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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.01.2012 Siria: continuano gli scontri a Damasco
cronaca di Lorenzo Cremonesi, commento di Antonio Ferrari

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 gennaio 2012
Pagina: 24
Autore: Lorenzo Cremonesi - Antonio Ferrari
Titolo: «Battaglia a Damasco. Periferie della città nelle mani dei ribelli - Lega araba verso l'accordo con l'Onu. Vacilla il trono di Bashar el Assad»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/01/2012, a pag. 24, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Battaglia a Damasco. Periferie della città nelle mani dei ribelli ", a pag. 32, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " Lega araba verso l'accordo con l'Onu. Vacilla il trono di Bashar el Assad" .

Lorenzo Cremonesi - " Battaglia a Damasco. Periferie della città nelle mani dei ribelli "


                                    Bashar al Assad

DAMASCO — La guerra per Damasco appare soprattutto una tragica sfida ad armi impari. L'esercito siriano mantiene con arrogante violenza la superiorità militare e logistica. Le opposizioni — sparse, disorganizzate, prive di un effettivo coordinamento nazionale che unifichi il confronto armato — attaccano e si disperdono a seconda delle circostanze. Il risultato sono i tragici bilanci degli ultimi giorni. Secondo i Comitati Locali di Coordinamento (uno dei gruppi più noti che operano tra le sommosse) i morti tra civili e guerriglieri sono stati 103 venerdì, 98 sabato e quasi 70 ieri. I feriti sarebbero centinaia. Nessuno si reca agli ospedali nazionali, verrebbero immediatamente arrestati, ma sono curati in modo approssimativo nelle piccole cliniche clandestine sempre più diffuse.
Ieri mattina presto, viaggiando dal centro della capitale verso l'aeroporto internazionale per lasciare il Paese (il visto per i giornalisti stranieri che non siano considerati «amici» come russi e cinesi è limitato a 10 giorni), abbiamo intravisto gli effetti della nuova mobilitazione in atto: rafforzati i posti di blocco dovunque, colonne di soldati in movimento, traffico civile nullo lungo le periferie. A un semaforo due auto cariche di agenti in borghese del mukhabaràt (il servizio di sicurezza interno) che brandivano i mitra visibilmente eccitati strombazzavano a velocità folle per chiedere strada. A bordo erano ben visibili due giovani uomini ammanettati, gli occhi bendati, con il viso, i capelli e i vestiti arrossati di sangue. Uno sembrava incosciente, con la testa ciondolante a ogni accelerata e la bocca spalancata in una smorfia di dolore.
Ma quello che non si vede della nuova battaglia per Damasco è molto più grave di ciò che si riesce in qualche modo a individuare. Da almeno quattro giorni il regime ha deciso di fare piazza pulita dei gruppi della rivoluzione attorno alla capitale. È la fine di una fase. Dopo l'arrivo degli osservatori della Lega Araba nei giorni di Natale, le azioni repressive si erano in qualche modo attenuate, in alcune zone i soldati si erano limitati a controllare da lontano. Le forze ribelli avevano dunque conquistato terreno. Alcuni quartieri periferici e numerosi villaggi nella regione di Damasco si erano autoproclamati «liberati». Di giorno una calma tesa, inframmezzata da spari isolati e brevi blitz dell'esercito. Di notte il buio totale per il taglio della corrente elettrica, la popolazione tappata nelle case e le imboscate occasionali.
Ma sabato la Lega Araba ha deciso di ritirare tutti gli osservatori. La questione della Siria insanguinata da oltre 10 mesi di rivolte passa ora al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Nei prossimi giorni si dibatterà la proposta incentrata sulle dimissioni del presidente Bashar Al Assad. Russia e Cina continuano a imporre il veto. È in questa situazione di stallo che la dittatura passa al contrattacco. L'agenzia di stampa ufficiale Sana insiste nel rilanciare la versione del regime, per cui i manifestanti sarebbero per lo più «terroristi», o addirittura nemici infiltrati dall'estero con il patrocinio di Israele, Stati Uniti, Arabia Saudita e Qatar.
Il tam tam della gente in rivolta segnala gravissime azioni repressive nel cuore dei centri abitati contro i civili. I carri armati e le artiglierie ieri hanno colpito i sobborghi di Kfar Batna, Saqba, Jisreen, Arbeen. Guerriglia nei villaggi di Doura, Harasta, Ghouta, Hammouryia. Sono segnalati movimenti di 2.000 soldati, accompagnati da una cinquantina tra carri armati e cingolati trasporto truppa. «È guerra urbana. Ci sono morti per le strade», gridano i ribelli su YouTube. Nuovi incidenti con numerose vittime sono tornati a interessare anche le città di Homs, Idlib e Hama. Ad Aleppo decine di studenti sono stati arrestati mentre manifestavano presso l'università.

Antonio Ferrari - " Lega araba verso l'accordo con l'Onu. Vacilla il trono di Bashar el Assad "


Lega Araba

Nessuno può dire con certezza se e quando tutto si concluderà, ma l'uscita di scena di Bashar el Assad potrebbe essere davvero prossima. Il piano sul quale si sta lavorando prevede il ritiro del presidente, la nomina di un successore appartenente alla stessa famiglia alauita, e la creazione di un governo di unità nazionale, quindi con l'opposizione sunnita.
Assad vuol resistere ma il vicolo, per l'attuale regime, è diventato cieco. Ormai la rivolta infiamma i sobborghi di Damasco e gli attori sono ormai diventati tre: Assad e il suo clan che non cede, con una parte dell'esercito e i servizi segreti; i ribelli, che stanno creando le strutture di un'opposizione organizzata; la componente delle Forze armate che si è schierata con i rivoltosi. È proprio questo gruppo il più pericoloso per il regime. I militari transfughi infatti conoscono bene forza e punti deboli del loro Paese.
L'ultima àncora è stata, per il vertice di Damasco, la missione della Lega araba, che è fallita perché non è riuscita a ottenere alcun risultato. Gli osservatori attendono che domenica 5 febbraio vi sia una nuova decisione: se abbandonare il lavoro, o se rilanciarlo con aiuti esterni. Quanto era stato prospettato, come ipotesi estrema, all'inizio della missione, potrebbe ora materializzarsi, cioè un pieno coinvolgimento politico-diplomatico delle Nazioni Unite, con tanto di supporto tecnico agli osservatori della Lega.
Siamo ormai alla stretta finale e i fratelli arabi, un tempo pronti a sposare qualsiasi compromesso pur di non prendere una posizione netta, hanno perduto la pazienza. Assad potrebbe anche accettare di ritirarsi, ma a condizione che gli alauiti possano conservare il potere, tuttavia al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, e tra i suoi membri permanenti, gli ostacoli sono assai visibili. La Russia, da sempre alleata di Assad, non accetta una risoluzione che non escluda categoricamente un coinvolgimento militare delle Nazioni Unite. È una corsa contro il tempo, mentre in Siria si continua a morire.

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