Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 03/01/2011, a pag. 1-4, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Altro che i missili ", a pag. 3, l'articolo di Pio Pompa dal titolo " Così Russia e Cina usano l’Iran per i loro giochi mediorientali ". Da LIBERO, a pag. 19, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " L’Iran vuole farsi attaccare da Israele ". Dal GIORNALE, a pag. 12, l'articolo di Vittorio Dan Segre dal titolo " L'Iran alza il tiro per salvare Assad ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'articolo di Franco Venturini dal titolo " Il conto alla rovescia e i duellanti di Teheran ".
a destra, Ahmadinejad dice : " Vedete? Sono un uomo ben educato "
Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Altro che i missili "


Daniele Raineri
Roma. La moneta iraniana, il rial, scivola e tocca il record negativo contro il dollaro dopo l’annuncio da parte dell’Amministrazione americana delle sanzioni più dure adottate fino a oggi contro Teheran. Per l’agenzia di stato Irna e anche per il sito governativo che segue l’andamento della moneta, ora la quotazione negli uffici dei cambiavalute è di 16 mila per un dollaro americano, che è una differenza enorme con il tasso di cambio ufficiale mantenuto ancora dalla Banca centrale del paese a 11.179. Lo spread tra il tasso di strada e il tasso ufficiale è la reazione dell’economia reale dell’Iran alla legge firmata sabato dal presidente americano, Barack Obama, che punisce le transazioni con la Banca centrale di Teheran. Le nuove sanzioni entreranno in vigore tra 60 giorni e l’applicazione più stretta comincerà tra sei mesi: in sostanza mettono tutti – anche le Banche centrali dei governi – davanti a una scelta definitiva: chi fa affari con la Banca centrale iraniana non può più fare affari con gli Stati Uniti (che hanno un mercato da cui nessuno vuole chiudersi fuori). Il presidente Obama si è concesso una clausola che gli consente permessi temporanei da 120 giorni per ragioni di interesse nazionale o per salvaguardare la stabilità del mercato energetico, e una seconda clausola esclude le sanzioni contro paesi che abbiano già tagliato gli affari con l’Iran. Si tratta di misure già imposte alle imprese americane, ma ora l’Amministrazione spera di essere seguita anche dai paesi europei, per renderle più efficaci. Considerato che dalla Banca centrale dell’Iran, la Banca Markazi, passa il denaro pagato dai governi e dagli acquirenti stranieri per onorare i contratti petroliferi e che quel denaro è l’80 per cento dei proventi dello stato, è come se Washington stesse per bloccare lo Stretto di Hormuz economico degli iraniani, non in mare ma negli uffici del Mirdamad Boulevard nella capitale. Le sanzioni fanno parte del National Defense Authorization Act, un pacchetto di leggi contro il terrorismo, ma rischiano di avere riflessi importanti sul mercato del petrolio e di conseguenza anche sull’economia mondiale. Il timore che queste sanzioni siano efficaci ha spinto il regime iraniano – già indebolito da un’economia in crisi – a definire la loro adozione “un atto di guerra” (anche il candidato repubblicano Ron Paul si scandalizza dallo Iowa: “E’ un atto di guerra, l’Iran farà bene a chiudere lo Stretto di Hormuz per risposta”). E’ il paradosso della Guerra fredda tra Washington, Gerusalemme e gli stati arabi da una parte e l’Iran dall’altra: il regime non riconosce gli atti di sabotaggio come aggressioni perché teme di apparire debole davanti agli iraniani e ignora le accuse intollerabili sull’essere uno sponsor del terrorismo da Gaza a Beirut a Baghdad; ma reagisce alle sanzioni con manovre militari e annunci nucleari. Ieri, alla conclusione di dieci giorni di esercitazioni navali nel Golfo, ha sparato due missili contro obiettivi nello Stretto di Hormuz, il Qader (il Capace) e il Nour (la Luce). A dispetto della definizione “a lunga gittata”, si tratta di ordigni che non colpiscono oltre i 200 chilometri. E’ stata anche provata una “formazione tattica” delle navi per sbarrare il passaggio alle petroliere, anche se gli analisti dubitano delle reali capacità di chiudere il passaggio per più di qualche giorno. Più che lo spettacolo già visto nel Golfo, può il progresso nella tecnologia atomica. Domenica l’Iran ha annunciato la produzione della sua prima barra di combustibile nucleare per un reattore civile. Viene a cadere così la proposta – a lungo sostenuta dalla Russia – di un’amministrazione controllata da parte di paesi terzi, che si impegnerebbero a fornire loro il combustibile per i reattori iraniani in modo da tenere sotto meticoloso controllo uso, quantità e circolazione del materiale. L’Iran ha appena aperto a nuovi colloqui, ma quella chance di mediazione non esiste più.
Il FOGLIO - Pio Pompa : " Così Russia e Cina usano l’Iran per i loro giochi mediorientali "


Pio Pompa, il presidente russo stringe la mano al presidente cinese
Dare piena attuazione alla strategia di resistenza diplomatica e militare predisposta in attesa del primo test atomico, previsto entro giugno 2012”. E’ questo l’ordine impartito dalle massime autorità di Teheran agli apparati diplomatici e di intelligence, stando a quanto riferiscono al Foglio fonti arabe. L’articolato piano iraniano prevede innanzitutto di elevare il livello di tensione con gli Stati Uniti in risposta al pacchetto di sanzioni che mirano a colpire le istituzioni finanziarie legate alla Banca centrale iraniana sottoscritte da Barack Obama il 31 dicembre. Il contesto ideale in cui rispondere alla provocazione di Washington è lo Stretto di Hormuz, dove l’obiettivo reale (al di là del lancio dimostrativo di missili terra-aria a media e lunga gittata) è disseminare l’accesso al Golfo Persico di mine antinave. In secondo luogo, il regime degli ayatollah sarebbe disposto a riaprire le trattative sul nucleare individuando nell’Unione europea (considerata dal regime degli ayatollah alla stregua di un ectoplasma politico) l’interlocutore ideale per avviare negoziati lunghi e inconcludenti. Secondo le nostre fonti, Teheran punterebbe anche a predisporre le condizioni per lo scoppio di una terza Intifada contro Israele, usufruendo della vasta rete di servizi d’intelligence operativa in Libano e nella Striscia di Gaza. Non meno importante, poi, è l’intenzione di rafforzare ulteriormente i rapporti con la Russia e la Cina, intensificando la collaborazione scientifica necessaria per lo sviluppo dei progetti nucleari e dando seguito al disegno di puntellare la Siria e il Libano di sistemi missilistici di difesa aerea commissionati alle industrie militari russe. Quest’ultimo aspetto, particolarmente preoccupante, è strettamente collegato alla vicenda del drone statunitense caduto misteriosamente in mani iraniane il 4 dicembre scorso e studiato dagli esperti dei servizi segreti di Pechino e Mosca. “In realtà – affermano le nostri fonti – il consenso iraniano all’accurato esame del drone da parte di cinesi e russi era connesso agli sviluppi del programma nucleare di Teheran e, più generalmente, all’obiettivo di diventare la potenza di riferimento in medio oriente”. Lo scambio tra il permesso di accedere ai segreti del drone e la fornitura di avanzati sistemi missilistici di difesa aerea, di sofisticate tecnologie in ambito missilistico-nucleare e di informazioni circa le ultime innovazioni in materia di centrifughe e arricchimento dell’uranio, non era altro che un depistaggio per i servizi statunitensi, israeliani e sauditi. Il reale obiettivo dell’operazione attualmente in corso è quello di fornire all’Iran il supporto tecnico e militare necessario a fungere da deterrente contro eventuali attacchi israeliani e a consolidare gli enormi interessi economici e strategici che contraddistinguono l’alleanza trilaterale. Mosca e Pechino si stanno preparando a rivestire un ruolo di primaria importanza negli equilibri mediorientali futuri in cui la Repubblica degli ayatollah sarà a tutti gli effetti una potenza nucleare. “La discesa in campo di Russia e Cina al fianco dell’Iran è un dato di fatto irreversibile”, spiegano al Foglio fonti d’intelligence arabe. I sistemi missilistici di difesa aerea forniti da Mosca, gli S-300PMU-1, sono in grado di contrastare con grande efficacia qualsiasi attacco ai siti nucleari iraniani, mentre il trasferimento di know-how in campo atomico consentirà la risoluzione dell’ultimo problema del programma atomico iraniano: l’affidabilità degli inneschi e l’adattamento delle testate ai missili a lunga gittata.
LIBERO - Carlo Panella : " L’Iran vuole farsi attaccare da Israele "
Un articolo interessante, peccato che il titolo non ne rispecchi il contenuto.


Carlo Panella
Chi comanda a Teheran? Chi ha deciso di provocare il mondo con il lancio di 4 missili a corto-medio raggio nello Stretto di Hormuz? La domanda non è oziosa e purtroppo non ha una risposta chiara. È certo che queste manovre dal titolo indicativo “Velayat 90”, Supremazia, rappresentano una prova di forza del blocco politico-militare dei Pasdaran, non solo verso l’esterno, ma anche verso l’interno, in un Paese dilaniato da una crisi di vertice, alla vigilia delle elezioni politiche. Elezioni non democratiche, perché escludono ogni opposizione, ma fondamentali per determinare i rapporti di forza tra i due blocchi di regime. Il tutto, in un contesto che vede per la prima volta la “primavera araba”, minacciare da vicino interessi vitali dell’Iran. Se infatti cadesse il regime siriano di Bashar al Assad, e cadrà, gli ayatollah non solo perderanno un alleato fondamentale (anche per evitare le sanzioni con “finte triangolazioni»), ma entrerà in crisi anche il suo controllo altrettanto strategico su Hezbollah in Libano (la cui forza è riflesso di quella del regime siriano) e anche la sua presa su Hamas a Gaza. Due fondamentali “teste di ponte” iraniane sul Mediterraneo. L’Iran minaccia dunque sfracelli su Hormuz innanzitutto contro l’Occidente che incrementa le sanzioni col blocco deciso dagli Usa di tutte le transazioni finanziarie. Ma minaccia anche i vicini Paesi arabi che (Qatar e Arabia Saudita in testa), appoggiano la rivolta che mina l’alleato siriano. I missili testati a Hormuz, i Nasr e Nour (di derivazione cinese) e il Qader (interamente iraniano) non sono molto pericolosi in sé, ma il loro lancio si accompagna con la notizia della prima barra di uranio arricchito al 20% prodotta dalle centrifughe della centrale di Beshar: decisivo passo verso la costruzione della bomba atomica. Una escalation militarista che sottolinea il ruolo politico sempre più marcato e autonomo dei Pasdaran con i due “partiti”di regime che ne contendono i favori. Il partito del presidente del Majlis, Ali Larinjani pare oggi il più vicino ai Pasdaran, mentre il blocco di potere che fa capo a Mahmud Ahmadinejad, pare più preoccupato per un precipitare dello scontro militare e più teso a costruire attorno all’Iran una “cintura di protezione” di rapporti diplomatici che evitino l’impatto delle sanzioni (il Ryal ha perso in 48 ore il 12% in rapporto al dollaro ed è sopra quota 1.600, nel 1979 era a quota 9), tanto che il presidente iraniano inizierà giovedì un tour a Cuba, Venezuela, Equador e Nicaragua, con l’evidente mira di allargare rapporti già molto forti, che permettano di aggirare le sanzioni, soprattutto nel caso si estendano al boicottaggio del petrolio iraniano. Un quadro di difficile decifrazione, anche perché non è chiaro fino a che punto i due “partiti” iraniani siano in disaccordo sulla politica oltranzista, in cui una sola cosa è chiara: il fallimento della strategia del dialogo di Barack Obama. Da quando ha vinto le elezioni in alternativa alla politica aggressiva verso l’Iran di George W. Bush, Obama ha solo registrato insuccessi e impotenza nei confronti dell’espansione della minaccia iraniana. Le sanzioni dell’Onu, unica “arma” di Obama, colpiscono duramente il popolo iraniano, ma non il cuore del regime. Da quando Obama è alla Casa Bianca, la minaccia iraniana non èminimamente diminuita, maè sempre più incombente, pericolosa e grave. Per la prima volta da 70 anni, gli Usa non fanno più paura. Questo è il terribile messaggio che vienedallo Stretto di Hormuz a tutto l’Occidente.
Il GIORNALE - Vittorio Dan Segre : " L'Iran alza il tiro per salvare Assad "


Vittorio Dan Segre, Mahmoud Ahmadinejad con Bashar al Assad
Per quanto tempo ancora potrà resistere il regime alawita del presidente Assad in Siria?
Probabilmente più a lungo di quanto pensino i soliti esperti ufficiali del Medio Oriente. Una previsione avvalorata dalle ultime mosse delle autorità iraniane, che hanno annunciato di aver lanciato un nuovo missile a lunga gittata dopo aver avvertito Stati Uniti e Israele domenica scorsa di aver prodotto la prima barra a combustibile a base di uranio arricchito.
Nei primi mesi della rivolta a mantenere in vita il regime di Assad ci fu una ibrida coalizione di interessi di gruppi minoritari.
Cristiani, curdi, drusi preferivano spalleggiare la minoranza religiosa eretica islamica alawita al potere da quaranta anni piuttosto di vederlo passare nelle mani della maggioranza sunnita di cui temevano i soprusi politici e religiosi. Col passare dei mesi e l’aumentare delle stragi, con l’aumentare delle difficoltà economiche a seguito delle sanzioni imposte dall’Occidente e dalla stessa Lega araba, l’indiscriminata violenta reazione al movimento rivoluzionario (a cui partecipavano membri di queste minoranze) avevano indebolito questo incoerente sostegno al regime, al punto di favorire diserzioni dall’esercito e scontri fra truppe lealiste e ostili al governo. Questi scontri e la rottura dell’alleanza fra Siria e Turchia hanno creato l’impressione che la caduta di Assad fosse imminente. Era ignorare la duplicità delle classi politiche Medio Orientali e la loro capacità di gabbare l’opinione pubblica specie occidentale.
Mentre nelle città siriane e in particolare a Homs- centro come nel 1992 della rivolta contro il regime alawita di Damasco - si continuava a morire, Arabia Saudita e Iran due storici acerrimi nemici politici e religiosi - trattavano tramite la Lega Araba la salvezza almeno temporanea del regime di Assad. Ad aprire le porte di questo negoziato fra governi tirannici sembra siano stati i delegati del Qatar e dell’Arabia saudita anche per conto degli Emiati Arabi, spaventati dalla possibilità dell’estendersi della rivolta popolare alle loro zone ricche di petrolio, come nel caso del Bahrein dove la rivolta popolare shiita contro il regime monarchico sunnita è stata soppressa manu militare dalle truppe saudite.
Il primo passo è stato l’invio di 150 osservatori della Lega Araba. Quali fossero i compiti di questi osservatori «fraterni e imparziali» lo si è capito subito dalle dichiarazioni del loro capo il generale sudanese Mustafa Dabi degno rappresentate del suo presidente incolpato dal Tribunale internazionale dell’Aia per crimini contro l’umanità. «La situazione a Homs- ha detto non ha nulla di terrificante» anche se l’ispezione è appena incominciata e ci sono «altrove condizioni difficili». Dietro questa farsa ci sarebbe, secondo Farid Ghadri, capo del Partito della Riforma siriano con sede in America, uno scambio di «servizi» fra dittatori nemici ma impauriti. L’Iran si impegnerebbe a cessare la sobillazione degli shiiti nella provincia orientale saudita (dove la maggioranza della popolazione è shiita) unitamente allo scambio della «tranquillità» in Bahrein (emirato shiita controllato da un regime monarchico sunnita puntellato militarmente dai sauditi) e in Siria. Nel vuoto creato dalla ritirata degli Stati Uniti dal Medio Oriente e nella difficoltà della Turchia, nonostante le sue ambizioni imperiali neo ottomane di prenderne il posto, la Lega Araba vede l’occasione di assumere un ruolo attivo dopo decenni di immobilismo e irrilevanza politica. Se questa iniziativa riuscirà a salvare Assad e il suo regime e a quale prezzo economico e di sangue, è ancora tutto da vedere. Ma l’attuale instabilità del mondo arabo in preda a convulsioni impreviste e incontrollabili da parte delle grande potenze rivela anche una dimensione di ipocrisia politica che sino ad oggi era riservata dagli arabi (e non solo da loro) verso Israele.
CORRIERE della SERA - Franco Venturini : " Il conto alla rovescia e i duellanti di Teheran "


Franco Venturini, Mahmoud Ahmadinejad con Ali Khamenei
Se l'Iran fosse un Paese normale, i fuochi di Teheran potrebbero persino indurre all'ottimismo. Non sarebbe la prima volta (si pensi ai maestri nordcoreani) che minacce e missili vengono utilizzati come mossa d'apertura di una partita negoziale. Ma l'Iran non è un Paese normale. Non lo è perché la sua democrazia è tanto distorta da risultare finta. Perché il potere è diviso tra l'autoritarismo di Ahmadinejad e la teocrazia di Khamenei. Perché contro ogni forma di dissenso interno si scatena una violenza inaudita. E perché Ahmadinejad, dopo la scomparsa di Gheddafi, è l'unico capo di Stato al mondo ad aver ripetutamente auspicato la scomparsa di un altro Stato: Israele. Non è normale, l'Iran, anche perché al suo interno è in corso da molti mesi una lotta di potere che non sembra escludere 1'autodistruzione. Lo si diceva già del presidente Ahmadinejad, quando lanciava le sue provocazioni alla comunità internazionale per rinsaldare il sostegno dei nazionalisti laici e indebolire gli ayatollah. Ma ora la Folli minacce Diventa allora impossibile dimenticare le folli minacce di Ahmadinejad contro Israele «Guida suprema» Khamenei, legittimo erede del khomeinismo, si è stancato delle manovre del presidente laico e ha deciso di rispondere da par suo. Della battaglia politica tra conservatori (Ahmadinejad) e ultraconservatori religiosi (Khamenei) si sono avuti in questi mesi segnali inequivocabili. Uomini influenti silurati dal clan opposto, bracci di ferro alla luce del sole, polemiche accese in parlamento. E se meritano credito alcune indiscrezioni provenienti da Teheran, la tensione tra i due «partiti» continua ad aumentare: Ahmadinejad avrebbe tentato di preparare la sostituzione di Khamenei, ma questi lo avrebbe scavalcato diventando più estremista di lui e tentando di rompere l'antico legame (che è militare ma anche economico) tra il Presidente e i reparti scelti dei Pasdaran. Siamo alla resa dei conti, dunque. Ma nel frattempo bussano alla porta novità sgradite. L'Agenzia atomica di Vienna ha diffuso un rapporto che senza grandi scoperte conferma la profonda ambiguità del programma nucleare di Teheran. I Grandi (Russia e Cina incluse, oltre a Usa, Francia e Gran Bretagna) hanno sottoscritto un testo di compromesso nel quale chiedono agli iraniani di aprire le porte agli ispettori dell'Onu per verificare i sospetti dell' Aiea. Israele ha avvertito che per il nucleare iraniano si avvicina il punto di non ritorno, e un acceso dibattito si è aperto a Gerusalemme su benefici e rischi di una azione militare preventiva. Gli Stati Uniti hanno varato nuove sanzioni contro la banca centrale e il sistema finanziario di Teheran, e sono vicini a misure dirette contro i proventi delle esportazioni petrolifere. L'Europa ha promesso di seguire, almeno in parte. Mentre si scambiavano colpi bassi, Ahmadinejad e Khamenei non possono non aver sentito puzza di bruciato. Non possono non essersi resi conto che di questo passo entrambi diventeranno responsabili dello strangolamento economico dell'Iran, e forse di una sua parziale distruzione. Teheran ha ragione, quando dice che il Trattato anti-proliferazione consente il nucleare civile. E si può anche capire che l'Iran si senta minacciato dagli armamenti americani nel Golfo e in Afghanistan (ora non più in Iraq), dal deterrente atomico israeliano (non ammesso) e da quelli indiano e pachistano. Ma l'altra faccia della medaglia autorizza abbondantemente il sospetto che il programma dell'Iran punti a raggiungere almeno la capacità nucleare, se non un vero e proprio armamento. E diventa allora impossibile dimenticare le folli minacce di Ahmadinejad a Israele, come diventa inaccettabile la proliferazione atomica che seguirebbe in una regione già tanto instabile. Un conto alla rovescia è partito. Israele si sta preparando a prendere l'iniziativa (forse ora non avrebbe più bisogno del placet Usa per sorvolare l'Iraq)? L'America che entra nell'anno elettorale ha detto più volte di vedere *** in un attacco più pericoli che vantaggi (si pensi tra l'altro a un prezzo del petrolio che andando alle stelle potrebbe provocare il collasso dell' economia mondiale), ma chi può essere certo che il ragionamento valga anche alla vigilia delle elezioni, se queste si presentassero male? E poi, le nuove sanzioni non basteranno da sole a mettere l'Iran in ginocchio, mentre l'appoggio russo e quello cinese rivelano qualche stanchezza? I due contendenti di Teheran queste domande devono essersele poste. Il loro istinto è stato di rispondere mostrando i muscoli (ma i distinguo sono subito ricominciati, Khamenei si è dissociato dalle vacue minacce sul blocco di Hormuz). O forse la lotta tra i due ha favorito l'ulteriore ascesa del potere dei militari. Comunque si tratta di un brutto segnale. E bisogna essere davvero ottimisti per pensare che gli iraniani abbiano voluto imitare i nord-coreani, e che abbia ragione il ministro degli esteri Salehi quando offre la ripresa del negoziato.
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