata da Ehud Barak, il ministro della Difesa israeliano, è che ben presto l'Iran si sarà spinto talmente avanti nella sua capacità nucleare da non consentire più a Israele di infliggere un attacco in grado di rallentare il suo programma.
In realtà, sebbene i particolari si riferiscano alla situazione attuale, non siamo davanti a un nuovo concetto strategico. Le nazioni hanno spesso creduto di dover sfruttare quell'ultimo spiraglio di tempo per agire, e quasi sempre questa decisione ha portato a esiti disastrosi. L'esempio più famoso fu l'intervento tedesco che segnò l'inizio della Prima guerra mondiale.
Lo stato maggiore tedesco era convinto che il suo arcinemico — la Russia — stesse procedendo nel riarmo con una tale celerità da presentare una seria minaccia alla potenza militare germanica. I tedeschi erano convinti che in due anni — entro il 1916 — la Russia si sarebbe assicurata un vantaggio strategico considerevole, tale da renderla imbattibile.
Di conseguenza, allo scoppiare dei primi disordini nei Balcani nel giugno del 1914, la Germania decise di agire. Per impedire alla Russia di penetrare in una zona di immunità, la Germania invase la Francia (principale alleato della Russia) e il Belgio, costringendo così l'Inghilterra a entrare in guerra e scatenando un conflitto europeo su un doppio fronte militare che si protrasse quattro anni e si lasciò alle spalle più di 37 milioni di morti.
Non mi azzardo certamente a ipotizzare che un attacco israeliano contro l'Iran rischierebbe di innescare conseguenze simili, vorrei soltanto suggerire che è profondamente miope motivare una gravissima decisione — l'entrata in guerra — sulla base di considerazioni tecniche assai fragili e limitate, come gli spiragli di vulnerabilità. Nel marzo del 2003, furono in molti a Washington a insistere che non si poteva aspettare che gli ispettori dell'agenzia nucleare terminassero il loro lavoro in Iraq, perché quello spiraglio si chiudeva ogni giorno di più — e avrebbe fatto troppo caldo a giugno e a luglio per inviare l'esercito americano. Ci siamo precipitati in un'invasione e in un'occupazione militare che non erano state adeguatamente preparate, costringendo i nostri soldati a combattere in Iraq per nove lunghissimi, e caldissimi, anni.
Gli ufficiali israeliani ci spiegano che noi americani non possiamo capire i loro timori: l'Iran rappresenta una minaccia esistenziale per il loro Paese. Ma in realtà li capiamo benissimo, perché anche noi abbiamo dovuto affrontare un'esperienza molto simile. Dopo la Seconda guerra mondiale, quando l'Unione Sovietica si dotò dell'arma atomica, gli Stati Uniti furono invasi da un panico che si trascinò per anni. Tutto quello che Israele dice oggi dell'Iran noi lo abbiamo detto dell'Unione Sovietica. L'Urss rappresentava ai nostri occhi un regime estremista e rivoluzionario, contrario a tutti i nostri valori, deciso a rovesciare i governi occidentali per instaurare il comunismo globale. Per noi Mosca era irrazionale, aggressiva e totalmente sprezzante della vita umana.
Proprio come oggi Israele sta apertamente considerando azioni militari preventive contro l'Iran, molti in Occidente sollecitavano simili interventi contro Mosca sul finire degli anni Quaranta. Per cogliere appieno le tensioni di quei tempi, rileggiamo queste righe, tratte dal diario di Harold Nicolson, che forse fu uno dei diplomatici britannici più riflessivi e misurati della sua generazione: «29 novembre 1948. Si dà per certo che la Russia si sta preparando alla battaglia finale per la conquista del mondo e che non appena disporrà di un arsenale sufficiente distruggerà l'Europa occidentale, per poi occupare l'Asia e scatenare un attacco all'ultimo sangue contro le Americhe. Se ciò accadesse e noi finissimo annientati qui in Europa, i superstiti in Nuova Zelanda potrebbero accusarci di non aver mosso dito per impedirlo».
In un discorso presso l'arsenale marittimo di Boston, nell'agosto del 1950, il ministro della Marina militare Francis Matthews sostenne che proprio «per aver iniziato una guerra di aggressione», gli Stati Uniti «sarebbero stati chiamati i primi aggressori in nome della pace».
Alla fine, tuttavia, i rivoluzionari globali di Mosca, i pazzi autocrati di Pyongyang e i generali simpatizzanti dei terroristi in Pakistan, hanno tutti trovato il miglior deterrente nel timore della distruzione reciproca. Benché spesso definito demenziale, il regime di Teheran è lungi dall'aver replicato gli eccessi perpetrati dalla Cina di Mao. Nel corso dell'ultimo decennio, ci sono stati migliaia di attentatori suicidi di origine saudita, egiziana, libanese, palestinese e pakistana, ma non un solo attacco è stato portato a termine da un cittadino iraniano. Anche se riuscisse a dotarsi di un ordigno nucleare rudimentale nei prossimi anni, siamo sicuri che l'Iran voglia lanciare per primo un attacco suicida?
«Israele si trova ad affrontare le scelte che Stati Uniti e Gran Bretagna dovettero fronteggiare più di sessant'anni fa», dice Gideon Rose, direttore di Foreign Affairs. «Anche Israele ammetterà, si spera, che è impossibile garantirsi la sicurezza assoluta nell'era nucleare, e che se non sarà in grado di ritardare o danneggiare i programmi nucleari dei suoi nemici, la dissuasione è meno disastrosa di una guerra preventiva».
(Traduzione di Rita Baldassarre)

Corriere della Sera-Guido Olimpio: " Navi iraniane nel Mediterraneo, gli ayatollah mostrano i muscoli "


Navi iraniane

WASHINGTON — Gli americani mandano la loro flotta attraverso Hormuz e gli iraniani rispondono mostrando bandiera — e muscoli — inviando due navi nel Mediterraneo. La fregata «Shaid Qandi» e l'unità d'appoggio «Kharg», dopo aver attraversato Suez, sarebbero giunte nel porto siriano di Tartus per esercitazioni con la locale Marina. Movimenti monitorati dagli israeliani e dagli americani che, nonostante la superiorità dei loro mezzi, non si fidano troppo delle mosse dei mullah.
L'ingresso delle navi è stato annunciato dal comandante in capo della Marina, ammiraglio Habibollah Sayyari, e «benedetto» dalla guida Alì Khamenei. Un modo per sottolineare la compattezza in questo momento difficile e rimarcare — come ha detto lo stesso ufficiale — «la potenza della Repubblica islamica». La missione ripete nella sostanza quella di un anno fa, quando, sempre la «Kharg» e un'altra fregata, si fecero vedere in Mediterraneo. Teheran, che dispone di un naviglio ridotto per questo tipo di missioni (poche fregate e alcuni sottomarini russi), è intenzionata ad allargare il proprio orizzonte operativo. Non solo in difesa delle proprie acque ma anche in regioni più remote. Da due anni un paio di unità sono impegnate nell'attività anti-pirateria in Somalia e altre navi «strane» sono state segnalate sulle rotte Africa-Estremo Oriente. In particolare un cargo — armato e dotato di gru — sorpreso dagli indiani in movimenti poco chiari. Nei prossimi mesi, poi, la Marina ha annunciato di voler inviare una nave nell'Atlantico. Una presenza simbolica che racchiude un significato politico.
Fatte le debite proporzioni tra lo schieramento iraniano e quello dei potenziali avversari, è chiaro che in questa fase Teheran non vuole restare indietro. E mescolando annunci ad effetto — sul nucleare, sulle ritorsioni contro l'Europa, sul negoziato, in campo militare — cerca di riprendere l'iniziativa. Una risposta evidente alle minacce — quotidiane — di attacco.
La «crociera» in Mediterraneo, infatti, si accompagna alle manovre di sfida nei confronti dell'Us Navy nel Golfo Persico. Gli iraniani hanno spedito i loro battelli veloci ad inseguire il «Carrier Strike Group Nine», il gruppo d'attacco guidato dalla portaerei «Lincoln» che ha di recente varcato la porta di Hormuz. Come i lillipuziani con Gulliver, sciami di motoscafi veloci simulano incursioni e attacchi, tenendosi comunque a distanza di sicurezza. Il potere di fuoco americano è superiore ma come hanno ribadito in questi giorni fonti dell'Us Navy c'è il timore che — in caso di crisi — gli iraniani possano lanciare battelli guidati da kamikaze. E a Teheran i pasdaran, che seguono attentamente ciò che scrivono di loro, stanno al gioco. Forse si divertono anche. Il problema è non fare errori di valutazione. Senza cadere in mezzo a qualche incidente che può diventare qualcosa di più serio. Gli iraniani sono più furbi di Saddam, ma dovrebbero ricordarsi che sono sotto sorveglianza. E correre sul filo può diventare rischioso. Così inviando navi verso i porti siriani danno ragione alle denunce statunitensi sull'appoggio consistente garantito al regime di Bashar Assad. Un sostegno prima politico e poi militare.
L'aria che tira non è buona, anche se non dispera di far ripartire le trattative sul nucleare. Lo confermano i pareri raccolti dal quotidiano britannico Guardian nell'amministrazione Usa. A Washington ritengono che le sanzioni falliranno e che Israele potrebbe lanciare un'operazione militare tra settembre e ottobre. Una «sorpresa d'autunno» favorita dalla vigilia delle presidenziali americane. Il premier israeliano Netanyahu è convinto che Barack Obama potrebbe fare ben poco per frenarlo a meno di non voler alienarsi quell'elettorato che ritiene l'Iran una minaccia e Israele un alleato da proteggere sempre. Di questo e di altro parlerà a Gerusalemme in queste ore l'inviato speciale di Obama, Tom Dillon. A Washington sorvegliano i minareti di Teheran ma sono ben attentati a quello che fanno sotto la torre di David.

Libero-Carlo Panella: " Navi iraniane nel Mediterraneo, Israele attaccherà a settembre "

 L’Iran continua indisturbato a farsi beffe della comunità internazionale. Ieri, l’ayatollah Khamenei ha inviato nel Mediterraneo il cacciatorpediniere Shahid Qandi e la nave di supporto Kharg che hanno attraccato nel porto siriano di Tartus, in evidente e tracotante appoggio alla repressione del presidente siriano Beshar al Assad e per «dimostrare la potenza del regime santo della Repubblica Islamica», come ha affermato l’ammiraglio iraniano Habibollah Sayari. Le due navi militari hanno attraccato - non a caso - ad un molo adiacente a quello a cui è ancorata da settimane la flotta russa composta dalla portaerei “Kuznetov” e da due incrociatori, inviati da Putin in muscolare di appoggio al regime siriano. Una vera e propria “politica delle cannoniere” che evidenzia l’ennesimo trucco contenuto nella mossa di giovedì del responsabile della Sicurezza di Teheran Shaeed Jalili, che ha lanciato l’ennesima esca all’occidente inviando una lettera al “gruppo di contatto” in cui si dice «pronto al dialogo costruttivo sul programma atomico». Lettera valutata con favore e speranza sia da Hillary Clinton che da Catherine Ashton, a testimonianza della ignava impotenza degli Usa e della Ue non solo nei confronti della mattanza in atto in Siria (che Assad continua assolutamente indisturbato), ma anche e soprattutto della minaccia nucleare e bellicista di Teheran. Non vi sono dubbi che entro pochi mesi l’Iran avrà a disposizione uranio arricchito per la costruzione di almeno 4 bombe atomiche e che ababbia già i missili in grado farle esplodere su Israele (e sull’Arabia Saudita). Ancora meno dubbi vi sono sul fatto che le sanzioni non spingono affatto il regime degli ayatollah a desistere da questo progetto apocalittico e a modificare la loro linea oltranzista (la manovra militare in pieno Mediterraneo, a poche miglia da Israele, un vero sfregio, ne è prova eloquente). Si fa dunque sempre più concreta la necessità di una azione militare che elimini con le sue centrali e basi missilistiche (come Israele fece nel 1980 con la centrale nucleare Osirak di Saddam Hussein) la minaccia di un regime aggressivo - che usa a piene mani del terrorismo - dotato di armamento nucleare. Ma la strategia dialogante di Obama e le sue illusioni sui suoi effetti hanno precluso agli Usa di fare quanto faceva George W. Bush: trattare con gli ayatollah facendo contemporaneamente loro intendere che il fallimento della trattativa avrebbe significato guerra. Il peso della neutralizzazione della minaccia nucleare iraniana (che coinvolge la stessa Europa), ricade dunque tutto su Israele, apertamente minacciato più volte da Ahmadinejad e da Khamenei di distruzione. Ieri, il Guardian di Londra, ha rivelato che ampi settori del Pentagono «si dicono sempre più certi dell'inutilità delle sanzioni contro Teheran e convinti che gli Usa saranno costretti ad attaccare o guardare Israele che attacca l'Iran entro la fine del 2012 perché Teheran si comporta come se le sanzioni non contassero, come se la sua economia non stesse crollando e Israele stesse con le mani in mano». L’attacco israeliano è previsto tra aprile o giugno o tra settembre e ottobre. Dunque, a ridosso delle elezioni presidenziali del 6 novembre 2012 in cui Obama si gioca la rielezione. Una scadenza militare a cui l’amletico presidente arriva con ansia, impreparato, senza una strategia politica e militare per affrontare la guerra che scoppierà il giorno dopo il bombardamento dei siti nucleari iraniani e che scuoterà tutto il Medio oriente. Uno scenario da dilettanti

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