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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale-Libero-IlSole24Ore Rassegna Stampa
22.01.2012 Primavera araba: fine delle illusioni. Ma 'Abu' Tramballi non se ne accorge
Non legge nemmeno l'editoriale del suo giornale

Testata:Il Giornale-Libero-IlSole24Ore
Autore: Rolla Scolari-Souad Sbai-Ugo Tramballi-Editoriale del Sole24Ore
Titolo: «Come previsto, la Primavera consegna l'Egitto agli imam-Fine delle illusioni, da Rabat a Tunisi, al Cairo è iniziata la controprimavera-Fratelli Musulmani al test del governo-Primavera araba dal gusto integralista»

Che la Primavera araba abbia ormai le sembianze dell'inverno, se ne sono accorti quasi tutti, tranne Ugo 'Abu' Tramballi, che sul SOLE24ORE di oggi, 22/01/2012, a pag.13, continua a far finta di niente, vediamo che succede, scrive, certo i problemi sono tanti - ma bravo 'Abu' Tramballi, se ne accorge anche lui- ma conviene attendere, che diamine il governo islamista ha la maggioranza, si affretti ad acchiappare i soldi del Fondo Monetario e poi ci mostri il suo volto 'moderato'. Povero Tramballi, e povero giornale della Confindustria, che continua ad  avere un direttore che non controlla nemmeno quanto scrivono i collaboratori, in aperto contrasto con gli editoriali.
Prima di 'Abu' Tramballi, riprendiamo dal GIORNALE l'articolo di Rolla Scolari, e da LIBERO l'analisi di Souad Sbai, entrambe raccontano come stanno le cose, altro che Tramballi.
Ecco gli articoli:

Il Giornale-Rolla Scolari: " Come previsto, la Primavera consegna l'Egitto agli imam "


L'imam Qaradawi

In Egitto, i risultati ufficiali della prima parte del lungo processo elettorale inizia­to a novembre sono arrivati a soli quattro giorni dall'anniversario della rivoluzione del 25 gennaio. I numeri rivelati dalla com­missione elettorale nazionale racconta­no senza sorprese il robusto successo non soltanto dei Fratelli musulmani. I partiti islamisti hanno conquistato il 70% dei seg­gi della Camera bassa, spingendo la pri­mavera araba dei giovani e dei movimenti laici e liberali di piazza Tahrir in un ristret­to angolo del Parlamento e confermando una tendenza già iniziata in Tunisia, dove alle urne ha vinto il partito islamico mode­rato Ennahda.
I Fratelli musulmani, da sempre l'oppo­sizione più organizzata, hanno ottenuto il
47 ,18 % dei voi, conquistando 235 dei 498 seggi dell'Assemblea popolare. Il nuovo presidente dell'Assemblea, Mohammed Saad Al Katatny, si è dimesso ieri da segre­­tario del partito Giustizia e Libertà, espres­sione politica dei Fratelli musulmani, per assumere la nuova carica. La vera sorpre­sa, però, è stato il risultato di Al Nour, parti­to dei salafiti, musulmani ultraconserva­tori: A loro vanno 121 seggi.
Il primo dei partiti laici e liberali ad arri­vare dietro ai movimenti religiosi non è neppure un movimento originato dalla ri­voluzione, ma è uno dei gruppi più antichi della politica egiziana: lo storico Wafd ­che nei decenni di dominio del Partito na­zional democratico di Hosni Mubarak era diventato un guscio vuoto - ha ottenuto il 9%. Il Blocco egiziano, una coalizione di partiti rivoluzionari, ha preso soltanto il 7%. Il resto delle forze rivoluzionarie, che a gennaio 2011 hanno riempi­to­piazza Tahrir fino alla cadu­ta del rais Hosni Mubarak, resta quasi senza voce. La rivoluzione della piazza, la primavera araba, non ha saputo tradursi in vit­toria elettorale e ha aper­to la porta al successo dei gruppi islamisti, più orga­nizzati e con un'esperienza politica e sociale più robusta.
A preoccupare gli osservatori occidentali ma anche gli egiziani più lai­ci, il fatto che a febbraio, al termine delle elezioni della Camera Alta, sarà un Parla­mento a maggioranza islamica a eleggere un consiglio di 100 membri che si occupe­rà di scrivere le nuova Costituzione.
Le capitali internazionali si stanno già adattando al nuovo ordine. In una prima assoluta per la regione, pochi giorni fa Ann Peterson, ambasciatore americano in Egitto, ha incontrato Mohammed Ba­die, Guida suprema dei Fratelli musulma­ni. Venerdì, in televisione, Badie ha chia­mato all'unità nazionale,
chiedendo a tut­ti gli egizian­i di partecipare alle celebrazio­ni che i militari stanno organizzando per il 25  gennaio. Le forze giovanili rivoluziona­rie, però, si oppongono alla parata milita­re. Per 56 movimenti e gruppi politici, mer­coledì l'appuntamento sarà ancora una volta a piazza Tahrir, per portare avanti quella che considerano una rivoluzione incompiuta.

Libero-Souad Sbai: " Fine delle illusioni, da Rabat a Tunisi, al Cairo è iniziata la controprimavera"



Il Cairo, università Al Azhar

È iniziata fra le fiamme. Le fiamme che avrebbero dovuto divorare le catene del mondo arabo,mache hanno finito solo per rinforzarle, dando loro un senso e un colore assai più feroce di quello che avevano in precedenza. Le fiammedi SidiBouzid non hanno dilaniato i raìs e il loro modo di vivere il potere, visto che solo Gheddafi ha pagato con la vita una colpa che i libici non gli hanno davvero mai imputato. Mubarak morirà presto, di malattia o per la mano del boia, ma di certo la sua morte non è legata a quelle fiamme. Ma a ben altro. Si dice che ciò che è iniziato con le fiamme nelle fiamme tornerà. La linea sottile che lega Tunisi a Rabat e al Cairo in mano agli islamisti è laconfermapalese di questo assunto. Nella capitale tunisina la gente è tornata in piazza a migliaia da due giorni perfar sentire lasuavocecontro l’estremismo dilagante di Ennahda, che nel suo leader Ghannouchi ha uno dei più feroci seguaci della sharia di Stato. Protesta ovviamente ignorata volutamente dai media mondiali, ancora convinti che la primavera araba sia in corso e porterà alla libertà. Quando invece durante le proteste salafite erano ossessivamente in prima linea con le loro telecamere. A Rabat, invece, è accaduta una cosa unica nel suo genere. Alla lettura del programma di Governo di Benkirane all’inse - diamento in Parlamento, le donne alzano un cartello di protesta chiedendo ironicamente «giustizia e sviluppo», punti fermi del nome del partito Pjd. Per lo sguardo di Benkirane, chiedere ad almaghrebiya.com, che pubblica il video integrale. Nello stesso video c’è un altro episodio che caratterizza questa fase, di «controprimavera»: nello stesso attimo, un gruppo di giovani si dà fuoco davanti al Parlamento, per le donne e il lavoro,cose che il Governo Benkirane sta affossando. La primavera araba è finita? Forse si, ma potremmo dire, con maggiore realismo, che quella chevolevamo noinonè mai iniziata. Quella islamica ha preso il suoposto,trovando peròloscoglio che oggi vediamo nelle proteste di piazza e di aula. L’estre - mismonon sa enon può governare. Questo i vari Ghannouchi, Benkirane e Qaradawi lo sanno bene. Ma il popolo, specialmente quello marocchino, ha avuto la forza di reagire e di fare rete dentro e fuori il Parlamento, cosa che nel mondo arabo non era mai accaduta. Vedere quelle donne alzare i cartelli di protesta senza paura, guardando in faccia la belva che grugniva sotto la barba senza avere il coraggio di dire nulla o di alzare lo sguardo. Tipico degli estremisti 2.0: soli davanti a una donna velata. La primavera araba chiude i battenti, ma non solo in Marocco, dove le nostre prime protesteconlettere edenuncedi fuoco hanno dato i frutti sperati, ma anche in Uzbekistan, dove a studenti e studentesse non è più permesso indossare capi che riportino alla religione oppure in Libia, dove le donne chiedono la rappresentanza parlamentare, udite udite, proprio in nome di quell’Islam che a Tripoli, per mano di Jalil e la sua combriccola, le vorrebbe escluse. Tempo fa mi suggerirono di proporre Mohammed VI come uomo dell’anno, in contrapposizione all’estremista incoronato dalla copertina di Time. Forse non sbagliava chi vedeva nel tutore della democrazia marocchina un eroe silenzioso e intelligente, che è riuscito ad azzoppare dal principio il governo dell’estre - mismo. Ah, dimenticavo. In Afghanistan, una donna senza burqa, libera, sfiderà Karzai alle prossime elezioni. Da quell’in - ferno arriva il coraggio. * Deputato Pdl

IlSole24Ore-Ugo Tramballi: " Fratelli Musulmani al test del governo"


Ugo 'Abu'Tramballi, in una foto senza turbante

Tutto come previsto: allo spoglio finale del lungo processo elettorale, gli islamici conquistano due terzi dei 498 seggi della prima Assemblea del popolo egiziano. Il nuovo Parlamento è già convocato per domani, pochi giorni prima dell'anniversario di piazza Tahrir. Il bello incomincia adesso: inizia cioè la parte più difficile e pericolosa della Primavera egiziana.
Primo partito, Giustizia e libertà, il braccio politico dei Fratelli musulmani. Potrà esprimere il presidente della Camera: sarà Saad al-Katatui, il primo islamista ad occupare una carica istituzionale. Secondo è al-Nour, il partito dei più radicali salafiti; terzo il Nuovo Wafd, la versione rinnovata della vecchia borghesia liberale pre-nasseriana. Nel proporzionale per liste di partito, la fratellanza vince 127 seggi: con il restante terzo, eletto con sistema maggioritario, arrivano a quasi la metà dei seggi. Nour raggiunge un quarto dei posti disponibili.
La marcia del nuovo Egitto affronta ora la fase delicata della scrittura di una Costituzione: il Parlamento e i militari che continuano a guidare la transizione, nomineranno una commissione di 100 saggi. Concluso il loro lavoro, la Costituzione verrà sottoposta a referendum popolare. Infine ci saranno le elezioni presidenziali. Entro giugno, prima del mese di Ramadan, dovrebbe essere tutto fatto. Ma nessuno crede che il calendario potrà essere rispettato.
Dopo circa mezzo secolo di opposizione e un anno di rivoluzione, per i Fratelli musulmani viene il momento di diventare partito di governo. Saranno loro a determinare, non meno e forse più dei militari, il profilo della Costituzione. È la carta fondamentale che spiegherà quanto islamiche saranno la società e la democrazia egiziane.
Accanto a questa, tuttavia, c'è un'altra questione fondamentale: la crisi economica che si fa sempre più acuta. La settimana scorsa i militari hanno ripreso la trattativa con il Fondo monetario internazionale per un prestito da 3,2 miliardi di dollari. D'accordo almeno per una volta con le altre componenti della Primavera - gli islamici e il "movimento" di piazza Tahrir - a giugno la giunta militare aveva respinto una prima proposta d'aiuto: il Fondo chiedeva riforme economiche e tagli alla spesa pubblica. Il contrario di ciò che il nuovo Egitto stava facendo: aveva congelato le riforme economiche del vecchio regime e aumentato i salari.
La crisi nel frattempo è diventata insostenibile: restano nelle casse riserve valutarie per un paio di settimane d'importazioni. Il turismo è fermo, la produzione industriale quasi. In decenni di opposizione, i Fratelli musulmani avevano costruito il loro consenso sulle iniziative sociali: per questo hanno già richiesto i ministeri dell'Educazione e della Sanità. Presto però avranno una responsabilità diretta nella gestione del Paese, nelle sue scelte macro-economiche e nella finanza. Se ne esiste uno, il modello economico dei Fratelli musulmani ancora non è stato spiegato. L'altro giorno, tuttavia, il capo del nuovo Comitato economico del movimento, Ashraf Badr El-Din, ha aperto le porte all'aiuto dell'Fmi: «Nessuna obiezione al prestito purché sia compatibile con le priorità nazionali». Nessuna, oggi, è più urgente della crisi economica.

IlSole24Ore- " Primavera araba dal gusto integralista "


'Gusto Integralista'

I Fratelli musulmani sono favorevoli a riaprire la trattativa con il Fondo Monetario Internazionale: in gioco c'è un prestito da 3,2 miliardi di dollari e il futuro dell'economia egiziana al collasso. L'Islam politico che lo spoglio finale delle elezioni ieri ha confermato come prima forza politica, sa che quell'aiuto è necessario. E sa che per ottenerlo occorre adempiere ad alcune condizioni, cioè proseguire con le riforme economiche che aveva avviato il regime precedente. È un segno importante di pragmatismo e di apertura al mondo che la fratellanza non aveva ancora dato. Rimane tuttavia poco chiaro quale sia il suo modello economico: l'aspetto sociale è fondamentale, due terzi degli egiziani sono poveri. Ma fino ad ora il problema era stato affrontato con modalità populiste. Il populismo senza petrolio - l'Egitto non ne ha abbastanza - non è possibile. I militari e gli islamici sono i due elementi fondamentali di ciò che resta della Primavera egiziana. Entrambi sanno di economia quanto di democrazia: quasi nulla. Trovare una strada per la prima è decisivo per continuare il cammino verso la seconda.

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