Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 20/01/2012, a pag. 1-4, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo "Foreign Affairs Iran". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 23 la breve dal titolo " Attrice posa nuda in Francia. Teheran le vieta di tornare in patria ".
Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - Daniele Raineri : "Foreign Affairs Iran"


Daniele Raineri
Roma. Foreign Affairs è il bimestrale di politica estera dell’establishment americano e nel giro di un mese ha pubblicato due pezzi di ricerca uno più bellicoso dell’altro invocando la necessità di un attacco preventivo contro l’Iran. Il primo articolo è di Matthew Kroenig, professore alla Georgetown University e per un anno consulente alla Difesa americana durante il mandato di Barack Obama. Titolo: “E’ ora di attaccare l’Iran”.
Kroenig sostiene che è un errore considerare le conseguenze di un bombardamento americano peggiori o pari alle conseguenze di un Iran finalmente in possesso dell’arma nucleare. “In realtà l’attacco è l’opzione meno peggio”. La scelta di Teheran di spostare quest’anno il programma atomico dentro installazioni sotterranee e più protette sta chiudendo la finestra d’opportunità per un’azione militare efficace. “Se l’Iran espelle gli ispettori dell’Aiea, oppure comincia ad arricchire le scorte di uranio fino al grado necessario per le bombe – al 90 per cento – o installa centrifughe più avanzate nel suo sito per l’arricchimento di Qom, gli Stati Uniti devono colpire immediatamente o perderanno l’ultima opportunità di fermarlo prima che entri nel club nucleare”.
La lista dei bersagli, scrive Kroenig, include l’impianto per la conversione dell’uranio a Isfahan, il reattore ad acqua pesante di Arak e alcuni siti per la costruzione di centrifughe sistemati tra Natanz e Teheran, tutti esposti all’aperto e molto vulnerabili ai bombardamenti. Comprende anche il sito di Natanz, che, anche se nascosto sottoterra sotto il cemento armato e circondato da difese antiaeree, non sopravviverebbe a un attacco con la nuova bomba di profondità americana, la Moad da 15 tonnellate, capace di penetrare attraverso settanta metri di cemento rinforzato. L’impianto di Qom è costruito dentro il fianco di una montagna e rappresenta un bersaglio più difficile. Ma non è ancora operativo e contiene poco materiale nucleare, se gli Stati Uniti agissero rapidamente, scrive, non ci sarebbe bisogno di colpirlo. L’articolo di Kroenig spende la maggior parte del suo spazio sul bilanciamento delle conseguenze, quelle del raid contro quelle del laissez-faire. Cosa succederebbe all’equilibrio in medio oriente? Iran e Israele, argomenta, sono diverse dagli Stati Uniti e dall’Unione sovietica durante la Guerra fredda, non hanno quasi nessuna delle condizioni che hanno aiutato le due superpotenze a evitare la reciproca aggressione nucleare: i siti superprotetti che assicurano la capacità di sopravvivere alla prima catastrofe e di contrattaccare, linee di comunicazione aperte e chiare, i lunghi tempi di volo per i missili balistici intercontinentali per arrivare da un paese all’altro e l’esperienza per gestire arsenali nucleari. Per quanto riguarda la reazione, “gli Stati Uniti dovrebbero fare attenzione a non minacciare esistenzialmente l’Iran, ma soltanto a prendere di mira il programma atomico con un colpo chirurgico”.
Teheran non vorrà danneggiarsi reagendo con misure estreme e suicide a un raid limitato, “ma calibrerà la propria rappresaglia”. Sull’alter ego meno paludato e più pop di Foreign Affairs, la rivista Foreign Policy, il professore di relazioni internazionali a Harvard Stephen Walt controbatte (con un lungo articolo scritto apposta) che non c’è prova che l’Iran sia davvero intenzionato prima a costruire una bomba atomica e dopo a usarne il semplice possesso per ottenere aggressivamente gli obbiettivi della propria politica estera– come del resto nessuno degli stati già dotati di bombe nucleari fa. Il secondo pezzo pubblicato da Foreign Affairs (dentro un dossier corposo, con articoli di segno contrario) si spinge ancora più in là e sostiene che gli effetti di un raid durerebbero troppo poco, è necessario un cambiamento totale ai vertici politici di Teheran. Titolo: “Le ragioni per un regime change in Iran”. Il programma atomico ripartirebbe e in breve tempo recupererebbe il ritardo: il pericolo reale, da togliere di mezzo, è il regime che segue e coltiva il programma. Jamie Fly e Gary Schimdt contraddicono Kroenig: dicono che ormai il programma atomico iraniano è troppo metastatizzato, disperso, indistruttibile. “E’ il sintomo di una malattia più vasta: il regime rivoluzionario fondamentalista a Teheran”. La campagna aerea in questo caso non dovrebbe essere l’azione limitata chiesta da Kroenig, ma al contrario allargarsi massicciamente a tutta la catena di comando e controllo, le caserme dei pasdaran, le basi del ministero dell’Intelligence, “i siti dove lavorano e vivono i membri chiave del governo”. “Kroenig ha ragione a sostenere che il raid va fatto, ma (…) sarebbe molto meglio mettere il regime a rischio piuttosto che lasciarlo ferito e con la capacità nucleari.
CORRIERE della SERA - "Attrice posa nuda in Francia. Teheran le vieta di tornare in patria"
Consigliamo la lettura di questo pezzo a Luigi Offeddu, che, sempre sul Corriere di oggi, ha scritto un articolo a pag. 25, che viene smentito a pag.23, e che qui riprendiamo:

Golshifteh Farahani
La giovane attrice iraniana Golshifteh Farahani ha posato nuda per il settimanale Madame Le Figaro (a sinistra la foto presa dal suo account di Facebook) in segno di protesta contro le restrizioni imposte dalla Sharia nel suo Paese. Per tutta risposta Teheran le ha intimato di non tornare in patria.
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