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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Repubblica Rassegna Stampa
01.02.2012 Nucleare iraniano: quanto tempo manca all'atomica? Usa e Israele interverranno?
cronache di Paola Peduzzi, Bernardo Valli, Vanna Vannuccini

Testata:Il Foglio - La Repubblica
Autore: Paola Peduzzi - Bernardo Valli - Vanna Vannuccini
Titolo: «Come fermare Teheran: il dilemma dell'Occidente - Pasdaran e scienziato, l'uomo misterioso che prepara la bomba»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 01/02/2012, in prima pagina, l'articolo di Paola Peduzzi dal titolo " Israele manda in onda sui media stranieri le divisioni interne sull’Iran ". Da REPUBBLICA, a pag. 1-36, l'articolo di Bernardo Valli dal titolo " Come fermare Teheran: il dilemma dell'Occidente ", a pag. 37, l'articolo di Vanna Vannuccini dal titolo " Pasdaran e scienziato, l'uomo misterioso che prepara la bomba ".
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Paola Peduzzi : " Israele manda in onda sui media stranieri le divisioni interne sull’Iran "


Paola Peduzzi, Bibi Netanyahu

Milano. La leadership israeliana è diventata chiacchierona, non fa che raccontare – rigorosamente sui media internazionali, in inglese, così tutti possiamo leggere e capire – le divisioni interne tra governo, esercito e intelligence, sulla questione iraniana. Il regime di Teheran si sta dotando della bomba atomica (secondo il direttore del National Intelligence americano, James Clapper, sta addirittura preparando un attacco sul territorio americano): che cosa facciamo per impedirlo? Bombardiamo i siti dove si sviluppano le centrifughe, facciamo azioni di sabotaggio, lasciamo che sia la comunità internazionale a occuparsene (questa ipotesi è sempre riportata per pura questione di forma: la sopravvivenza di Israele non può essere delegata)? Ognuno la pensa a modo suo, e questo è normale, quel che è strano invece è che ognuno cerca di far sapere la sua posizione – gli esperti fanno fatica a stare dietro a tante dichiarazioni contradditorie – pure se logica vuole il contrario: se vuoi essere efficace, in un blitz militare, conviene giocare sull’effetto sorpresa. Ronen Bergman, firma di punta del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, esperto di intelligence, ha scritto l’articolo di copertina sull’ultimo numero del magazine del New York Times in cui raccoglieva soprattutto il punto di vista del governo, con lunghe chiacchierate con il ministro della Difesa, Ehud Barak, alleato del premier, Benjamin Netanyahu, e sostenitore di un blitz contro i siti nucleari. L’esito di questa chiacchierata, e del racconto, è: ci può essere un attacco già nel 2012. L’articolo è stato anticipato la settimana scorsa, e il giorno dopo, puntuale sul New York Times, c’erano anonime fonti dell’intelligence israeliana che sostenevano: l’Iran sta bluffando, la minaccia di ritorsione in caso di attacco non è così pericolosa. Nelle stesse ore, il ministro delle Finanze di Gerusalemme, Yuval Steinitz, chiedeva, intervistato da Bloomberg Businessweek, di imporre un blocco aereo e navale totale sull’Iran. In tre giorni erano emerse sui media internazionali almeno una decina di posizioni diverse, mentre l’ufficio della comunicazione di Netanyahu litigava con il direttore del Jerusalem Post, Steve Linde, che aveva sentito, in un incontro privato, il premier dichiarare: “I nemici principali di Israele sono Haaretz e il New York Times”. Indiscrezioni, dichiarazioni, fonti anonime. Ogni giorno si parla di un eventuale blitz contro Teheran, mentre altri articoli – l’ultimo, il più accurato, sul Time – spiegano che un intervento militare oggi è tecnicamente impossibile. Laura Rozen, nota commentatrice di questioni mediorientali tenutaria del blog The Envoy, ha posto a Bergman la fatidica domanda: perché sono così “chatty” i leader israeliani? Il giornalista spiega che, secondo molti, lui stesso è stato “usato” per inviare messaggi alla Casa Bianca, ma Rozen ribatte che non ce n’era bisogno: il ministro della Difesa, Leon Panetta, chiede ormai su base giornaliera a Gerusalemme di non fare mosse avventate, soprattutto di non farlo senza avvertire l’America. Bergman è convinto che quel che i leader israeliani dicono – a partire dall’ex capo del Mossad Meir Dagan, che è contro lo strike, così come l’attuale capo del Mossad, Tamir Pardo, che considera la minaccia iraniana “non esistenziale” – “per la maggior parte non è detto per le orecchie israeliane”. Bergman cita un detto in ebraico che più o meno vuol dire “tienimi, così non lo colpisco”, e spiega che è come se gli israeliani volessero dire alla comunità internazionale di tenere a bada la questione nucleare, altrimenti poi Israele sarà costretto a prendere l’iniziativa. Il destinatario principale del messaggio è il presidente americano, Barack Obama, che è in corsa per la rielezione: secondo Bergman, molti dell’intelligence e dell’esercito israeliano dicono di aspettare il voto di novembre per poi discutere con la Casa Bianca dell’intervento militare, “è stato Obama a dire di non voler convivere con un Iran atomico”. Secondo altri, continua Bergman, “non si deve sottovalutare l’audacia di Obama, che ha già dimostrato di essere coraggioso con l’uccisione di Bin Laden, nonostante alcuni suoi collaboratori fossero contrari”. L’enigma del premier e la “fog of war” La risposta al perché delle tante dichiarazioni non c’è. Ma non si parla d’altro nei consessi che si occupano di politica estera. I realisti dicono di far avanzare l’armata diplomatica piuttosto che insistere con i bombardamenti, mentre domenica Amir Oren su Haaretz raccontava che in tutto il gran parlare ancora non si capisce che cosa voglia fare Netanyahu. La “fog of war” non è casuale, ma nel chiacchiereccio potrebbe essere più difficile evitarla, la guerra.

La REPUBBLICA - Bernardo Valli : " Come fermare Teheran: il dilemma dell'Occidente "


Bernardo Valli, Mahmoud Ahmadinejad

I tempi stringono. le scadenze si avvicinano. Il calendario nucleare iraniano riduce sempre più lo spazio di manovra di chi vuole impedire al regime teocratico di dotarsi di armi atomiche. Ormaida settimane, da mesi, nelle principali cancellerie enelle intelligence militari più impegnate si fanno e rifanno i calcoli tesi a precisare il momento critico in cui il programma nucleare di Teheran potrà resistere, quindi sopravvivere, agli attacchi aerei. Bisogna agire prima che questo accada. Secondo Gerusalemme mancano circa nove mesi al periodo in cui quel programma non potrà più essere fermato. Una fasecruciale. poichédisponendodi una massa critica di uranio di qualità militare sufficiente, l'Iran sarà in grado di realizzare la bomba atomica abbastanza in fretta. Grazie ai loro mezzi più potenti gli Stati Uniti disporrebbero ancora di una quindicina di mesi Il segretarioallaDifesa, Leon Panetta, ha parlato esplicitamente di un anno. I dirigenti di Teheran continuano a negare che il loro programma sia destinato a produrre armi nucleari, ma al di là della loro credibilità, resta il fatto che essi saranno presto nelle condizioni di avere la bomba. Gli esperti temono che l'estate sarà urta stagione di drammatiche u tempi stringono. Le scadenze si avvicinano. Il calendario nucleare iraniano riduce sempre più lo spazio di manovra di chi vuole impedire al regime teocratico di dotarsi di armi atomiche. Ormai da settimane, da mesi, nelle principali cancellerie e nelle intelligence militari più impegnatesi fanno e rifanno i calcoli tesi a precisare il momento critico in cui il programma nuclearedi Teheran potrà resistere, quindi sopravvivere, agli attacchi aerei. Bisogna agire prima che questo accada. Secondo le stimediGerusalemme mancano circa nove mesi alperiodo in cuiquel programma non potrà più essere fermato da un intervento israeliano. Una fase cruciale, poiché disponendo di una massa critica di uranio di qualità militare sufficiente, l'Iran sarà in grado di realizzare la bomba atomica abbastanza in fretta, senza ostacoli. Grazie ai loro mezzi più potenti gli Stati Uniti disporrebbero ancora di una quindicina di mesi. Il segretario alla Difesa, Leon Panetta, è stato più prudente, ha parlato esplicitamente di un anno. I dirigenti di Teheran continuano a negare che il loro programma sia destinato a produrre armi nucleari, ma al di là della loro credibilità, resta il fatto che essi saranno presto nelle condizioni di avere la bomba. Basandosi su questi calcoli, confortati nell'insieme dall'Agenzia internazionale dell'energia atomica, molti esperti occidentali pensano alla prossima estate mediorientale come a una stagione ricca di drammatiche sorprese. Essa deve apparire infatti non solo la stagione più propizia ma anche l'ultima occasione a quei dirigenti israeliani che ritengono inevitabiledistruggereo ritardare il progetto iraniano. Oltre alle insidiose scadenze nucleari, nell'estate Barack Obama sarà nel pieno della campagna elettorale, e, sottoposto a forti pressioni, dovrà rinunciare a opporsi all'intervento che considera avventato. Non potrà sottrarsi alla solidarietà verso l'alleato Israele, impegnato "in una lotta per la sopravvivenza", sostenuto dal candidato repubblicano e accompagnato da una consistente simpatia popolare. Questa logica porta a credere che, se ci sarà, l'operazione militare avverrà prima del 6 novembre, giorno del voto americano. Il rinvio di parecchi mesi (fino all'estate) delle manovre israeloamericane, programmate da un pezzo e dedicate alla difesa anti-missilistica, ha naturalmente moltiplicato i sospetti. Nessuno ha creduto che quelle manovre siano state ritardate per motivi non strategici ma economici. Spostate, guarda caso, da aprile al prossimo semestre. All'estate. Israele ha appena aumentato le spese per la difesa. Il nuovo calendario delle manovre, dice Amos I larel, esperto militare del quotidiano Haaretz, rende credibile lo scenario secondo il quale Israele potrebbe lanciare i suoi attacchi durante le esercitazioni. La presenza americana in Israele, con imponenti batterie di missili anti-missili, garantirebbe da eventuali reazioni di Teheran. Non tutto può essere comunque chiaro, esposto alla luce del sole. Un'operazione come quella iranianaè basata sulla sorpresa. Se i tempi stringono e si moltiplicano le pressioni in favore di un'azione militare, al tempo stesso non si spengono le obiezioni all'interno dello stesso governo di Gerusalemme. Senza contare i dubbi espressi da autorevoli esponenti dell'intelligence e dell'esercito (ed esempio l'ex capo del Mossad, Meir Dagan, e l'ex capo di stato maggiore, Gabi Ashkenazi) sull'opportunità di scatenare un'offensiva ricca di conseguenze nell'intera regione. E i dubbi si estendono anche al supposto stato avanzato delle ricerche nucleari iraniane. I due principali falchi, il primo ministro N etanyahu e il ministro della difesa Barak, ne devono tener conto. Come non possono trascurare il fatto che soltanto poco più del 40 per cento dei loro connazionali appoggerebbe finora un intervento. I:orgoglio israeliano, c heesige di garantirelasicurezza del paese con le proprie forze, senza dipendere dai pur potenti e fedeli alleati, mette in secondo piano, almeno in apparenza, le perplessità degli americani. I quali continuano a interrogarsi sulle reali intenzioni di Gerusalemme. Il generale Martin Dempsey, capo di stato maggiore americano, e Leon Panetta, capo del Pentagono, sono arrivati da Washington con la speranza di ottenere l'impegno a non agire senza l'accordo degli Stati Uniti o senza avvisarli preventivamente. Entrambi sono ripartiti a mani vuote. Dopo avere interrogato numerosi responsabili politici e altrettanti capi militari edell'intelligence, Ronen Bergman è arrivato alla conclusione che Israele colpirà certamente, nell'anno in corso, le centrali iraniane. Esempre secondo lui, autore di Secret War With Iran e analista politico-militare del quotidiano israeliano Yedioth Ah ronoth, gli Stati Uniti potrebbero alla fine intervenire in qualche modoafiancodi Israele. Manonci conta troppo. Immersi in un'atmosfera mista di timore e di tenacia, gli israeliani pensano che dovranno cavarseladasoli. Bergman rivela i sentimenti suscitati in Israele dalla prospettiva di una bomba atomica iraniana e anche dalle conseguenze di un'azione militare per impedirne la nascita. Ehud Barak precisa i tre criteri sui quali si deve basare l'azione di Israele. Anzitutto la sua efficacia. È in grado Israele di infliggere all'Iran severi danni, al punto da ritardare sul serio il progetto nucleare? E può il paese difendersi militarmente e il popolo resistere a un inevitabile contrattacco? Un'altra questione riguarda la necessità o meno, per sferrare l'attacco, di avere un aperto o tacito aiuto, in particolare dagli Stati Uniti. L'ultimo essenziale interrogativo chiede sequella che si presentaè l'ultima opportunità per un attacco, dopo che sono state tentate altre strade per contenere la minaccia nucleare. Per la prima volta, dalla metà degli anni Novanta quando è emerso il problema atomico iraniano, i leader più autorevoli di Israele rispondono "sl" ai tre quesiti, vale a dire affermano che l'operazione militare è possibile. Per anni Israele e gli Stati Uniti hanno tentato tante strade per dissuadere l'Iran. hanno cercato di spezzare i legami tra l'Iran e la Russia che aveva costruito un reattore nucleare nel sito chiamato Bushehr, econtribuito in modo detenninanteal pmgrammamissilistico. Alla finei russi hanno promesso che avrebbero fatto il possibile per rallentare la ricerca iraniana e hanno garantito che essa non era comunque in grado di produrre uranio() plutonio abbastanza raffinato per fare armi atomiche. Ma il padre della bomba pakistana, Abdul Kadeer Khan, ha sostituito i russi e ha creato la centrale di Natanz, a più di trecento chilometri daTeheran, dove è stato possibile avviare un processo per l'arricchimento dell'uranio. Con la scoperta della centraledi Natanz, dopo la visita dell'Agenzia atomica di Vienna, e l'avvio di sanzioni contro l'Iran, i servizi segreti israeliani hanno operato insieme a quelli americani, inglesi e francesi, per seguire ed ostacolare il programma nucleare che conti -nuava imperterrito. Insieme alle iniziative legittime, approvate dagli organismi internazionali, si sono moltiplicate le azioni clandestine, spesso attribuite al Mossad. Meir Dagan, allora appunto capo dei servizi segreti, ricevette fondi illimitati dal generale Sharon, con l'ordine di «fermare la bomba ira-niana». Nel New York Times Magazine, Ronen Bergman illustrala strategia di Dagan. Si articolava in cinque punti: pressioni politiche, azioni segrete, controproliferazione, sanzioni, cambio di regime. La strategia era ambiziosa e rischiosa. Sono cominciati gli omicidi. Quello del dottor Ardeshir Hosseinpour, scienziato in una centrale nucleare, suscitò scalpore e accese mille congetture. Morì asfissiato dal gas e gli iraniani accusarono il Mossad. Massud Ali Mohammadi, un fisico, èstato ucciso nel gennaio di due anni fa, da una bomba esplosa vicino alla sua automobile, mentre stava per mettersi al volante. Nel novembre dello stessoannoc'èstatalacaccia all'uomo nelle strade di Teheran. Due motociclisti hanno fatto esplodere le automobili di due ricercatori di rilievo: Majid Shahriari e Fereydurn Abbasi-Davani. Shahriari è morto dilaniato dalla bomba. Con la moglie, AbbasiDavani è invece riuscito ad allontanarsi in tempo, e ora è vice presidente dell'Iran ecapo dell'agenzia.atomica nazionale. Si muove soltanto ben scortato. Nel luglio scorso un motociclista ha teso un'imboscata a Dariush Rezaej-Nejad, pure lui fisico nucleare, mentre era seduto nella sua automobile, davanti a casa. Quattro mesi dopo, a 50 chilometri da Teheran, saltava per aria il generale Hassan Moghaddam, capodel reparto perla ricerca missilistica della Guardia rivoluzionaria Econ lui morivano uccisi 16 collaboratori. Un paio di settimane fa, l'11 gennaio, il vicedirettore della centrale di Natanz, quella dell'arricchimento dell'uranio, veniva ucciso da due motociclisti, mentre raggiungeva in automobile il suo laboratorio di Teheran. Si chiamava Mostafa Ahmadi-Roshan ed è stata l'ultima vittima. Hillary Clinton, il segretario di Stato americano, ha condannato l'assassinio, che gli iraniani avevano già attribuito al Mossad. Il presidente Shimon Peres si è affrettato a precisare che lui non era a conoscenza di una partecipazione israeliana a quel delitto. Quelli del Mossad (riferisce Ronen Bergman,sul NewYork Times) si guardano bene dall'attribuirsi azioni del genere. Meir Dagan, il loro ex capo, dice non avere compiuto ho ordinato azioni di quella natura neppure all'epoca in cui Sharon gli aveva ordinato di fermare a tutti i costi la bomba iraniana. Fa tuttavia notare che una morte come quella del professorMostafaAhmadi- Roshan è una grave perdi-ta per il programma nucleareiraniano. Ahmadi-Roshan era un cervello importante. E gli scienziati, che non sono soldati, esitano a farsi ammazzare. Ma la loro decimazione non ha fermato la bomba. Per questo ci vuole un attacco aereo. Qualcosa che assomiglia a una guerra.

La REPUBBLICA - Vanna Vannuccini : " Pasdaran e scienziato, l'uomo misterioso che prepara la bomba"


Vanna Vannuccini, Mohsen Fakrizadeh

All'arrivo aTeheran della delegazione dell'Aiea per quello che secondo i media americani potrebbe essere l'ultimo tentativodi risolvere pacificamente il contenzioso nucleare tra Iran e Occidente, il regime iraniano ha mostrato disponibilità. Ali Akbar Velayati, consigliere della Guida Suprema Khamenei, ha detto che l'Iran avrebbe permesso agli ispettori dell'Onu «tutte le ispezioni necessarie» e non ha escluso che l'arricchimento dell'uranio possa venire temporaneamente sospeso «durante il chiarimento delle questioniaperte». Su unarichiestadelladelegazione, tuttavia, Velayatinon si è sbilanciato: quella che gli ispettori possano parlare con l'uomo che i servizi segreti occidentali considerano il capo invisibile del comparto militare del programma nucleare. Nessun membro dell'Aiea l'ha mai visto, nonostante le ripetute richieste, di lui non sono circolate nemmeno fotografie. Il finlandese Olli Heinonen aveva chiesto spesso di incontrano quando era stato a capo degli ispettori internazionali in Iran dal 2003 al 2010. Inutilmente. Un colloquio con Mohsen Fakrizadeh (questo il nome dello scienziato misterioso) sarebbe «indispensabile», dice Heinonen, per far luce sulla natura del programma nucleare. Dubita tuttavia che gli ispettori riusciranno a vederlo: «Soprattutto ora che il regime iraniano accusa I'Aiea di aver passato al Mossad israeliano informazioni sugli scienziati nucleari iraniani, esponendoli ai recenti attentati». (Cinque scienziati nucleari sono stati uccisi in attentati negli ultimi tre anni) Mohsen Fakrizadeh è un fisico nucleare di 50 anni e generale di brigatadeipasdaran.Insegnaall'Universitàlmam Hossein diTeheranesecondo l'intelligente occidentale sarebbe il capo di una struttura segreta che risponde al ministero della Difesae sviluppa testate nucleari che dovrebbero po teressere usate sui missili Shahab. Il suo nome com pare nell'elenco degli ufficiali dei pasdaran contro cui sono state applicate le restrizioni di viaggio in Occidente e altre sanzioni ad personam. Dai pochi iraniani che l'hanno conosciuto viene descritto come una persona isolata dal mondo esterno e tenuta sotto altissima sorveglianza —l'eroe segreto del progresso nucleare oppure un prigioniero del potere. Da nessun rapporto dell'Aiea risulta finora che l'Iran abbia deviato l'uso del suo uranio verso scopi militari; ma i sospetti sono rafforzati dalla mancanza di risposte chiare su chi siano esattamente i responsabili del programma nucleare. Il nome di Mohsen Fakrizadeh come capo di una struttura clandestina che sarebbe il cuore segreto del programmanucleareiraniano compare nel2010inundossierarrivato nelle mani dell'Aiea e in cui veniva rivelata l'esistenza di una struttura parallela a quella ufficiale, che è il Consiglio nazionale perl'energia, le cui attività sono rivolte unicamente all'uso civile dell'uranio arricchito. L'Iran ha sempre negato l'esistenza di questa struttura parallela, che secondo il dossier è denominata Fedat (un acronimo per Field for extended high technology applications). Secondo l'intelligente occidentale fu all'interno di questa struttura segreta che furono eseguiti alcuni anni fa i test relativi ai meccanismi di accensione di una bomba. Oggi i compiti di Mohsen Fakrizadeh, che da dieci anni avrebbe mantenuto un ruolo di guida nell'organizzazione, si incentrerebbero sulla fabbricazione di una testata nucleare. Progetto 111 è il nome del programma al quale Fakrizadeh si dedica nel suo ufficio sulla via Salab di Teheran— anche il nome dell'ufficio è "orchidea" come quello della strada. Le rivelazioni sono pervenute all'Aiea prima da un laptop arrivato agli americani attraverso il Bundesnachrichtendienst tedesco, poi dalle informazioni fornite da Ali Reza Asgari, un ex sottosegretario alla Difesa scomparso a Istanbul nel 2007 e che oggi vivrebbe sotto urta nuova identità negli Stati Uniti; e dalle rivelazioni di un altro scienziato, Shahram Amiri, scomparso anche lui durante un pellegrinaggio alla Mecca (le autorità iraniane accusarono l'Arabia Saudita di averlo rapito). Secondo Mark Fitzpatrick, un funzionario dell'amministrazio-ne Clinton oggi a Londra all'IISS (International Institute for strategic studies) Fakrizadeh avrebbe avuto un ruolo cruciale sia nello sviluppo delle tecnologie relative alla bomba sia negli sforzi per procurarsi all'estero le componenti necessarie al programma nucleare.

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