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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Libero Rassegna Stampa
28.12.2011 L'Iran fa la voce grossa e minaccia l'Occidente
Analisi di Daniele Raineri, cronaca di Alessandro Carlini

Testata:Il Foglio - Libero
Autore: Daniele Raineri - Alessandro Carlini
Titolo: «La 'Supremazia' dell’Iran nel Golfo spaventa il mercato del greggio - Ahmadinejad taglia i chador per vincere le elezioni»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 28/12/2011, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo "La 'Supremazia' dell’Iran nel Golfo spaventa il mercato del greggio ". Da LIBERO, a pag. 17, l'articolo di Alessandro Carlini dal titolo " Ahmadinejad taglia i chador per vincere le elezioni ".
Ecco i due articoli:

Il FOGLIO - Daniele Raineri : "La 'Supremazia' dell’Iran nel Golfo spaventa il mercato del greggio "


Daniele Raineri

Roma. Il Brent sfonda quota 108 dollari al barile salendo di 35 centesimi in una sola seduta e anche il prezzo del greggio americano arriva a sfiorare i 100 dollari al barile al quinto giorno di una grande esercitazione navale iraniana nello stretto di Hormuz. I mercati colgono il messaggio di Teheran: la marina militare può bloccare il tratto di mare da dove passa circa il 40 per cento di tutto il petrolio trasportato via nave nel mondo e tagliare i rifornimenti. Il 2011 che finisce tra pochi giorni “potrebbe essere ricordato come l’anno dello choc da interruzione dei rifornimenti”, commentano gli analisti della Jbc Energy, una grande agenzia di consulenza nel business dell’energia, sentiti dall’agenzia Reuters. La minaccia alla rotta del greggio non è stata porta in modo esplicito dal governo di Teheran cinque giorni fa – anzi, la nota ufficiale parlava di un’esercitazione che manda “un messaggio di amicizia ai paesi della regione” – ma ora è ripetuta da un coro di voci laterali e continue, che fa da bordone allo spiegarsi della unità iraniane per duemila chilometri quadrati di mare dallo stretto di Hormuz fino al Golfo di Aden e al contemporaneo impennarsi del prezzo del greggio. “Velayat”, supremazia, durerà in tutto dieci giorni. Ieri il vicepresidente Mohammad Reza Rahimi ha detto all’agenzia di stampa governativa Irna: “Se loro (l’occidente, ndr) imporranno sanzioni sulle esportazioni di petrolio dall’Iran, neanche una goccia di petrolio passerà dallo stretto di Hormuz”. I giornali russi – che quindi guardano la situazione da una complicata posizione di terzietà interessata – riferiscono che il generale che guida l’esercitazione, l’ammiraglio iraniano Habibollah Sayyari, risponde: “Se ricevessimo l’ordine (di chiudere lo Stretto, ndr) siamo in grado di farlo”. Un parlamentare della commissione per la Sicurezza nazionale, Zohreh Elahian, lunedì aveva detto anche lui che “Le manovre della marina nel Golfo persico e nel mare dell’Oman dimostrano la potenza e la supremazia dell’Iran sulle acque della regione” e “i media occidentali ammettono che siamo in grado di chiudere lo Stretto di Hormuz, se fossimo costretti”. La minaccia era arrivata esplicitamente già a luglio da parte del comandante delle Guardie rivoluzionarie dell’Iran, Mohammad Ali Jafari, e ancora prima a febbraio da Ali Fadavi, capo delle forze navali delle Guardie rivoluzionarie (il grosso della marina è finito da tempo sotto il controllo dei pasdaran, il resto ha compiti residuali, da Guardia costiera). La maggior parte del greggio esportato da Arabia Saudita, Iran, Emirati arabi uniti, Kuwait e Iraq – assieme a tutto il gas naturale del Qatar – passa attraverso il tratto largo meno di otto chilometri davanti alle coste iraniane. Gli Emirati, per aggirare il rischio di un blocco, hanno appena terminato la costruzione di un oleodotto che può saltare lo strettoia marina con un milione e mezzo di barili al giorno, la metà della sua produzione. L’Iran teme l’arrivo nel 2012 di un nuovo round di sanzioni internazionali contro le sue esportazioni di petrolio, per colpa del programma atomico che le Nazioni Unite hanno definito “anche militare” e che il paese non ha intenzione di fermare. Per ora il progressivo accumularsi di misure internazionali ha colpito l’economia iraniana con durezzza, ma le risorse naturali – gas e greggio – hanno evitato che fossero “crippling”, storpianti, come chiede il governo israeliano, e hanno protetto il regime. Il viceministro per il Petrolio, Ahmad Qalebani, ha anzi appena annunciato 17 nuovi contratti con partner anche stranieri prima della fine dell’anno iraniano (il 21 marzo 2012) per sfruttare nuovi giacimenti. Ma se le sanzioni investissero l’esportazione di greggio la pressione potrebbe essere insostenibile. Il crollo in Siria Il mercato del greggio soffre anche della situazione in Siria: sabato il ministro di Damasco per il Petrolio, Sufian Alao, ha detto che la produzione è crollata al 30 per cento rispetto a prima. Ieri gli osservatori della Lega araba sono arrivati a Homs, uno dei centri degli scontri tra manifestanti e regime – da dove secondo le prime notizie i carri armati si stanno ritirando – ma la loro efficacia è parecchio controversa. Il mercato del petrolio è anche incerto sulla situazione in Iraq: la crisi politica tra maggioranza sciita e minoranza sunnita sta peggiorando e ieri il governo del premier Nouri al Maliki era, secondo lo storico inviato del Wall Street Journal, Sam Dagher, “un passo più vicino alla dissoluzione”.

LIBERO - Alessandro Carlini : " Ahmadinejad taglia i chador per vincere le elezioni "


Mahmoud Ahmadinejad

Per evitare di perdere consensi il governo del presidente Mahmoud Ahmadinejad è pronto anche a grandi concessioni sul fronte del regolatissimo vestiario femminile. In Iran, il tanto discusso “chador”, che deve coprire i capelli e il corpo delle donne, potrebbe ben presto scomparire grazie a una nuova linea approvata dallo stesso regime. Al suo posto, le iraniane potranno indossare cappotti sbottonati che mettono in mostra il corpo e hijab dai colori sgargianti che celano a malapena il capo. I nuovi modelli sono stati presentati con tanto di mostra e manichini, come se si trattasse di una linea di una boutique parigina. Le donne sono entusiaste e sperano che questo sia un segno di apertura del regime. Ma, dall'altra parte, si scatenano le autorità religiose che gridano allo scandalo. Come spiega il Washington Post, gli ayatollah protestano e ricordano i principi dell'Islam, secondo cui serve una grande moralità in pubblico. Ma la loro sembra proprio una battaglia persa, da tempo. Sempre più ragazze indossano abiti occidentali e arrivano perfino a tingersi di biondo platino, giocando sul sottile filo di ciò che è lecito e ciò che non lo è. Centinaia di loro ogni anno vengono incarcerate per avere l'hijab fuori posto o per non aver obbedito al codice di abbigliamento. Ma la loro rivoluzione personale e silenziosa contro le autorità passa anche dal vestiario. Ahmadinejad non può ignorare queste richieste soprattutto se si considera che la società iraniana è composta per il 70% da giovani under 35. Ed ecco quindi l'idea di questa mostraconcorso, organizzata dal ministero della Cultura, con la scusa di premiare l'abito più “islamico”. C'è ben poco di ortodosso in quelle giacche dai colori accesi, nei pantaloni coperti da un elegante kaftano o in una mantella di velluto blu tagliata sopra il ginocchio, lontana un abisso dall'abito nero che l'avvolge. Zahra Ranjbar è l'organizzatrice dell'evento e spiega, in modo molto diplomatico, gli scopi dell'iniziativa voluta dal governo. «Vogliamo mettere dei codici sugli abiti approvati ufficialmente dal governo e fornire un permesso scritto alle donne che decideranno di indossarli in modo da impedire che siano arrestate», sottolinea la Ranjbar. «Stiamo facendo questo per la gente, per proteggerla», aggiunge. In realtà è la sfida di un regime che vuole mettere nero su bianco le sue regole, con tanto di “patente” per i vestiti, e così sfidare l'autorità religiosa. Non si fermano qui le tante discrepanze nella società iraniana. La Repubblica Islamica è ad esempio all'avanguardia nelle operazioni per il cambiamento di sesso da quando il suo fondatore, Imam Khomeini, firmò negli anni Ottanta una “fatwa” che le rendeva legali. Dalla rivoluzione del 1979 sono state ufficialmente 4 mila le operazioni effettuate. Non deve quindi meravigliare più di tanto la mossa del presidente Ahmadinejad in vista delle elezioni di marzo 2012.

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