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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
02.02.2012 Usa: pronti a lasciare l'Afghanistan nel 2013
Intanto il Pakistan continua a sostenere i talebani. Cronache di Maurizio Molinari, Daniele Raineri

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Maurizio Molinari - Daniele Raineri
Titolo: «Nel 2013 stop alla missione in Afghanistan - Così il Pakistan prepara il secondo regno dei talebani»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 02/02/2012, a pag. 19, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Nel 2013 stop alla missione in Afghanistan ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Così il Pakistan prepara il secondo regno dei talebani ".
Ecco i due articoli:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Nel 2013 stop alla missione in Afghanistan"


Maurizio Molinari, Leon Panetta

Gli Stati Uniti ritireranno le truppe dall’Afghanistan entro la metà del 2013, con quasi un anno di anticipo rispetto ai tempi previsti dal calendario stabilito dal presidente Barack Obama. Ad annunciarlo è il segretario alla Difesa, Leon Panetta, a margine di una visita al quartier generale della Nato a Bruxelles facendo presente che «il ritiro delle truppe combattenti non significherà che non saremo più in grado di combattere perché dovremo sempre difenderci dai pericoli». In concreto questo significa che degli attuali 90 mila uomini americani in Afghanistan, 22 mila saranno ritirati come previsto entro fine anno e almeno altri 68 mila entro la metà del 2013, accelerando il ridispiegamento delle truppe nello scenario di Medio Oriente e Asia previsto dalla revisiove strategica del Pentagono appena varata. Resterà sul terreno un contingente minimo con compiti di assistenza e addestramento delle forze afghana oltre alla lotta al terrorismo. L’annuncio di Panetta coincide con l’inizio dei negoziati, in Qatar e Arabia Saudita, fra i taleban e l’amministrazione Obama sull’assetto dell’Afghanistan dopo il riitiro e ciò lascia intendere che il caponegoziatore americano, Marc Grossman, può ora compiere un passo importante verso la controparte identificando una data ravvicinata per la fine della presenza delle truppe combattenti. Non si può invece escludere che il passo di Panetta abbia creato dei malumori nei comandi militari in Afghanistan, che si erano già opposti all’accelerazione del ritiro da parte di Obama e proprio ieri avevano fatto trapelare sui media un memorandum di intelligenge secondo il quale senza gli americani l’Afghanistan «tornerà sotto il controllo dei taleban, sostenuti dal Pakistan». Secondo il testo di questo rapporto dell’intelligence militare vi sarebbe «un persistente sostegno» da parte dei servizi segreti di Islamabad per la guerriglia talebana in Afghanistan, che godrebbe di sostegni logistici e militari tali da poter agevolmente dare l’assalto a Kabul obbligando alla fuga il governo di Hamid Karzai, sostenuto da Washington. Ma Panetta ha scelto di far prevalere le necessità del riassetto strategico globale americano sulle obiezioni dei comandi in Afghanistan, a conferma della scelta compiuta da Obama di riorientare l’assetto delle truppe per potersi confrontare con 7lle nuove minacce», identificate in questo momento con il riarmo della Repubblica popolare cinese e lo sviluppo del programma nucleare iraniano. Il fatto che Panetta abbia parlato da Bruxelles lascia intendere un coordinamento con i comandi dell’Alleanza in vista del verice di Chicago che in maggio dovrà inaugurare la stagione della «Smart Defense» ovvero l’assetto della Nato nel post-Afghanistan, su scala globale.

Il FOGLIO - Daniele Raineri : "  Così il Pakistan prepara il secondo regno dei talebani"


Daniele Raineri, talebani

Roma. “Non posso nemmeno pisciare contro un albero nel Kunar senza che i pachistani lo sappiano. Sanno tutto. Sono in controllo di tutto. I talebani non sono islam: sono Islamabad”. L’uomo di al Qaida si lamenta del controllo troppo stretto e soffocante esercitato dai suoi sponsor nei servizi segreti di Islamabad, che controllano le tante forze anti Isaf e anti governo in Afghanistan – compreso il Kunar, che è una valle impraticabile appena oltre il confine. Fa parte di una raccolta segretata di dichiarazioni ottenute di recente da 4.000 prigionieri di guerra della Nato, esaminata a gennaio nella base militare di Bagram e ora arrivata al Times di Londra e alla Bbc. I due media britannici scelgono di mettere in evidenza quello che considerano il punto scandaloso, e quindi la complicità ben dimostrata tra i servizi segreti pachistani, comandati dall’establishment militare, e gli estremisti afghani. Notizia vecchia, e sui titoli sono fioccati commenti sarcastici. La novità è piuttosto un’altra: l’impressione che si ricava leggendo le confessioni è che i prigionieri talebani sono ormai certi che “non appena Isaf si leverà di mezzo, la vittoria sarà inevitabile”, per usare un passaggio essenziale del rapporto. Tanto che sia Islamabad sia la stessa Nato per tutta la giornata di ieri hanno cercato di ridimensionare la rilevanza del report. Eccone altri, sulla stessa linea. “Nell’ultimo anno c’è stata una tendenza senza precedenti, anche da parte del governo della Repubblica islamica dell’Afghanistan, a unirsi alla causa dei ribelli. I civili afghani spesso preferiscono essere amministrati dai talebani piuttosto che dal governo, per colpa della corruzione, dei pregiudizi etnici (l’Afghanistan è diviso tra i pashtun filo talebani e tutti gli altri) e l’assenza di relazioni con i capi religiosi e tribali. L’efficienza dell’amministrazione talebana porta a un tasso di reclutamento più alto che di conseguenza permette loro di rimpiazzare le perdite”. “A differenza degli anni passati, i detenuti sono diventati più sicuri, non soltanto nel loro potenziale di vittoria, ma anche nella giustezza della loro causa”. Chissà cosa devono avere pensato gli ufficiali Isaf nella base di Bagram, a leggere che anche nel governo di Kabul stanno passando alla causa talebana. Un altro passaggio segna la morte della grandiosa strategia approvata nel 2009 dal presidente americano, Barack Obama, che contava di vincere i cuori e le menti degli afghani anche grazie alla presenza prima del generale Stanley McChrystal, ora finito dietro a una cattedra a Yale, e poi di David H. Petraeus, oggi alla scrivania di direttore della Cia a Langley: “Detenuti da tutto l’Afghanistan sostengono che l’appoggio della gente in termini di reclutamento e di donazioni nell’ultimo anno è cresciuto”. L’idea ricorrente nei prigionieri è che la guerra ha una data di scadenza, il 2014, e di conseguenza è sufficiente aspettare che i soldati occidentali lascino il campo secondo il calendario annunciato, perché poi si potrà trattare con un governo di Kabul che sarà solo e più morbido. Nel frattempo, le perdite non importano più di tanto: “I leader dei talebani le hanno messe in conto. Comandanti e combattenti sono rimpiazzati facilmente, con un impatto minimo sulle operazioni. Dopo aver eliminato un comandante, Isaf spesso si concentra su altre zone e su altri bersagli. Questo tipo di caccia all’uomo può rimuovere singoli comandanti dal campo di battaglia, ma ha un effetto di solito trascurabile sulle operazioni dei talebani nel loro insieme”. Il rapporto è ricco di dettagli interessanti. “I servizi segreti del Pakistan conoscono la posizione di tutti i capi talebani e li manipolano senza resistenze. Il clan Haqqani, per esempio, risiede immediatamente a ovest dell’ufficio dell’intelligence della pista aerea di Miram Shah” (il clan Haqqani è la fazione più violenta e meglio organizzata, Miram Shah è una piccola cittadina nelle aree tribali spesso presa di mira dai droni americani). “I comandanti talebani di alto livello, come Nasiruddin Haqqani, hanno casa vicino ai quartier generali dell’Isi nella capitale Islamabad”. “La maggior parte dei fondi arriva da donazioni chieste porta a porta in Pakistan, alla luce del sole”. E c’è un passaggio che contraddice gli sforzi dell’Amministrazione americana di dividere nel discorso pubblico i talebani afghani dagli “stranieri” di al Qaida: “A dispetto degli annunci, non c’è mai stata una separazione formale”.

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