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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Il Giornale - La Repubblica Rassegna Stampa
09.02.2012 Siria: Usa favorevoli all'attacco, Ue e Onu in disaccordo. Intanto G. Galloway consiglia Assad
Commenti di Paola Peduzzi, Pio Pompa, Gian Micalessin. Intervista a Patrick Seale di Alix Van Buren

Testata:Il Foglio - Il Giornale - La Repubblica
Autore: Paola Peduzzi - Pio Pompa - Gian Micalessin - Alix Van Buren
Titolo: «I consigli, le moine e le richieste di Mr Galloway al dittatore-amico Assad - I russi non vogliono salvare Damasco, ma evitare contraccolpi a Teheran - Il piano della Casa Bianca: i turchi per liquidare Assad - L´obiettivo degli Usa è rompere l´asse Iran-»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 09/02/2012, a pag. 4, l'articolo di Paola Peduzzi dal titolo " I consigli, le moine e le richieste di Mr Galloway al dittatore-amico Assad ", l'articolo di Pio Pompa dal titolo " I russi non vogliono salvare Damasco, ma evitare contraccolpi a Teheran ". Dal GIORNALE, a pag. 14, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " Il piano della Casa Bianca: i turchi per liquidare Assad ". Da REPUBBLICA, a pag. 21, l'intervista di Alix Van Buren a Patrick Seale dal titolo " L´obiettivo degli Usa è rompere l´asse Iran-Damasco ", preceduta dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Paola Peduzzi : "  I consigli, le moine e le richieste di Mr Galloway al dittatore-amico Assad"


Paola Peduzzi, George Galloway con Bashar al Assad

Aggiungiamo, all'ottimo commento di Paola Peduzzi, il fatto che Galloway venne scoperto essere a libro paga di Saddam Hussein. Fu per questo che dovette dare le dimissioni. Il Parlamento inglese è, checchè se ne dica, ancora una istituzione seria.

Dove c’è un dittatore c’è anche George Galloway. L’istrionico politico britannico, che nel 2003 abbandonò il Labour blairiano in opposizione alla guerra in Iraq (Saddam Hussein era suo amico personale) per fondare un improbabile Partito del rispetto, non riesce a star fuori dalle magagne mediorientali. Vuol mettere il becco quando c’è da violare l’embargo a Gaza, quando c’è da difendere Hamas contro le accuse di terrorismo, soprattutto vuole urlare il suo orgoglio baathista e difendere quella Siria che, “come ho spesso detto, è l’ultimo castello della dignità araba”. Galloway non poteva mancare nel baraccone mediatico che ha oscurato la feroce repressione del regime di Damasco contro il suo popolo – una guerra intestina che va avanti da un anno, migliaia di morti, migliaia di video troppo crudi per essere visti fino in fondo, migliaia di “Assad se ne deve andare” e Assad che ancora è lì. Galloway è stato smascherato – ma lui ne sarà fiero – dagli hacker di Anonymous che sono entrati negli account e-mail dei collaboratori più stretti di Assad e hanno pubblicato on line le password (che per lo più erano “12345”, quanto sono tecnologicamente analfabeti questi aguzzini siriani). Purtroppo la bonanza è durata poco e quel tesoro di propaganda è stato presto rimosso, ma è rimasto abbastanza tempo on line per registrare il tono complimentoso e confindenziale di Galloway per una delle signore più potenti nel circolo Assad, la “senior media advisor” Bouthaina Shaaban. Originaria di Homs, nel Baath dall’età di sedici anni, Bouthaina ha cominciato come interprete per Hafez (la signora ha un PhD in Letteratura inglese ottenuta all’Università di Warwick, è specializzata in poesia romantica) poi si è fatta un nome dedicandosi a far rientrare in Siria i soldi degli espatriati. E’ la migliore amica della sorella maggiore di Bashar, Bushra, e questo è il segreto del suo potere. Nel 2005, quando fu ucciso l’ex premier libanese Hariri, rilasciò interviste a chiunque: con il suo accento impeccabile sosteneva che Damasco non aveva responsabilità, a far saltare in aria l’auto di Hariri sul lungomare di Beirut erano stati gli israeliani con gli americani. Oggi Bouthaina è nell’elenco delle persone soggette alle sanzioni internazionali. Galloway adora Bouthaina, la riempie di “my warmest fraternal greetings” e le chiede aiuto per violare l’embargo a Gaza. Ma la vera e più recente preoccupazione di Bouthaina e di tutto lo staff dittatoriale è l’intervista che Assad ha rilasciato a Barbara Walters dell’Abc, nel dicembre scorso, quella in cui disse che lui no, non aveva ammazzato nessuno, come potrei reprimere il mio popolo, solo un pazzo potrebbe farlo. Ci sono lunghi scambi di e-mail per aiutare Assad a gestire l’intervista. Tra i vari consigli c’è: citare Abu Ghraib: i torturatori sono gli americani, mica i siriani; insistere sul fatto che l’America ha perso due guerre, in Iraq e in Afghanistan; parlare molto di YouTube e Facebook. Il migliore di tutti è: “La psiche degli americani può essere manipolata facilmente quando sentono che sono stati fatti degli ‘errori’ e che stiamo cercando di ‘correggerli’”.

Il FOGLIO - Pio Pompa : " I russi non vogliono salvare Damasco, ma evitare contraccolpi a Teheran "


Pio Pompa

Sarà Teheran a decidere nelle prossime settimane come porre fine al regime di Bashar el Assad”, spiega al Foglio una fonte d’intelligence russa. Un ruolo di primo piano lo avranno anche Mosca e Pechino, nonostante il veto posto sabato scorso in Consiglio di sicurezza all’Onu. Anche russi e cinesi, spiega il nostro interlocutore, non ritengono più difendibile il rais siriano e sono pronti a compiere ogni passo per far volgere al termine l’epoca di Assad alla guida del paese mediorientale. Secondo la nostra fonte, la decisione di Mosca e Pechino di porre il veto non sarebbe dovuta alla volontà di difendere il presidente siriano, quanto al rischio che la risoluzione messa ai voti potesse consentire in un immediato futuro un attacco contro l’Iran. “Non c’è alcuna possibilità che quanto avvenuto in Libia possa essere impunemente replicato in Siria, consentendo così alla Nato e ai suoi alleati nel mondo arabo di usare un eventuale attacco a Damasco come cavallo di Troia per colpire l’Iran”, aggiunge il nostro interlocutore. Si spiega così il dispiegamento di unità scelte della forza rapida di reazione russa (Spetsnaz) nelle basi sul mar Nero, pronte a intervenire rapidamente in Siria qualora si profilassero minacce esterne. Il timore che un attacco a Damasco sia vicino, indipendentemente dalle decisioni delle Nazioni Unite, è forte. Le autorità iraniane sarebbero così pronte a sacrificare il vecchio alleato Assad pur di garantirsi la propria sicurezza, proseguendo i piani finalizzati a fare della Repubblica degli Ayatollah una potenza nucleare. Il regime iraniano punta a favorire una transizione capace di tutelare le prerogative di Teheran sulla Siria. Fondamentale in tale contesto è il ruolo assunto da Hamas nel predisporre canali segreti di contatto tra la Fratellanza musulmana egiziana e la leadership iraniana. Secondo quanto riportano fonti dei servizi arabi, dai contatti riservati sarebbe scaturito un patto in grado di consentire ai Fratelli musulmani del Cairo di estendere la propria influenza anche in Libia, Tunisia e Siria. Naturale conseguenza dell’accordo sarebbe l’accerchiamento completo di Israele e l’estensione dell’influenza di Hamas nel cuore di Ramallah, esautorando di fatto la leadership di Abu Mazen. Il piano si completerebbe con l’apertura di un fronte a ridosso di Gerusalemme, dove alle cellule qaidiste di Ansar al Sunna si affiancherebbero unità delle guardie rivoluzionarie iraniane, di Hamas e dei Fratelli egiziani, in modo da scongiurare un possibile attacco ai siti nucleari iraniani. L’unica incognita riguarda il modo in cui Israele potrà fronteggiare una prospettiva simile, che rende sempre più urgente un’iniziativa militare nei confronti di Teheran.

Il GIORNALE - Gian Micalessin : " Il piano della Casa Bianca: i turchi per liquidare Assad "


Recep Erdogan

Si è salvato dall'Onu, ma rischia di diven­tare la prima vittima del nuovo sultano. Il grande pericolo di Bashar Assad non è più l'Occidente, bloccato dal veto russo e cine­se al Consiglio di Sicurezza, ma la Turchia. Mentre l'esercito martella gli insorti asser­ragliati nella città ribelle di Homs il mini­stro degli esteri di Ankara Ahmet Davuto­glu lavora ad un progetto audace e spregiu­dicato. Un piano all'apparenza esclusiva­mente diplomatico, ma capace di trasfor­ma­rsi nel trampolino d'una nuova avventu­ra militare guidata dalla Turchia.
«Non pos­siamo stare a guardare e abbandonare la Si­ria al proprio destino, siamo determinati a formare un vasto centro di dialogo per svi­luppare il coordinamento con tutti i paesi interessati» annuncia Davutoglu alla vigi­lia di un viaggio a Washington durante il quale esaminerà la situazione siriana con il segretario di stato Hillary Clinton. Un verti­ce cruciale perché, dopo il fallimento della mozione Onu, Washington è alla ricerca di qualcuno a cui affidare i piani anti-Dama­sco. Ieri intanto la Casa Bianca ha bocciato l’ipotesi di aprire un dialogo tra il presiden­te siriano e gli oppositori del regime, lancia­ta dalla Russia. «Ormai è troppo tardi», ha riferito il portavoce.
L'iniziativa diplomatica di Davutoglu ­l'ideologo del nuovo sultanato turco ed il ministro più vicino al premier Recep Tayyip Erdogan- ricorda molto quel «grup­po di contatto» riunitosi più volte ad Istan­bul durante l'intervento Nato in Libia. Die­tro il paravento di quell'iniziativa diploma­tica si decisero gli affondi politico-militari che portarono alla caduta di Tripoli e all'eli­minazione di Gheddafi. Stavolta la Turchia potrebbe non accontentarsi più di giocare da comprimario per puntare, invece, al ruo­lo svolto in Libia da Qatar, Francia e Inghil­terra. Davutoglu, che ieri ha esposto il suo progetto anche al ministro italiano Terzi, si guarda bene dall'accennare a qualsiasi pos­sibilità d'intervento militare. L'ipotesi di un'escalation è, però, tutt'altro che remota. La Turchia dopo aver rotto con il regime di Bashar Assad la scorsa estate è stata la pri­ma ad ipotizzare la creazione di aree di sicu­rezza protette militarmente per difendere i civili in fuga. L'idea, ripresa poi dalla Fran­cia, era stata inserita anche nella bozza di mozione bocciata da Russia e Cina. Già og­gi Istanbul fornisce basi e santuari al cosid­detto Libero esercito siriano, l'organizza­zione guidata da alcuni ufficiali disertori considerata il braccio armato dell'opposi­zione siriana. La Turchia è, inoltre, l'unico esercito dell'area in grado di guidare un in­te­rvento complesso come quello in Siria be­neficiando dell'intelligence occidentale.
Proprio i servizi segreti turchi sarebbero tra gli artefici, secondo alcune fonti, del pia­no che prevedeva, in questi giorni, la defe­zione di un generale siriano comandante di un'importante unità corazzata. La scoper­ta di quel piano, grazie alle intercettazioni dei servizi segreti iraniani, avrebbe innesca­to la pesante offensiva lanciata prima nei dintorni di Damasco e poi ad Homs.
I piani di Erdogan e dei suoi ministri devo­no, ovviamente fare i conti con quelli della Russia. Dopo aver bloccato la mozione dell' Onu e aver liquidato le politiche di un Occi­dente definito dal premier russo Vladimir Putin «un elefante in un negozio di porcella­ne » Mosca ha spedito ieri a Damasco il mini­stro degli esteri e il capo dell'intelligence Mikhail Fradkov. La missione dal doppio profilo punta non solo a contrastare l'inizia­tiva diplomatica dell'Occidente e della Le­ga araba, ma anche a valutare la tenuta del regime, la necessità di nuove forniture mili­tari e la reale consistenza dell'opposizione armata. Mosca propone nuovi colloqui con l'opposizione guidati da Farouk Al Shara, il vice presidente a cui - in base alla mozione bocciata dal veto russo e cinese- Bashar As­sad avrebbe dovuto lasciare la guida di un governo provvisorio.

La REPUBBLICA - Alix Van Buren : " L´obiettivo degli Usa è rompere l´asse Iran-Damasco "


Patrick Seale

 Patrick Seale, definito (non è ben chiaro per quale motivo) 'forse il maggiore esperto di Siria', ritiene che una guerra contro la Siria sarebbe una catastrofe dato che incendierebbe l'intero Medio Oriente.
Invece continuare a far finta di nulla davanti ai massacri e non muovere un dito nemmeno contro il nucleare iraniano, che promette la cancellazione di Israele non sarebbe una catastrofe?
Ecco l'intervista:

«La crisi siriana non è più un affare limitato alla Siria. Lo scontro si è trasferito nell´arena internazionale: l´America coi suoi alleati vuole spodestare i regimi di Teheran e Damasco, spezzare l´asse Iran-Siria-Hezbollah, cioè il maggiore ostacolo al predominio nella regione. Però, Russia e Cina con il veto all´Onu hanno affermato i propri interessi e la volontà di proteggerli: la regione non è più una riserva esclusiva dell´Occidente». Patrick Seale, forse il maggiore esperto di Siria, studioso del mondo arabo, legge in controluce le notizie filtrate dal Pentagono riguardo a un´azione militare contro la Siria.
Signor Seale, secondo lei qual è il bersaglio?
«Alla base, c´è una questione di dominio regionale. L´Iran ha sfidato la supremazia americana nel Golfo ricco di petrolio. Col programma nucleare, Teheran potrebbe minare anche il monopolio atomico di Israele, e limitarne la libertà d´azione. Se poi si aggiungono i progressi militari compiuti dall´asse Iran-Siria-Hezbollah; se si considerano gli ostacoli affrontati da Washington - la catastrofica guerra in Iraq, il conflitto in Afghanistan, l´ostilità suscitata in Pakistan, Yemen, nel Corno d´Africa - è evidente che l´America stia lottando per conservare la superiorità sugli Stati petroliferi del Golfo».
Ma esistono anche le preoccupazioni del Golfo per un´avanzata dell´Iran sciita?
«Gli Stati del Golfo si sono lasciati coinvolgere per un altro motivo: l´apparente timore che l´Iran minacci l´attuale ordine politico, aizzando le comunità sciite locali. Guidati dal Qatar, hanno affiancato Stati Uniti e Israele nell´attacco contro Damasco e Teheran. Forse con ritardo s´accorgono che una guerra regionale sarebbe per loro una catastrofe».
E guerra contro Damasco sarà, visti i progetti del Pentagono?
«Lo ritengo del tutto inverosimile. Dietro quell´intenzione vedo i "falchi" di Washington, che scalpitano per un cambiamento di regime in Siria e in Iran, per una risposta alla sfida di Russia e Cina. Però, è impensabile che l´America s´impegni in un nuovo conflitto in Medio Oriente».
Cosa glielo fa dire con tanta certezza?
«Il ritiro dall´Iraq; l´impegno da 10 anni in Afghanistan; i continui raid in Pakistan, Yemen, Somalia, Africa orientale. Washington taglia i costi della Difesa e sposta l´attenzione sulla regione Asia-Pacifico per contenere la Cina. Creda, quelle voci sono un bluff: nessuno è pronto a mettere un dito in un conflitto che incendierebbe l´intera regione. L´ha detto anche la Turchia: sarebbe una vera catastrofe».

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