Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Due impossibili interpretazioni degli scontri allo stadio in Egitto Carlo Panella definisce democratici i Fratelli Musulmani e Renzo Guolo incolpa i militari
Testata:Libero - La Repubblica Autore: Carlo Panella - Renzo Guolo Titolo: «Il regime militare è debole, vacilla il patto con gli islamici - Dietro gli scontri il potere delle stellette»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 03/02/2012, a pag. 17, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Il regime militare è debole, vacilla il patto con gli islamici ". Da REPUBBLICA, a pag. 19, l'articolo di Renzo Guolo dal titolo " Dietro gli scontri il potere delle stellette ".
Carlo Panella descrive in questi termini l'accordo di governo fra militari e islamisti in Egitto: "Accordo formale – sia pure sottotraccia – che garantisce ai generali la gestione dello Stato edell’economia per lungo tempo (e anche il colpo di spugna per le atrocità di cui sono stati pienamente corresponsabili sotto Mubarak, a partire da Tantawi) e agli islamisti assicura la gestione di un lento, lentissimo processo politico di democratizzazione dello Stato.". Gli islamisti gestirebbero la democratizzazione dello Stato? Esiste uno Stato islamico democratico in tutto il mondo? Reno Guolo, invece, forse persino più macchinoso di Panella, sostiene che ci siano i militari dietro gli sconti allo stadio : " Obiettivo: mostrare al Paese come una fuoriuscita dalla scena dei militari, con il passaggio del potere ai civili, conduca inevitabilmente al caos. ". In tutti i Paesi a bassa civilizzazione culturale si verificano episodi del genere, gli stadi diventano spesso luogo di violenza gratuita. L'Egitto non fa eccezione. Ecco i due articoli:
LIBERO - Carlo Panella : " Il regime militare è debole, vacilla il patto con gli islamici "
Carlo Panella
Non è un caso che la prima gravissima crisi dell’Egitto post Mubarak scoppi a causa di una partita di calcio e minacci ora di rendere ancora più instabile il Paese. Piazza Tahrir, negli ultimi mesi, in apparenza, ha dato vita a incidenti e scontri di maggiore rilievo, ma non è così. I giovani di piazza Tahrir, che pure a novembre e dicembre hanno tenuto le scena per settimane, con decine di morti e centinaia di feriti, in realtà rappresentavano poco più di sé stessi: tanto determinati e fieri contro la Giunta militare e in grado di sostenere la repressione, quanto del tutto incapaci di dialogare con altri strati sociali, di costruire un legame politico con il Paese più profondo, quell’Egitto della provincia e delle immense periferie la cui sollevazione in realtà, anche senza l’ausilio del sopravvalutato Internet, ha portato alla caduta del regime di Hosni Mubarak. I 73 morti e i mille feriti di mercoledì sera, invece, si sono avuti aPort Said e si inseriscono in una decennale tradizione egiziana di sfogo negli stadi della protesta edello scontento sociale impedite nelle piazze (per nonparlare delle urne). Si pensi solo agli incidenti gravissimi del 2009, allo stadio e per le strade del Cairo, dopo la finale per la qualificazione ai campionati del mondo tra Egitto e Algeria (vincente) e a decine di altri incidenti minori. La differenza politicamente rilevante, però, è che mentre gli scherani delle forze di sicurezza di Hosni Mubarak contenevano e isolavano queste esplosioni di rivolta, oggi la Giunta militare del feldmaresciallo Hussein Tantawi e il suo sistema di controllo del Paese e di gestione delle forze di sicurezza si mostra del tutto incapace di garantire minimi standard di decenza. Il mix di arroganza, corruzione, incapacità – tradizione dell’esercito egiziano e in primis dei suoi generali – si è sviluppato a tal punto che oggi la Giunta non sa neanche inviare poche decine di poliziotti per separare i tifosi durante la più classica invasione dicampo deitifosi della squadra sconfitta (la al Masry di Port Said). Simbolo di questa ignavia la prima decisione presa dalla Giunta: la destituzione della Federcalcio! Il risultato di questa inadeguatezza rischia peraltro ora di ampliarsi nei prossimi giorni quando tutte le tifoserie egiziane si sentiranno chiamate a scendere in piazza perprotestare contro l’arrogan - za delle plurititolata (32 scudetti) al Ahly del Cairo, che è sempre stata la squadra-immagine del regime di Mubarak. Il tutto, mentre da piùparti si accusa – con eccessiva fantasia – la Fratellanza Musulmana di essere la mandante, della strage. Così, l’esito tragico del match tra al Ahly e al Masry rischia di mettere in crisi il patto che unisce dalla primavera scorsa Fratelli Musulmani e islamisti (trionfatori alle elezioni col 67% di voti complessivo) e Giunta militare. Accordo formale – sia pure sottotraccia – che garantisce ai generali la gestione dello Stato edell’economia per lungo tempo (e anche il colpo di spugna per le atrocità di cui sono stati pienamente corresponsabili sotto Mubarak, a partire da Tantawi) e agli islamisti assicura la gestione di un lento, lentissimo processo politico di democratizzazione dello Stato. Patto accorto, in sé, soprattutto a fronte della assoluta incapacità dei partiti laici (al 15% nel complesso) di contendere il favore popolareverso gli islamisti.Patto che però naufraga sempre più spesso sugli scogli emergenti della totale incapacità dei generali della Giunta. di gestire lo Stato (e ancor più l’econo - mia).
La REPUBBLICA - Renzo Guolo : " Dietro gli scontri il potere delle stellette "
Renzo Guolo
Gli incidenti di Porto Said non sono, solo, il prodotto di una serata di ordinaria follia calcistica. Gli attori coinvolti, gli spettatori attivi e passivi, quelli interessati, sono molti nella drammatica rappresentazione andata in scena allo stadio della città del Canale. I primi protagonisti sono gli ultras locali. Come altrove, nella Serbia della guerra civile jugoslava o nelle curve dei nostri stadi, il legame tra ultras e politica è molto più stretta di quanto si pensi. Anche in riva al Nilo. È noto che da mesi gli ultras sono in prima fila nella protesta contro militari. Occupando lo spazio lasciato vuoto dagli islamisti, in particolare quelli di filiera Fratelli Musulmani, trionfatori delle elezioni legislative insieme ai rivali di medesima matrice del radicale Nour; e, dai giovani di piazza Tahrir, attori "impolitici" che, dopo l´ebbrezza dei giorni della rivolta, hanno pagato la mancanza di organizzazione politica. I primi sono ormai nella piazza del potere; i secondi, delusi, hanno ripreso a frequentare quella virtuale. Così Tahrir è divenuta luogo di gruppi diversi. In particolare degli ultras, giovani che ricordano più i casseurs parigini di qualche decennio fa che i sofisticati blogger della rivolta. Giovani che quotidianamente sfidano i militari e il loro braccio armato nella strada, i poliziotti: anche a quella latitudine stigmatizzati come Acab (All cops are bastards, Tutti i poliziotti sono bastardi). Polizia che in questi mesi ha spesso abusato del potere e accentuato la repressione più verso le frange di piazza che nei confronti di quelle più compromesse con il passato regime. In questo contesto sfruttare la rabbia giovanile, infiltrarla o lasciar agire, è gioco facile. Nello scontro allo stadio, trasformato in campo di battaglia, colpisce l´evidente passività della polizia, così come l´assenza nelle tribune del governatore di Porto Said e del capo della sicurezza locale. Tutto ciò lascia pensare, appunto, che si sia lasciato fare. Magari dopo aver sapientemente sobillato o provocato. Strumentalizzando la rabbia, indossando i panni degli ultras: o tutte due le cose insieme. Del resto, le forme della strategia della tensione sono varie. Obiettivo: mostrare al Paese come una fuoriuscita dalla scena dei militari, con il passaggio del potere ai civili, conduca inevitabilmente al caos. Anche nella vita quotidiana. Non a caso si discute in questi giorni se mantenere o meno lo stato d´emergenza. La posta vera, comunque, sono le presidenziali di giugno. Le forze decise a sbarrare la strada ai fautori di un ridimensionamento del potere con le stellette, puntano su quel voto per giocare la partita decisiva. Non bisogna dimenticare che, in attesa della nuova Costituzione, l´Egitto resta una Repubblica presidenziale. E un candidato vicino alle forze armate che si presentasse come argine al caos e all´instabilità potrebbe avere delle chance se l´ordine pubblico continuasse a essere un problema. Più quella scadenza si avvicina, più sono prevedibili colpi di coda del blocco politico e sociale che ha governato l´Egitto per oltre mezzo secolo. Porto Said potrebbe essere solo un´anteprima di altri, più cruenti, spettacoli: destinati ad andare in scena se il negoziato sul futuro ruolo dei militari non andasse in porto.
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