Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Iran nucleare: come bloccare il programma ? E quali saranno le conseguenze ? analisi di Fiamma Nirenstein, Pio Pompa + due megafoni di Ahmadinejad
Testata:Il Giornale - Il Foglio - Il Manifesto Autore: Fiamma Nirenstein - Pio Pompa - Reza Akbari - Azadeh Pourzand Titolo: «Ci manca solo l’atomica sotto le Piramidi - Così gli Stati Uniti trattengono Israele dall’attacco contro l’Iran - Volete Ahmadinejad? Attaccate l’Iran»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 19/01/2012, a pag. 18, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Ci manca solo l’atomica sotto le Piramidi ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo di Pio Pompa dal titolo " Così gli Stati Uniti trattengono Israele dall’attacco contro l’Iran". Dal MANIFESTO, a pag. 9, l'articolo di Reza Akbari e Azadeh Pourzand dal titolo " Volete Ahmadinejad? Attaccate l’Iran ", preceduto dal nostro commento. Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Ci manca solo l’atomica sotto le Piramidi"
Fiamma Nirenstein
Magari gli impianti nucleari egiziani danneggiati nella località di Naaba di cui ha parlato con grande allarme Fayza Abouel Naga, ministro della pianificazione e della cooperazione, sono un'iniziativa innocente, persino utile.. ma nel clima mediorientale, molto meglio mettere le mani avanti. Naga ha dichiarato la sua determinazione a portare a termine il reattore che ha subito «gravi atti di vandalismo»; questa determinazione l'ha espressa a nome del primo ministro Kamal al Ganzouri che è decisissimo ad avere il suo nucleare egizio. È il nostro primo reattore, dice Naga, non ci faremo spaventare dai vandali: probabilmente si tratta di oppositori politici del governo. Questo per la cronaca. Per la storia, la verità è che da quando l'Iran è affacciato sulla bomba atomica, l'intero mondo mediorientale è in fibrillazione. Già il desiderio di farsi un'atomica ha una storia variegata: Saddam Hussein, la Siria, la Libia… Ormai, i primi passi li hanno mossi anche parecchi Paesi che si preoccupano per il loro ruolo, poichécomincia ad apparire evidente che la maggiore potenza sciita, l'Iran, ha serie fantasie di dominio sulle grandi potenze sunnite, come appunto l'Arabia Saudita o l'Egitto. E anche la Turchia è nel mazzo e certo non si fa mettere i piedi in testa. Ciascuno di questi Paesi, quando l'Iran avrà la bomba, sarà a buon punto con la sua. E non hanno mancato di fare i loro passi il Bahrein , gli Emirati Arabi Uniti… È chiaro che in un mondo le cui nuove leadership legate alla Fratellanza Musulmana se ne escono in esclamazioni per cui, dopo, sono sempre pronte a dire «ooopss»(che so,l'ineluttabilità del califfato mondiale, la bontà della poligamia, l'orrore per gli ebrei, la spregevolezza dei cristiani...) la bomba atomica ci sta male. È un soprammobile troppo costoso, per noi. www.fiammanirenstein.com
Il FOGLIO - Pio Pompa : "Così gli Stati Uniti trattengono Israele dall’attacco contro l’Iran"
Pio Pompa
Roma. Fonti d’intelligence saudite e israeliane concordano nel prevedere che entro il mese di giugno del 2012 l’Iran effettuerà un test atomico sotterraneo della potenza di un chilotone, superando così per l’ennesima volta e forse in maniera definitiva la linea rossa, il punto di non ritorno secondo quanto dichiarato la settimana scorsa dal segretario alla Difesa americano, Leon Panetta. L’unica incertezza, spiegano le nostre fonti, riguarda la data in cui il governo di Gerusalemme darà l’ordine di colpire i siti nucleari iraniani. L’operazione, delicatissima e unica nel suo genere, dovrà essere svolta nel silenzio più assoluto, senza possibilità d’errore. Già da ora tutti i circuiti informativi – compresi quelli con gli alleati più stretti – sono sottoposti a un totale blackout. Si spiegano così l’irritazione e il nervosismo manifestati negli ultimi giorni dall’Amministrazione di Washington, fortemente impegnata a convincere il premier israeliano Benjamin Netanyahu che non è opportuno condurre un attacco unilaterale e senza preavviso contro l’Iran, che ben conosce la determinazione di Israele nel compiere e mantenere totalmente segrete operazioni ritenute vitali per la sua stessa sopravvivenza. Le tensioni tra i due alleati si stanno ripercuotendo con forza sui rapporti di cooperazione tra le agenzie d’intelligence dei due paesi, peraltro già depotenziati da Barack Obama all’indomani del suo insediamento alla Casa Bianca nel 2009. “D’altronde – spiegano le nostre fonti – quale clima di collaborazione è possibile tra la Cia e il Mossad se gli Stati Uniti mantengono vivi i contatti con Teheran attraverso canali segreti, nonostante l’ultimo rapporto dell’Aiea sugli scopi militari del nucleare iraniano e la successiva crisi di Hormuz? Washington, inoltre, ha avviato una massiccia campagna volta a impedire qualsiasi azione militare di Israele contro l’Iran: un segnale lo si è avuto con la condanna dell’uccisione dello scienziato nucleare Mostafa Armadi Roshan, la cui morte è stata imputata direttamente a Gerusalemme. Sono state però le accuse formulate a carico del Mossad contenute in un articolo apparso su Foreign Policy ad acuire la tensione tra i due alleati. Secondo l’inchiesta della rivista americana, nel biennio 2007- 2008 alcuni ufficiali del Mossad – fingendosi agenti della Cia – avrebbero reclutato elementi del gruppo terrorista Jundallah da inviare in Iran per compiere attentati mirati. L’operazione, del tipo “sotto altra bandiera”, avrebbe non solo dimostrato la doppiezza dell’intelligence israeliana, ma anche messo in serio pericolo la vita di diversi agenti dei servizi statunitensi. “Si tratta di una menzogna colossale”, assicurano i nostri interlocutori, precisando che “una simile operazione non è mai esistita, non fosse altro che per la sua stupidità e per la totale mancanza di elementi che avrebbero giustificato un simile azzardo”. Se invece fosse stata realmente messa in pratica, l’allora capo del Mossad Meir Dagan non avrebbe più potuto mettere piede sul suolo americano. In realtà, dal 2008 in poi Dagan si è recato a Washington più volte, e ciò contribuisce a dimostrare la falsità di quanto sostenuto da Foreign Policy. Non solo l’ex presidente George W. Bush ha manifestato la propria irritazione per il presunto scoop, ma anche l’attuale direttore della Cia, David Petraeus, ha preso le distanze da una campagna di stampa anti israeliana che sta producendo seri danni, come dimostra l’annullamento deciso da Benjamin Netanyahu della più importante esercitazione militare congiunta con gli Stati Uniti.
Reza Akbari e Azadeh Pourzand sostengono che un attacco all'Iran favorirebbe il regime di Ahmadinejad facendo aumentare il suo consenso anche tra gli iraniani dell'Onda verde. Una teoria che fa pensare che, forse, i due iraniani non sono così lontani dal regime. Sarebbe come se, durante la seconda guerra mondiale, nel Sud Italia gli italiani avessero visto come nemici gli alleati e fossero diventati solidali con Mussolini. Forse i due iraniani, oltre ad essere vicini al regime, ragionano come i redattori del quotidiano di Rocca Cannuccia che, oggi, dedica una paginata intera a convincere i lettori di quanto sarebbe sbagliato attaccare l'Iran per bloccare il suo programma nucleare. Ecco il pezzo:
Mahmoud Ahmadinejad
La possibilità di attacco militare contro l’Iran è ormai apertamente dibattuta negli Stati uniti.Mentre le voci aggressive si intensificano, noi che apparteniamo alla generazione nata nel mezzo della guerra tra Iran e Iraq non possiamo fare a meno di ricordare la tragedia di quegli otto anni di spargimento di sangue, così radicati della nostra mente. Sono le immagini che perseguitano la nostra generazione, e spiegano come il regime in Iran abbia usato la guerra per rafforzare il suo controllo sul paese. Nonostante oggi molti fattori socio-economici e politici siano diversi, noi crediamo che, se attaccato, il regime iraniano userebbe le stesse tattiche per reprimere il dissenso e assicurare ancora una volta la sua autorità. Nati entrambi nel 1985, ricordiamo perfettamente la fase finale della guerra Iran-Iraq e le sue conseguenze. Il suono dei bombardamenti aerei su Tehran e dintorni, le notti in cui cercavamo riparo nei rifugi pubblici del quartiere. Rammentiamo i volti preoccupati dei genitori quando il suono delle sirene d’allarme, assordante per le nostre orecchie di bambini, squarciava l’aria. Ricordiamo quando guardavamo dai balconi i cortei funebri, le bare, la disperazione delle madri in lutto. Uno dei primi eroi che ci fu presentato alla scuola elementare era un ragazzo di 13 anni di nome Hossein Fahmideh. Imparavamo tutto sulla sua storia e il suo atto eroico, fatto in nome dell’Iran e della Rivoluzione islamica. Ci veniva detto che era tra i molti giovani ragazzi che avevano raccolto la chiamata al martirio. Il clero al potere gli aveva promesso un posto in paradiso. Il martire Fahmideh, così noi lo conoscevamo, si era legato delle granate alla cintura e si era gettato sotto un carro armato iracheno per fermare la sua avanzata in territorio iraniano. Siamo cresciuti ascoltando ricordi costanti del coraggio di Fahmideh e di molti altri come lui che hanno sacrificato la loro vita in difesa della nostra «terra islamica». A noi ragazze veniva chiesto di controllare i nostri veli inmodo da non deludere il martire Fahmideh, che guarda le sue sorelle musulmane iraniane dal paradiso. Come giovani ragazzi, eravamo istruiti a continuare la sua eredità difendendo risolutamente la nostra terra dall’Occidente imperialista e altre minacce alla Repubblica islamica. Oggi ci chiediamo: se Fahmideh fosse vivo, sarebbe un attivista del movimento dell’Onda verde? Sarebbe un operaio che lotta per i diritti dei lavoratori? Farebbe parte, come noi, dell’enorme fuga di cervelli del paese, che studia nelle università occidentali? O forse sarebbe semplicemente uno dei tanti adulti con istruzione superiore e disoccupati che guardano, silenziosi e delusi, mentre la Repubblica islamica distrugge le prospettive della nazione in nome del coraggio suo e degli altri veterani emartiri di guerra? La nostra generazione conosce le tattiche utilizzate dalla Repubblica islamica durante la guerra Iran-Iraq e nei decenni seguenti. Il regime ha usato il conflitto e la minaccia nemica come scusa per mantenere il paese represso e stabilizzare il suo dominio. L’ayatollah Ruhollah Khomeiny, leader supremo della rivoluzione, dichiarò all’inizio del conflitto: «La guerra è una benedizione divina, un regalo donatoci da Dio. Il tuono del cannone ringiovanisce l’anima». Il regime ha padroneggiato l’arte della repressione durante gli anni '80. Chiunque osasse esprimere dissenso era considerato nemico dell’Islam e del governo divino della Repubblica islamica, cosa portata avanti anche nel dopoguerra. Nei due ultimi anni, timorosi di perdere la loro presa sul potere, i governanti iraniani hanno usato la mano pesante e aumentato il controllo sociale e politico. Ma anche se ilmovimento di opposizione popolare sembra zittito, non è morto. Una generazione di giovani attivisti sta continuando la lotta per le riforme. In tutto il paese studenti universitari hanno impedito a funzionari governativi di pronunciare discorsi nei campus o addirittura di entrare nelle loro scuole. Hanno scritto lettere aperte contro le politiche del regime e organizzato scioperi, e così hanno tenuto viva l’appello al cambiamento e alla libertà. Un'azione militare contro l’Iran travolgerebbe il processo di transizione politica pacifica e di riforme nel paese. Anzi: date le turbolenze interne, temiamo che un attacco contro la Repubblica islamica sarebbe un evento auspicabile per il regime. Temiamo che la sola minaccia di un tale attacco aiuterebbe il regime a recuperare parte della sua perduta legittimità e mobilitare la popolazione in difesa della patria. Il regime sta preparando il paese per un conflitto su larga scala. IlmaggioreMohammad Ali Jafari, comandante dei Guardiani della rivoluzione (i Pasdaran), di recente ha insistito sul fatto che le forze armate sono pronte per l’impegno militare. Unattacco risveglierebbe quasi certamente i sentimenti patriottici della popolazione, portandola a mettere da parte le considerazioni di politica interna in difesa della loro terra contro l’avversario esterno. Perciò, comemembri della generazione cresciuta durante una guerra sanguinosa, temiamo che un’azione militare da parte di Israele o degli Usa contro l’Iran sarebbe l’occasione d’oro che la leafership iraniana sta aspettando. *Reza H. Akbari è ricercatore associato alla Century Foundation e dottorando alla Elliott School of International Affairs della George Washington University. Azadeh Pourzand è laureata della Harvard Kennedy School of Government e alla Nijenrode Business Universiteit, in Olanda.
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