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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.02.2012 Scontro di civiltà? Nooooo
Ragazzo saudita rischia la vita per aver espresso un'opinione su Maometto via twitter

Testata: Corriere della Sera
Data: 10 febbraio 2012
Pagina: 50
Autore: Viviana Mazza
Titolo: «Anche la fatwa cinguetta su Twitter ma i social media non vanno censurati»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 10/02/2012, a pag. 50, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Anche la fatwa cinguetta su Twitter ma i social media non vanno censurati ".


                                   Hamza Kashgari

Un ventitreenne saudita ha usato Twitter per esprimere le sue idee, come fanno moltissimi suoi coetanei nel mondo. Nel suo caso, però, riguardavano Maometto. E ora rischia la pena di morte. Hamza Kashgari, scrittore e giornalista, ha «twittato» rivolgendosi al Profeta: «Nel giorno della tua nascita, dirò che ho amato alcuni tuoi aspetti, ne ho odiati altri e diversi non li ho capiti». In poche ore, sui social media è esplosa la rabbia: accuse di blasfemia, minacce, taglie sulla sua testa, «fatwe» dei religiosi via Twitter e YouTube. Hamza è fuggito in Malesia ma è stato catturato, estradato, e sarà processato. Aveva creduto che il sito di micro-blogging gli potesse permettere una maggiore libertà di espressione rispetto ai giornali del Regno. Non ha funzionato. Come lui, diversi suoi amici, dopo l'episodio hanno cancellato il proprio profilo. Ma la colpa non è di Twitter. Né il caso dovrebbe alimentare idee di censura, come quelle di David Cameron dopo i disordini di Londra.
Il problema, come dice da anni lo studioso di new media Evgeny Morozov, sono le visioni rosee che ignorano gli aspetti negativi della Rete. Le visioni rosee spingono a commettere errori. Gli attivisti liberal non sono gli unici a usare le nuove tecnologie: ad esempio, in Arabia Saudita dopo la resistenza iniziale, i religiosi e i loro seguaci hanno abbracciato le chat e YouTube per fare proseliti e, su Twitter, secondo alcune stime, sono loro i più seguiti (anche se solo l'1% degli abitanti twitta). I conservatori monitorano i rivali, pronti a usare le loro stesse parole per colpirli, e lo fanno pure i governi autoritari che infiltrano questi spazi. Hamza era cresciuto in un ambiente conservatore e si era «aperto all'umanità» dopo aver abbracciato il web, dicono gli amici. L'apertura a volte spinge a dimenticare i tabù.
Resta il fatto che strumenti come Twitter sono vitali in Paesi dove lo Stato controlla i media: possono essere usati per ottenere e diffondere informazioni, creare rapporti, mobilitare la gente. Dare la colpa a Twitter vuol dire darla vinta proprio a chi cerca di scoraggiare l'uso di questi «spazi aperti».

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