Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/02/2012, a pag. 16, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Brigate internazionali in azione in Siria a fianco degli insorti ". Dalla STAMPA, a pag. 17, l'intervista di Paolo Mastrolilli a Giulio Terzi dal titolo " Dialogo con la Primavera araba. L’America ci vuole in prima linea ", preceduta dal nostro commento.
Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Brigate internazionali in azione in Siria a fianco degli insorti "


Guido Olimpio
WASHINGTON — La «legione» libica che combatte al fianco dei ribelli siriani ricorda i suoi «martiri». Sulla stampa di Bengasi è infatti apparsa la notizia della morte di tre jihadisti partiti dalla città nordafricana. I fratelli Talal e Ahmed Faitouri, insieme al loro amico Ahmed Aqouri, sono caduti in uno scontro a fuoco a Homs. Chi li conosceva ha raccontato che avevano lasciato la Libia in dicembre per entrare, via Libano, nel territorio siriano. Interessante la data. Perché è proprio allora che il patto tra le due rivoluzioni entra in una nuova fase. In quei giorni, il presidente del Consiglio nazionale siriano Burhan Ghalioun incontra a Tripoli i nuovi dirigenti. E scatta il piano d'azione che porta i volontari in Siria. Quanti? Secondo alcuni 100-200 uomini, quasi 600 per altre fonti, sparpagliati tra Homs, Idlib e Rastan. Nessuno li ha fermati e nessuno li fermerà. Come ha detto ieri il ministro degli Esteri libico Ashour Bin Kayal: «È impossibile controllare il desiderio del popolo». Damasco è ormai un avversario, tanto è vero Tripoli ha decretato l'espulsione dei diplomatici siriani.
Allora non stupisce che la missione di sostegno alla rivolta sia coordinata dall'ex qaedista Abdelhakim Belhaj, figura di spicco della nuova Libia, e dal suo vice Mahdi Al Harati. Quest'ultimo è un personaggio dalla storia singolare. Residente da 20 anni a Dublino (Irlanda), Al Harati è tornato in Libia per combattere Gheddafi e in poco tempo è diventato uno dei leader della Brigata Tripoli, composta da esuli provenienti da Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti. Mille uomini, ben armati, con ottimo equipaggiamento che sono stati tra i primi a entrare nella caserma del Raìs. In seguito, Al Harati è rimasto al fianco di Belhaj ma quando sono nati contrasti con il Consiglio ha deciso di partire per un viaggio tra Dublino e il Qatar. Parentesi accompagnata da un episodio controverso. Il libico ha denunciato il furto di una grossa somma di denaro che gli sarebbe stata consegnata da «un agente della Cia». Frase che, ovviamente, ha alimentato sospetti e teorie su chi sia veramente l'ex esule. Sicuramente è molto dinamico. Perché Al Harati, già alla fine di dicembre, è in Siria. Lo testimonia un reporter francese con il quale si muove nei villaggi al confine con la Turchia. Di nuovo, i libici mostrano di essere preparati per la guerra. Visori notturni, telefoni satellitari Thuraya e Kalashnikov. Fonti arabe sostengono che i volontari hanno risalito una filiera che si dirama tra Cipro, Libano (Tripoli, nel Nord), Iskenderun (Turchia) e forse anche Giordania per poi approdare in Siria.
Nuclei che avrebbero l'appoggio di piccoli gruppi di forze speciali del Qatar, saudite e occidentali (in particolari britanniche). I due Paesi arabi, oltre ai consiglieri, ci mettono anche i soldi. Denaro con il quale verrebbe acquistato materiale trasferito con aerei cargo proprio a Iskenderun. In questa città si parla anche della presenza di un «ufficio avanzato» gestito da 007 incaricati di assistere i gruppi di disertori siriani. Per ora la pipeline ha portato solo «gocce», ma è probabile che gli aiuti possano crescere. Negli Usa, infatti, c'è chi invoca una fornitura massiccia agli insorti.
I movimenti di combattenti «stranieri» non sono sfuggiti all'occhio attento dei russi. I servizi segreti sono immersi nella realtà siriana, hanno uomini ovunque. E ieri Mosca ha espresso il proprio «allarme». Il regime, invece, continua gli attacchi a Homs. Quasi 80 le vittime, falciate da un pesante bombardamento.
La STAMPA - Paolo Mastrolilli : " Dialogo con la Primavera araba. L’America ci vuole in prima linea "
L'intervista rappresenta un classico esempio di aria fritta diplomatica, anche se la qualità del nostro Ministro degli Esteri è fuori discussione. Ma a quei livelli tutto si appanna, per arrivare a delle conclusioni surreali.
Tutte le risposte fornite da Terzi possono voler dire qualunque cosa, ma non chiariscono quale sia la realtà, quali le intenzioni del governo italiano di fronte a diverse questioni, come, per esempio, la situazione in Siria. L'idea di verificare ancora quel che succede, e inviare nuovi osservatori, è un insulto a tutte le vittime massacrate da Assad.
Ecco l'intervista:


Giulio Terzi Hillary Clinton
Piena fiducia nella capacità dell’Italia di superare la crisi economica, e soprattutto di spingere l’Europa a porre l’accento sulla crescita e l’occupazione. Appoggio per l’idea di Roma di lanciare una Conferenza per la cooperazione con i Paesi del Mediterraneo, e convergenza sulle linee da adottare verso Siria, Afghanistan e Iran. Sono i punti fondamentali affrontati durante l’incontro di ieri al Dipartimento di Stato tra Hillary Clinton e Giulio Terzi, di cui il ministro degli Esteri italiano ci parla appena uscito dallo studio del segretario americano.
La Clinton ha espresso «fiducia nel governo e nel popolo italiano», per i sacrifici che sta affrontando allo scopo di uscire dalla crisi. Cosa ci chiede di fare?
«Il segretario ha espresso apprezzamento per il grandissimo lavoro che il governo italiano sta facendo per riportare stabilità nell’eurozona e inserire nelle misure gli obiettivi di crescita e occupazione, che qui vengono seguiti con molta attenzione».
Alcuni analisti dicono che l’Italia può svolgere un ruolo chiave di facilitatore nei rapporti tra Usa e Unione Europea, proprio allo scopo di convincere tutti i Paesi della Ue a fare il massimo sforzo possibile per rilanciare l’euro. Ne avete discusso?
«In questo momento c’è un’altissima credibilità del nostro Paese nel mondo americano. Si ritiene che l’Italia abbia un ruolo di grande peso e significato per favorire una forte dinamica di integrazione tra il mercato europeo e americano, ad esempio attraverso gli approfondimenti in corso a Bruxelles per realizzare un “single market” euroamericano, con la riduzione delle barriere tariffarie e il lavoro sugli standard. Sono misure che faciliterebbero molto la crescita e l’occupazione. In questo l’Italia ha un ruolo chiave nei rapporti transatlantici».
Roma intende lanciare una Conferenza per la cooperazione con i Paesi del Mediterraneo, che potrebbe diventare uno strumento permanente per favorire il rilancio dei Paesi cambiati dalla primavera araba. Washington è favorevole?
«C’è molto apprezzamento per l’enfasi che l’Italia sta dando al rapporto con i Paesi del Mediterraneo, per favorire il rafforzamento della democrazia. Processi come la primavera araba attraversano sempre tempeste e temporali. A Washington però c’è un senso di fiducia ed incoraggiamento per il ruolo costruttivo che possiamo avere sul piano bilaterale, e per riequilibrare le politiche europee di vicinato con il Mediterraneo, a partire dal prossimo periodo di prospettive finanziarie».
Come pensate di fermare la repressione in Siria?
«Abbiamo discusso dell’impegno a favorire una soluzione politica, e del fortissimo disappunto per la mancata approvazione della risoluzione Onu, che avrebbe dato ad Assad un segnale preciso, per uscire di scena o porre termine alle violenze. Condividiamoil lavoro della Lega Araba e l’intenzione di inviare una nuova missione di osservatori più incisiva e numerosa, per verificare le responsabilità ed esporre il regime. Questa missione potrebbe essere sostenuta da un gruppo di Amici del popolo siriano o della democrazia in Siria, composto dalla Lega Araba, il Consiglio di Cooperazione del Golfo e l’Unione europea, affinché presenti un fronte più ampio capace di cambiare radicalmente gli equilibri politici in modo rispettoso della volontà democratica del Paese».
Avete considerato l’opzione militare?
«Non ne ho avuto alcuna conferma. Sarebbe ardito pensare ad azioni umanitarie sostenute dalla forza, senza un passaggio al Consiglio di Sicurezza dell’Onu o l’appoggio della Lega Araba. Non è questa l’intenzione degli americani o degli europei».
Sull’Afghanistan, in vista del vertice Nato di Chicago, resta confermato il 2014 per il ritiro? E l’Italia che sostegno darà dopo quella data?
«Il percorso delineato a Lisbona verrà confermato a Chicago. Ci potrà essere un’accelerazione nel 2013, ma resterà una presenza fino al 2014. C’è grandissimo apprezzamento del lavoro eccellente compiuto dai soldati italiani per la sicurezza, l’addestramento delle forze locali e lo sviluppo della società civile».
Le sanzioni appena approvate contro l’Iran basteranno a risolvere la crisi, o bisogna considerare l’ipotesi militare?
«Abbiamo parlato di attuazione delle sanzioni. C’è consapevolezza che l’Italia sopporta dei costi, ma partecipa ad una linea a doppio binario: riportare l’Iran al tavolo della trattativa per evitare la militarizzazione del programma nucleare, e sostenere il sistema sanzionatorio. Sui temi strategici generali, poi, ci siamo accordati per tenere consultazioni più frequenti».
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