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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.02.2012 Siria, continua la repressione. Ambasciate chiuse a Damasco
Cronache di Daniele Raineri, Guido Olimpio

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Daniele Raineri - Guido Olimpio
Titolo: «Siria, americani evacuati. Chiusa anche l'ambasciata»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 07/02/2012, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Tutti inorriditi da Assad, ma nessuno vende armi all’Esercito libero di Siria ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 22, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Siria, americani evacuati. Chiusa anche l'ambasciata ".
Ecco i due articoli:

Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Tutti inorriditi da Assad, ma nessuno vende armi all’Esercito libero di Siria "


Daniele Raineri, Bashar al Assad

Roma. Il mondo è inorridito dai massacri di Bashar el Assad e adesso l’opposizione in armi diventerà la grande protetta dei poteri internazionali? Aiutata da Nato, Lega araba o Consiglio di cooperazione del Golfo? Finora nulla. Come spesso succede, i numeri del mercato nero danno il quadro. A Beirut il prezzo delle armi leggere destinate ai partigiani in Siria da dieci mesi sale in verticale: un fucile d’assalto russo Ak- 47 costa 2.100 dollari (un raffronto: in Iraq e in Yemen costerebbe 100 dollari). Un lanciarazzi da spalla Rpg è a 2.000 dollari, a marzo sullo stesso mercato ne valeva 900. Una granata è a 500 dollari, cinque volte il prezzo di un anno fa. “Tutta merce che va a finire in Siria”, dice il grossista libanese a Nicholas Blanford del Daily Star. Un acquirente siriano spiega l’assoluta penuria d’armi: “Non ci servono altri volontari per combattere Assad, abbiamo tutti gli uomini che potremmo desiderare. Mancano armi e munizioni. Se le avessimo avute, Assad sarebbe finito in fretta”. Al di là del confine, un altro giornalista, l’inviato del Guardian Ghaith Abdul-Ahad, che si è infiltrato tra i monti assieme ai contrabbandieri (prima portavano sigarette e ora sono passati al trasporto armi, così più redditizio) raccoglie altre lamentele tra i compratori siriani: “Non possiamo mandare gli uomini a combattere con un solo caricatore a testa”. E vede prendere le armi anche se sono costose e in cattive condizioni. Questo è il quadro: nessuno aiuta l’Esercito libero di Siria. Ieri il comandante, Riad al Asaad, è sbottato contro il Consiglio nazionale siriano, organismo politico che da Parigi aspira a rappresentare l’opposizione sotto la guida dell’esule Burham Ghalioun. “Il Consiglio nazionale è un fallimento completo. Non è riuscito a farci arrivare nulla da fuori, nessun aiuto materiale o altro”. Eppure i retroscenisti sono scatenati da mesi sui presunti aiuti dall’estero (e citano il precedente in Libia contro Gheddafi: carichi di armi leggere dall’Egitto verso Bengasi, finanziamenti lautissimi da parte del Qatar). Il giornale libanese Naharnet a ottobre: istruttori francesi già al lavoro per addestrare guerriglieri siriani in alcuni campi di Turchia e Libano. Il New York Times a ottobre: Ankara ospita i ribelli. Il Telegraph a novembre: la Libia s’è accordata per mandare armi e forse uomini ad aiutare la lotta contro Assad. L’agenzia di stato siriana a gennaio: la guerriglia è un programma clandestino che riunisce gli sforzi di sauditi, americani, francesi, turchi e del solito Qatar. “Aiuti dalla Turchia? Ma di che state parlando?”, chiede sbalordito un comandante dell’Esercito libero ad Anthony Loyd del giornale Australian, trincerato tra i monti vicino al confine. “Tutto quello che abbiamo lo abbiamo tolto all’esercito o lo abbiamo comprato”. E snocciola anche lui il listino: “Un kalashnikov 2.000 dollari. Un M16 americano 3.000. Quell’Rpg che vedi lì con due razzi: ci è costato 5.000 dollari”. Ieri il Financial Times ha scritto che il doppio veto russo e cinese di sabato alla risoluzione Onu spingerà l’“Esercito libero di Siria” a diventare un esercito vero e finanziato – magari dai regni del Golfo. Il senatore americano (indipendente) Joe Lieberman chiede l’appoggio di Washington con armi e intelligence. Il segretario di stato americano, Hillary Clinton, dice che il voto in Consiglio di sicurezza è stato “una farsa” e che Washington raddoppierà gli sforzi contro la permanenza al potere di Assad – senza specificare come. Non con la diplomazia ufficiale: ieri l’ambasciata americana a Damasco è stata chiusa. Oggi, per convincere il presidente siriano a cedere il potere al vice, è a Damasco il capo dell’intelligence russa, Mikhail Fradkov.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Siria, americani evacuati. Chiusa anche l'ambasciata "


Guido Olimpio, l'ambasciata Usa a Damasco

WASHINGTON — Barack Obama esclude l'opzione militare in Siria e insiste per una soluzione negoziata che deve chiudersi con la cacciata del presidente Bashar Assad. Con queste premesse la Casa Bianca ha attuato quello che aveva promesso: l'ambasciata a Damasco è stata chiusa e tutti i cittadini statunitensi sono stati invitati a partire. La mossa è stata giustificata con la «mancanza di sicurezza» adeguata e il rischio attentati. Ma è un evidente segnale lanciato al regime. Con voi abbiamo finito. Insieme a Washington, si è mossa anche Londra che ha richiamato il proprio ambasciatore ed è possibile — come ha indicato il ministro degli Esteri Terzi — che la Ue possa espellere i rappresentanti siriani. E sempre ieri il segretario generale della Farnesina, Giampiero Massolo, ha espresso all'ambasciatore siriano a Roma, Khaddour Hasan, la più ferma condanna e lo sdegno del governo italiano per le violenze perpetrate dal regime di Damasco.
Pressioni diplomatiche che potrebbero crescere nei prossimi giorni. Preclusa la via dell'Onu, sbarrata dal veto russo-cinese, si pensa a un gruppo di contatto guidato dai Paesi arabi con alle spalle gli occidentali. Un progetto nel quale crede molto il presidente francese Sarkozy e che ricorda il direttorato della campagna libica. Formule a parte, gli Usa e gli alleati sono decisi a mettere con le spalle al muro Assad. Ieri l'Arabia Saudita ha invocato «misure drastiche» per proteggere la popolazione. Anche il Qatar continua ad agitarsi parecchio. Su molti fronti. Per gli americani è necessario far capire a Bashar che il suo futuro politico è terminato. Obama, infatti, ha auspicato la nascita di un governo di transizione accompagnato — magari — dalla partenza volontaria del raìs per l'esilio. E dunque vi sarà grande attenzione per la prevista visita che farà oggi a Damasco l'emissario russo Lavrov. Entrambi sono latori di «un messaggio del Cremlino» che, per alcuni, potrebbe contenere l'idea di un passaggio di poteri.
Mosca è vista con grande diffidenza: «Insieme alla Cina, ha scelto il cavallo perdente», ha ammonito la Casa Bianca. E non c'è solo il no alla risoluzione. I russi vogliono continuare a fornire armi a Damasco mentre gli Usa sono determinati a bloccare il flusso di materiale bellico alimentato tanto dai russi che dagli iraniani. A questo proposito è stato rivelato che l'armata Qods dei pasdaran coordinerebbe il traffico d'armi con un centro speciale. Ma chiudere la pipeline bellica è impossibile, a meno di non imporre un blocco navale.
Fonti Usa non escludono che possa essere varata un'operazione clandestina per armare i ribelli. Un vero programma, magari pagato dalla Lega Araba con fucili e munizioni recuperate dagli enormi arsenali libici. Gli insorti, intanto, continuerebbero a crescere di numero: tra loro — secondo gli americani — molti generali e colonnelli unitisi ai disertori. Un'emorragia costante a cui il regime reagisce con attacchi pesanti. Ieri vi sarebbero state più di 60 vittime, in gran parte a Homs, epicentro della guerra civile, dove si usano tank e cannoni per piegare la resistenza degli insorti.

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