lunedi` 12 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






La Stampa-Il Foglio Rassegna Stampa
28.01.2012 Siria e Libano: stragi continue e cambio della guardia all'Unifil
Cronache e commenti di Giordano Stabile, Maurizio Molinari, Daniele Raineri, Paolo Mastrolilli

Testata:La Stampa-Il Foglio
Autore: Giordano Stabile-Maurizio Molinari-Danile Raineri-Paolo Mastrolilli
Titolo: «La vendetta di Assad su Hama, è strage di bambini-Il regime mostra le crepe, i soldati ora sono stanchi di questi massacri-Il mistero del video dei cecchini iraniani fatti prigionieri in Siria-La rappresaglia di Damasco una minaccia per l'Unifil»

Stragi cotinue in Siria. Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 28/01/2012, la cronaca di Giordano Stabile, l'intervista di Maurizio Molinari a David Schenker, esperto del Washington Istitute, l'articolo di Paolo Mastrolilli sul cambio della guardia all'Unifil, con un nostro  breve commento,dal FOGLIO l'articolo di Daniele Raineri sui rapporti Iran-Siria.
Ecco gli articoli:

La Stampa-Giordano Stabile: " La vendetta di Assad su Hama, è strage di bambini "

Le immagini dei bambini uccisi, con i volti coperti di sangue, messi in fila nei teli di plastica rossa, sono attaccate alla meglio con scotch su uno dei cartelli in cartone. «Assad assassino», si legge. La notizia del massacro di giovedì a Homs, con le prime immagini affidabili, «occidentali», a documentarlo, ha attraversato rapidamente il confine tra Siria e Libano. A Tripoli, a trenta chilometri dalla frontiera, sono scese in strada centinaia di persone, tra cui molti siriani fuggiti nei mesi scorsi dal conflitto. Si muovono con una certa prudenza nella centrale piazza Ibn Sina, perché a Tripoli c’è pure una minoranza di alawiti, la corrente islamica che detiene le chiavi del potere in Siria. E nel giugno scorso due opposte fazioni sono venute pesantemente alle mani. Ora, intorno, ci sono soltanto militari dell’esercito libanese.

Tripoli, nel Nord del Libano, è a meno di cento chilometri da Homs, l’epicentro dell’insurrezione siriana. In mezzo, le propaggini dei Monti del Libano che degradano verso il mare, colline di aranceti, e una strada stretta tra due filari di canne che porta al posto di frontiera di Al Qubayyat. Deserto, con una dozzina di Tir che aspettano da giorni di passare. Di là la strada scende verso Hama e Homs, circondate dalle forze di sicurezza siriane, isolate dal mondo. Finora sono filtrate solo voci, le testimonianze raccolte dall’opposizione, difficili da verificare. Fino a quelle fotografie, firmate Agenzia Reuters. Il massacro di giovedì.

Sul come sia avvenuto, bisogna fidarsi delle testimonianze raccolte dal Consiglio nazionale siriano, il fronte di opposizione al regime di Bashar al Assad creato sul modello del Cnt libico. «È stata una vendetta degli shabbiha, i miliziani alawiti – racconta Hamza, un attivista di Homs -. Hanno ucciso 14 persone di una stessa famiglia, nel distretto di Al Zaitoun. Otto erano bambini: il più piccolo aveva otto mesi, il più grande nove anni». Una vendetta, perché nei giorni precedenti una pattuglia di miliziani era stata decimata dai disertori che si sono organizzati nell’Esercito libero della Siria e conducono una guerriglia fatta di continue imboscate, soprattutto vicino al confine.

E la guerra civile, messa in sordina dal cerchio di ferro e fuoco che Assad ha dispiegato attorno alle città ribelli, chiusa a ribollire come in una pentola a pressione, diventa sempre più feroce. Gli osservatori arabi non sono serviti praticamente a nulla, tanto che ieri i sei Paesi del Golfo, Arabia Saudita in testa, hanno ritirato i loro. E si sono fatti promotori della riunione d’urgenza di ieri sera al Consiglio di sicurezza dell’Onu, per spingere su una nuova risoluzione euro-araba, abbastanza dura da convincere Assad a dimettersi e fermare il massacro. Le fredde statistiche stilate dall’Onu dicono che dal marzo scorso ci sono state 5400 vittime, tra le quali qualche centinaio di disertori, 384 bambini, compresi gli otto di Homs, avvolti nei teli rossi. Ieri altri 56 morti tra le forze di opposizione, 135 in meno di 48 ore, 400 in 4 giorni.

Con la diplomazia in fibrillazione, e Mosca che continua a frenare, ieri gli insorti hanno messo a segno sul campo un colpo al più fedele alleato di Assad, l’Iran. Altre immagini, questa volta un video: sette uomini con la barba, vestiti di una camicia nera, seduti spalle a un muro, controllati da uomini armati. Sono prigionieri del battaglione Farouq dell’Esercito libero della Siria, catturati a Homs. «Soldati irianiani venuti ad addestrare le forze di sicurezza di Assad», secondo gli insorti, che nel video mostrano i passaporti iraniani dei prigionieri e chiedono in cambio della loro liberazione lo stop «a tutte le operazioni dell’esercito del regime». Per Teheran sono «pellegrini di passaggio attraverso la Siria».

La loro cattura è il segno che il regime sta perdendo il controllo di pezzi del territorio. Persino a Damasco, finora ai margini della rivolta, sono comparsi checkpoint degli insorti nei quartieri periferici di Douma e Saqba. E il generale Mustafa al-Dabi, capo degli osservatori arabi, ieri per la prima volta ha parlato di «una escalation di violenza negli ultimi giorni», mentre solo una settimana fa sosteneva che la missione araba aveva ridotto l’intensità del conflitto.

La missione è stata prolungata dalla Lega araba per tutto febbraio, ma ormai è chiaro che il livello delle pressioni internazionali deve salire di un gradino. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu è stato convocato d’urgenza ieri sera dal Marocco, membro di turno arabo. Francia, Germania, Gran Bretagna e Qatar hanno messo a punto un testo che condanna la repressioneed esprime forte sostegno al piano della Lega araba che prevede le dimissioni di Assad e l’avvio di una transizione democratica. Ma la riunione si è chiusa con il «niet» della Russia, espresso dal vice-ministro degli esteri Ghennady Gatilov: «Il testo è inaccettabile». In settimana riprenderanno le consultazioni per arrivare al voto atteso per la fine della settimana.

La Stampa-Maurizio Molinari: " Il regime mostra le crepe, i soldati ora sono stanchi di questi massacri"


David Schenker

L’ apparato di sicurezza responsabile della repressione di Bashar Assad mostra segni di stanchezza: così David Schenker, ex consigliere del Pentagono per la Siria e oggi analista del Washington Institute, interpreta le crude immagini che arrivano dalla città di Homs.

Che cosa pensa degli scatti sulle salme di bambini uccisi?

«Sono macabri. Rendono esplicita la violenza della repressione contro i civili e svelano la stanchezza di chi la conduce».

Perché parla di «stanchezza»?

«Il regime di Bashar Assad finora ha represso le proteste applicando i manuali del regime iraniano, che nel 2009 riuscì a limitare il numero delle vittime. Se facciamo attenzione a quanto è avvenuto negli ultimi mesi, ci accorgiamo che il numero quotidiano delle vittime civili in Siria non ha mai superato le 50 e c’è stata sempre grande attenzione nel limitare l’impatto delle violenze, al fine di contenere le proteste internazionali. Queste sono state le istruzioni dei servizi iraniani ai siriani. Ma per rispettarle serve una disciplina ferrea, che evidentemente il regime non riesce più a mantenere».

Quale può essere stata la genesi della strage di civili a Homs?

«Homs è la culla della rivolta. Il regime ha aspettato il ritiro degli osservatori arabi, poi le forze di sicurezza hanno voluto impartire una severa lezione ai civili. Facendolo, hanno violato le disposizioni iraniane e il risultato è un’indignazione internazionale che potrebbe scuotere il Consiglio di Sicurezza».

Come avvenne per il massacro di bosniaci a Srebrenica che nel 1995 spinse la comunità internazionale a intervenire contro la Serbia?

«È presto per dirlo, certo le immagini dei bambini uccisi a Homs rendono per la Russia più difficile opporsi alle richieste di intervento che la Lega Araba sta rivolgendo alle Nazioni Unite».

È più Mosca o Pechino a proteggere Damasco all’Onu?

«È Mosca e il motivo è che la Russia si è sentita ingannata sulla Libia. Diede il via libera all’Onu per l’operazione di Bengasi solo a fini umanitari, ma poi quell’intervento ha portato a deporre Gheddafi. Il Cremlino non vuole che tale precedente si ripeta in Siria col rovesciamento di Assad, che è un suo stretto alleato».

Che grado di controllo ha Assad sulla situazione interna?

«Oltre alla foto dei bambini morti ce n’è un’altra importante che arriva sempre da Homs. Vi si vede un disertore della IV divisione portato in trionfo dalla folla. La IV divisione è stata finora uno degli strumenti più efficaci ed efferati della repressione e il fatto che inizi ad avere defezioni conferma come nei ranghi del regime si registrino delle crepe».

Che giudizio dà dell’Esercito di liberazione siriana?

«L’opposizione armata cresce lentamente ma registra progressi. Riesce a creare posti di blocco, impedisce alle truppe di Assad di entrare in alcuni quartieri alla lontana periferia di Damasco ed è anche riuscita ad assumere, per breve tempo, il controllo di piccoli centri ai confini con il Libano. Gli elementi di maggiore efficacia finora sono i posti di blocco, perché sono efficaci nell’ostacolare i movimenti delle forze di sicurezza contro i civili».


Il Foglio-Daniele Raineri: " Il mistero del video dei cecchini iraniani fatti prigionieri in Siria"

Roma. Parlano in lingua farsi, quando indicano la data del giorno usano il calendario giusto, quello persiano prescritto dal sultano Jalal, hanno in mano tesserini iraniani. Giovedì sera è sembrato che fosse saltato il segreto del medio oriente meglio custodito negli ultimi dieci mesi – l’arrivo e la presenza di truppe dell’Iran in Siria per aiutare il governo di Damasco a reprimere con la violenza delle armi la ribellione. Un video su Internet mostra cinque uomini che confessano di essere cecchini, appartenenti alle Guardie della rivoluzione, mandati in Siria con il compito di sparare nelle strade della città in rivolta di Homs, c’è pure un fucile di precisione Dragunov di fabbricazione russa appoggiato tra loro e senza caricatore al muro. Il giornalista Josh Shahryar provvede a una trascrizione veloce: “Io e la mia squadra siamo entrati in Siria, io a metà ottobre e gli altri in date diverse, abbiamo aiutato l’intelligence siriana a sopprimere i civili e a sparare contro di loro, ne abbiamo uccisi molti, compresi donne e bambini. Abbiamo ricevuto i nostri ordini direttamente dai servizi segreti dell’aviazione di Homs. La richiesta di agire è arrivata dall’ayatollah Khamenei”. Da Teheran l’agenzia Mehr risponde che i cinque non sono cecchini, ma sarebbero ingegneri iraniani rapiti nei paraggi di Homs a dicembre e ora costretti a una messinscena. Non è la prima volta che riappaiono: all’inizio di gennaio il settimanale francese Paris Match ha pubblicato una loro foto a doppia pagina nelle mani di uno di quei gruppi composti di volontari e di militari disertori che ora combattono una guerriglia esausta contro l’esercito regolare. Nel paginone i cinque erano indicati come “cecchini”. Ora il sito del Time dedica una pagina alla questione: sono cecchini o ingegneri? Fin dal primo mese di proteste c’è il sospetto che gli alleati del presidente Bashar el Assad in Libano e in Iran abbiano mandato uomini e soldati ad aiutare materialmente l’opera di repressione armata e durissima contro le manifestazioni – ieri ci sono stati quaranta morti. L’alleanza è forte per ragioni strategiche. Simul stabunt vel simul cadent, come dice il brocardo latino usato in diritto, assieme staranno in piedi e assieme cadranno. A Teheran vorrebbero che a Damasco non cambiasse nulla, e così la pensano anche nella zona sud di Beirut, capitale non ufficiale del movimento Hezbollah. Due settimane fa, Assad ha voluto ostentare confidenza con la situazione nella capitale, del resto è stato lui a vantarsi sul numero di Vogue America nel marzo scorso di girare per la capitale guidando da solo la propria auto, senza sicurezza, come un premier scandinavo; così si è offerto alla piazza centrale di Damasco colma di sostenitori per tre minuti. Il giornale panarabo Asharq al Awsat sostiene che molti di essi fossero libanesi fidati, uomini di Hezbollah, trasportati apposta a Damasco con torpedoni. I militari israeliani fanno notare che nei video della repressione girati nelle strade ci sono – a volte – uomini barbuti, e non possono che essere sciiti libanesi o iraniani, perché ai soldati regolari siriani è fatto divieto di farsi crescere la barba, è una cosa che tradirebbe troppo fervore religioso e non sarebbe vista di buon occhio dal partito Baath. Il ruolo dell’aviazione Il dettaglio interessante nel video è la confessione del legame tra iraniani e servizi segreti dell’aviazione, l’Idarat al- Mukhabarat al Jawiyya. In realtà nella struttura della repressione della Siria, composta da quattro direttorati, quello dell’aviazione è il più piccolo ma più potente. Il padre di Bashar, Hafez, da comandante delle forze aeree, aveva creato il servizio con i suoi uomini più fidati e il suo ruolo più che con l’aviazione ha a che fare con la repressione contro la Fratellanza musulmana. Gli agenti lavorano spesso nelle ambasciate e negli uffici all’estero della compagnia di bandiera siriana. Ora è sotto la guida del generale Jamil Hasan, di fede alawita, colpito dalle sanzioni americane ed europee per il ruolo brutale che ha nella repressione delle proteste (le sanzioni restringono viaggi e conti all’estero). Il suo interlocutore dall’Iran è Qassim Suleimani, il capo delle operazioni esterne dei pasdaran, il Keiser Söze del medio oriente – è la definizione datagli dagli americani, con riferimento al machiavellico cattivo impersonato da Kevin Spacey nel film “I soliti sospetti”. Suleimani sta facendo la spola tra Teheran e Damasco, dove si è recato anche questo mese, e per questo è finito anche lui – che è iraniano – nell’elenco delle persone colpite dalle sanzioni.

La Stampa-Paolo Mastrolilli: "La rappresaglia di Damasco una minaccia per l'Unifil "


Paolo Mstrolilli scrive:
Il mandato è monitorare la cessazione delle ostilità tra Hezbollah e Israele nel Sud del Paese...
Non è corretto equiparare Israele e Hezbollah, non è che avvengono ostilità tra loro,  è Hezbollah che dal Libano rappresenta una minaccia per Israele. Gli attacchi partono dal Libano, Israele risponmde. Una differenza non da poco.
Ecco il pezzo:

L’ Italia riprende oggi il comando di Unifil in Libano, ma l’attenzione di chi guida le operazioni è puntata soprattutto sull’instabilità dei Paesi vicini, Siria e Iran in testa. Da qui potrebbero venire i pericoli più insidiosi, che minaccerebbero di riflesso i caschi blu. Il generale Paolo Serra, piemontese, sostituisce lo spagnolo Asarta al comando della missione composta da circa 13 mila persone, tra militari e civili, di cui oltre mille italiani. Il mandato è monitorare la cessazione delle ostilità tra Hezbollah e Israele nel Sud del Paese, favorendo la stabilità e prevenendo un nuovo conflitto. Quindi un incarico militare e diplomatico.

Il passaggio di consegne è stato l’occasione per una visita in Libano del ministro della Difesa Di Paola e del sottosegretario agli Esteri De Mistura, che hanno incontrato le più alte autorità locali, dal presidente Suleiman al premier Mikati, per ribadire l’impegno italiano a favore della stabilità e ricevere assicurazioni sulla collaborazione di Beirut con Unifil.

La situazione è complessa per almeno tre motivi: la paralisi del processo di pace tra israeliani e palestinesi; le tensioni interne alla società libanese; l’instabilità dei Paesi vicini e il rischio di essere coinvolti nella «faida» montante tra sciiti e sunniti, che potrebbe contagiare il Libano.

L’anno scorso Unifil ha subito tre attacchi, e almeno uno sarebbe stato ordinato dalla Siria, per rappresaglia contro le critiche al regime sulla repressione delle proteste. Simili ostilità potrebbero ripetersi con l’acuirsi della pressione internazionale su Damasco, mentre le violenze o il crollo del regime di Assad minacciano di destabilizzare il Libano, aprendo la strada all’afflusso di profughi nelle regioni controllate da Unifil. La missione Onu dovrà anche pattugliare il mare, per evitare il contrabbando di armi dal Libano verso la Siria in favore dell’insurrezione. Nella regione c’è poi grande preoccupazione per le armi che arrivano dall’Iran verso la Siria per sostenere il regime, e per i profughi che potrebbero puntare sul Golan in caso di scontri interni violenti.

Un altro timore è che Hezbollah, davanti a un aumento delle tensioni con l’Iran, attacchi Unifil per conto di Teheran come rappresaglia. La «faida» tra sunniti e sciiti, che ha già colpito in Iraq e Bahrain, contagerebbe il Libano, in passato polveriera proprio per le diverse etnie e religioni che lo abitano.

Questo problema si intreccia con gli equilibri politici interni. Alcuni attribuiscono uno dei tre attacchi lanciati contro Unifil a nemici di Hezbollah, che volevano dimostrare come il «Partito di Dio» non controlla il Sud del Paese. Un regolamento di conti interno, di cui ha finito per fare le spese la missione Onu. Israele da tempo denuncia che Hezbollah si sta riarmando al Sud, ma non avrebbe fornito informazioni di intelligence su cui agire, anche perché la ricerca delle armi toccherebbe all’esercito libanese. Il riarmo, comunque, viene visto come una dimostrazione di forza interna al Libano, rivolta ai partiti rivali, piuttosto che un tentativo di prepararsi a una nuova guerra con Israele. Il blocco del processo di pace, poi, allontana la conclusione della missione.

I militari giudicano adeguate le regole d’ingaggio attuali per garantire la sicurezza dei caschi blu, però non nascondono che si tratta di una missione prestigiosa, ma anche molto delicata.

Per inviare la propria opinione a Stampa e Foglio, cliccare sulle e-mail sottostanti.


lettere@lastampa.it
lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT