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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica-IlSole24Ore Rassegna Stampa
15.01.2012 Egitto: El Baradei, il gran bugiardo, lascia, ma da noi c'è chi lo rimpiange
Sono Fabio Scuto e Ugo Tramballi

Testata:La Repubblica-IlSole24Ore
Autore: Fabio Scuto-Ugo Tramballi
Titolo: «Egitto, El Baradei non si candida, il vecchio regime ancora in piedi-Egitto, El Baradei lascia la corsa»

In Egitto El Baradei si è ritirato dalla corsa per la presidenza.
Tre quotidiani evidenziano oggi, 15/01/2012, la notizia, REPUBBLICA, ILSOLE24ORE e l'UNITA', con tre articoli quasi fotocopia. Sono i giornali che si erano bevuti per anni, trasmettendola ai lettori, l'immagine di un El Baradei a capo dell'Agenzia atomica dell'Onu corretto supervisore dell'Iran atomico, così corretto da aver sempre dato sull'Iran notizie false sulla preparazione dell'ordigno nucleare. Tutto bene, affermava lui, l'energia atomica è per uso civile. E' ovvio che a un bugiardo simile sia stato attribuito il Premio Nobel per la Pace, meno ovvio è che goda ancora oggi una qualche credibilità.
Dei tre articoli ne reprendiamo due, quello di Fabio Scuto su REPUBBLICA, a pag.22, e quello di Ugo Tramballi sul SOLE24ORE a pag.18, mentre tralasciamo quello di Udg sull'UNITA', del tutto simile ai primi due.
Che però un po' si differenziano, nel pezzo di Scuto ci sono solo elogi, uno del tutto inventato, El Baradei sarebbe la  "
figura simbolo della rivoluzione del gennaio 2011", saremmo curiosi di sapere chi gliel' ha detto a Scuto.
Mentre il pezzo di Tramballi è, come spesso gli accade. oltre che patetico, anche ridicolo. L'uso che fa del 'noi', un errore che nemmeno un pubblicista alle prime armi commetterebbe, ci fa chiedere al direttore del quotidiano della Confindustria in nome di chi scrive Tramballi. Quel 'noi' ripetuto più volte, in chi va identificato ? nella direzione del giornale ? nella Confindustria stessa ? oppure, non sia mai, nei lettori ? Per il resto, un inno a El Baradei, "
il candidato di maggior prestigio ", che gliel'abbia suggerito Scuto ?
Ecco i due articoli:

La Repubblica-Fabio Scuto: " Egitto, El Baradei non si candida, il vecchio regime ancora in piedi "


Quando mentiva...                        ecco il suo mentore iraniano

GERUSALEMME - Ha lasciato la corsa alle presidenziali denunciando che la rivoluzione che ha rovesciato Hosni Mubarak un anno fa non ha cambiato l´Egitto, il Consiglio militare che ha preso il posto del raìs ha seguito una politica repressiva, segnata da violenze, provocazioni, assassinii, processi sommari ai rivoluzionari davanti ai temibili tribunali militari. Per questo Mohammed El Baradei, l´ex direttore dell´Aiea, figura simbolo della rivoluzione del gennaio 2011 e candidato alle presidenziali, ha annunciato il suo ritiro dalle elezioni. «L´ancien régime - dice il Premio Nobel per la pace rivolto alla Giunta militare - non è caduto». La mossa di El Baradei getta lo scompiglio fra i movimenti rivoluzionari, fra gli elettori liberali e moderati che vedono ulteriormente indebolirsi i propri candidati dopo l´annuncio. Ayman Nour, in corsa per la presidenza egiziana e capo del partito Ghad, ha definito «uno shock alla coscienza nazionale» la decisione di El Baradei. Secondo Nour, che si candidò già contro Mubarak nel 2005, Baradei ha rappresentato «il bacio della vita» per la rivoluzione che ora perde sua «parte sana». Nour non esclude che altri candidati alla presidenza seguano il Premio Nobel, «quelli che hanno creato il sogno se ne andranno e resteranno solo quelli che sognano il potere e il dominio».
Considerato uno dei papabili alla presidenza subito dopo la caduta dell´ex raìs, El Baradei era stato criticato in Egitto per essere stato troppo tempo fuori dal Paese e per non essere sufficientemente a conoscenza delle esigenze dell´elettorato. Altri lo avevano accusato di essersi troppo avvicinato ai Fratelli musulmani, che recentemente, però, ne avevano preso le distanze. A novembre quando si era dimesso il governo di Essam Sharaf, Baradei si era proposto come premier di un governo di salvezza nazionale, che traghettasse l´Egitto fino alle presidenziali.
Nei mesi scorsi Baradei ha avuto parole molto dure nei confronti del Consiglio militare, soprattutto per la gestione della sicurezza. Durante gli scontri nei pressi di piazza Tahrir a fine novembre ha denunciato «un massacro con gas nervino». A dicembre durante le violenze davanti al consiglio dei ministri, Baradei ha definito l´azione delle forze dell´ordine come «brutale e barbara».
I rapporti fra il fronte dei partiti nati dopo la rivoluzione e la Giunta guidata dal maresciallo Mohammed Hussein Tantatwi sono estremamente tesi. I generali non sembrano aver l´intenzione di voler passare i poteri quest´anno al Parlamento (che sarà dominato dai partiti islamisti usciti vincitori dal recente voto), rinviando a data da definirsi la loro uscita di scena, rimanendo in una posizione determinante e mantenendo gli appannaggi e i privilegi della loro casta. Forse il ritiro di el Baradei riflette la consapevolezza che non ce l´avrebbe fatta a raggiungere l´obiettivo della presidenza in un contesto nel quale i Fratelli Musulmani affermano di avere incassato il 46% dei voti nelle recenti elezioni per il Parlamento e i salafiti del Partito Al Noor sono accreditati con un 23%.

IlSole24Ore-Ugo Tramballi: " Egitto, El Baradei lascia la corsa "


Non gli ha creduto nessuno

Le malelingue che da mesi si erano mobilitate contro di lui, dicono che tanto non avrebbe vinto. Il processo elettorale continua come prima, la rivoluzione egiziana anche. Ma la decisione di Mohamed ElBaradei di ritirarsi dalla corsa presidenziale della quale era uno dei due-tre candidati più autorevoli, non è una scelta personale. È un atto d'accusa politico ai militari.
«La mia coscienza mi impedisce di concorrere per la presidenza come per qualsiasi altra posizione ufficiale se ciò non avviene all'interno di un quadro democratico», dice ElBaradei in una conferenza stampa improvvisata ma che l'atmosfera politica al Cairo annunciava da tempo. Più di una dimissione che potrebbe anche rientrare, la sua è una denuncia-protesta. Quello che ha spinto al ritiro il candidato di maggior prestigio fra i fin troppi politici liberali e moderati del Paese, è l'atteggiamento della giunta militare che dovrebbe amministrare la transizione dal vecchio regime a uno nuovo. Che invece governa «come pensasse non ci sia stata una rivoluzione».
L'impressione è diffusa. Non solo i giovani di piazza Tahrir pensano che il capo della giunta, il generale Mohamed Tantawi, e i suoi colleghi, abbiano più dimestichezza comportamentale e ideale con la dittatura - della quale erano parte integrante - di quanto non provino per ciò che è venuto dopo. Hanno una naturale predisposizione all'autoritarismo, anche se guidare l'Egitto di questi tempi non è cosa facile.
ElBaradei sapeva che non avrebbe vinto le presidenziali previste a giugno. La lunga tornata elettorale per il Parlamento, chiusa qualche giorno fa, ha dimostrato che il Paese è con i Fratelli musulmani e i salafiti. Visto il successo, Libertà e giustizia, il partito della fratellanza che aveva deciso di non correre per le presidenziali, potrebbe cambiare idea. Al momento i due contendenti più accreditati sono l'ex segretario della Lega Araba Amre Moussa, uomo per molte stagioni, un simbolo accettabile della transizione; e Abdel al Fottuh, presidente del sindacato dei medici, islamico riformista cacciato dalla fratellanza.
Ex diplomatico, direttore generale dell'Agenzia atomica dell'Onu, ElBaradei era l'egiziano più conosciuto al mondo dopo Mubarak. All'Aiea aveva preteso rigorosi controlli a Saddam Hussein e tenuto testa all'amministrazione Bush che pretendeva di avere le prove, la "canna fumante", del nucleare iracheno. Per questo nel 2005 all'Agenzia fu attribuito il Nobel per la pace. In tempi non sospetti, quando Mubarak governava saldamente, ElBaradei era tornato in Egitto per smuovere la società civile. La rivolta di piazza Tahrir ha dimostrato che non aveva torto.
Per molti versi Mohamed ElBaradei è il simbolo di quello che noi pensiamo sia l'Egitto, più di quello che in realtà è. Fin dal suo trionfale ritorno (poche migliaia di persone in aeroporto) il laico e democratico ElBaradei è sempre stato il nostro candidato ideale. Un po' meno lo era per gli egiziani, più conservatori e religiosi. Col tempo i giovani di pazza Tahrir lo hanno eletto come il loro principale rappresentante politico (non il solo, tuttavia). Non gli islamici, per i quali ElBaradei era troppo laico: quella definizione in Egitto è quasi abominevole.
Infine noi crediamo che il problema dell'Egitto di oggi siano i Fratelli musulmani: il loro successo elettorale ci mette paura. ElBaradei, invece, teme di più e denuncia l'illiberalità dei militari che quella presunta degli islamici. Per lui il problema dell'Egitto sono ancora generali.

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