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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale-Corriere della Sera-Il Foglio Rassegna Stampa
24.12.2011 Siria: Assad terrorista
Cronaca e commenti, Rolla Scolari,Guido Olimpio, Redazione del Foglio

Testata:Il Giornale-Corriere della Sera-Il Foglio
Autore: Rolla Scolari-Guido Olimpio-Redazione del Foglio
Titolo: «Orrore Kamikaze in Siria. 40 morti nella strage, ma è giallo sulla regia-Quelle cellule venute da fuori e i sospetti sulla tempistica- Il duplice attentato a Damsco apre la pista del golpe anti Assad»

Ancora stragi in Siria, Assad tanta le ultime carte. Cronache e commenti oggi, 24/12/2011, dal GIORNALE, CORRIERE della SERA, Il FOGLIO.

Il Giornale-Rolla Scolari: " Orrore Kamikaze in Siria. 40 morti nella strage, ma è giallo sulla regia "

Due attacchi suicidi, portati a termine con automobili imbottite di esplosivo, hanno colpito ieri mattina Damasco uccidendo 40 persone e ferendone almeno 100, ha riportato la televisione di Stato siriana. Secondo l’emittente, die­tro l’azione ci sarebbe Al Qaida. L’opposizione ha però accusato il regime di Bashar El Assad di aver finto un attacco terroristico per de­pistare gli osservatori della Lega araba, arrivati giovedì, e influenza­re i membri della delegazione, in Siria per lavorare a un piano per mettere fine alle violenze.
Gli scontri tra manifestanti e for­z­e dell’ordine vanno avanti da die­ci mesi. Secondo le Nazioni Unite, finora sono morte almeno 5.000 persone. Sana, l’agenzia di stam­pa di Stato, ha riportato giovedì che sarebbero 2.000 i membri del­le forze dell’ordine siriane uccisi in questi mesi. È difficile verificare questi numeri, perché dall’inizio della rivolta né ai giornalisti né alle associazioni per i diritti umani è consentito l’accesso in Siria.
Le due esplosioni di ieri hanno colpito due sedi dell’intelligence siriana nella capitale. Secondo la tv nazionale,tra i morti ci sarebbe­ro sia membri delle forze dell’ordi­ne sia civili. Per mesi, il regime ha dato la colpa per le violenze ad agenti stranieri, bande armate, ter­roristi, al Qaida. In una conferen­za stampa, il vice ministro degli Esteri Faisal Mekdad ha suggerito che i fatti di ieri dimostrerebbero la validità di questa teoria. Il mini­stro, accompagnato dal vice segre­tario della Lega araba Seif Al Yazal, si è recato sul luogo della strage: «Nel primo giorno dopo l’arrivo degli osservatori arabi questo è il regalo che ci fanno i terroristi e Al Qaida», ha detto.
A pochi minuti dalle esplosioni, la tv di Stato ha mandato in onda immagini strazianti di cadaveri mutilati e di edifici distrutti. La ve­locità con cui le telecamere sono arrivate sul luogo ha destato i dub­bi dell’opposizione. Per Omar Idil­bi, del Consiglio nazionale siria­no, le esplosioni «sono molto mi­steriose perché avvenute in una zo­na
molto protetta dove è difficile penetrare con l’automobile».È sta­to più diretto il capo dell’Esercito li­bero siriano, armata di disertori che ha il suo quartier generale in Turchia:«C’è il regime dietro gli at­tacchi », ha detto Riad Asaad. Da Beirut, anche l’ex primo ministro libanese Saad Hariri ha accusato il governo. Hariri ha sempre dato la colpa al regime siriano per l’ucci­sione di suo padre Rafiq, ex primo ministro libanese, nel 2005.
Secondo Abdelrakim Al Rihawi, responsabile della Lega per i diritti umani in Siria, i civili uccisi nelle esplosioni sarebbero manifestan­ti arrestati nelle scorse settimane. «Al Qaida in Siria non c’è.Il regime è pronto a sacrificare qualsiasi co­sa per dire alla Lega araba che loro stanno combattendo i terroristi», ha detto alla
Cnn .
Gli Stati Uniti hanno subito con­dannato gli attentati e il Diparti­mento di Stato ha dichiarato in una nota che«è di importanza cru­ciale che l’attacco non int­ralci il la­voro della missione della Lega ara­ba per documentare e scoraggiare le violazioni dei diritti umani». In­tanto, secondo l’opposizione,nel­la regione settentrionale di Jebel al Zawiyah, vicino al confine con la Turchia,continua l’assalto delle forze dell’ordine contro i manife­stanti. Nei giorni scorsi, secondo le organizzazioni per i diritti uma­ni nazionali, almeno 160 persone, per la maggior parte soldati, sareb­bero state uccise dall’esercito in quella che per alcuni sarebbe un’offensiva per fermare i diserto­ri dal raggiungere oltreconfine i ranghi dell’Esercito libero siriano.

Corriere della Sera-Guido Olimpio: " Quelle cellule venute da fuori e i sospetti sulla tempistica "

 WASHINGTON — Gruppi qaedisti sono presenti in Siria. E possono infiltrarsi dai Paesi vicini. Il regime lo sa bene, poiché durante la campagna Usa in Iraq li ha tollerati a patto che andassero a mettere le bombe contro i marines. Ad Aleppo e in altre città i militanti hanno messo radici e oggi sono nelle strade a battersi contro l'esercito. Sono tra i più tosti negli scontri. Questo per dire che non sarebbe una sorpresa se avessero voluto vendicarsi della repressione colpendo la sede dei servizi segreti. L'attacco, però, sembra fatto apposta per mettere in difficoltà l'opposizione in una fase nella quale sta raccogliendo consensi internazionali. Significativa — e per alcuni sospetta — la coincidenza di eventi. Due giorni fa, fonti ufficiali siriane denunciano movimenti di terroristi. A Damasco, intanto, arrivano i primi osservatori della Lega araba. Ed ecco l'esplosione davanti a un obiettivo che dovrebbe essere ben protetto. La rete di sicurezza composta da una dozzina di apparati è stata perforata. Il regime, sempre parco di informazioni, mostra la scena del massacro, accusa i seguaci di Osama, porta gli osservatori sul posto in modo che si rendano conto delle conseguenze. È un film dalla trama nota. Lo hanno già «girato» altri raìs in difficoltà, dal tunisino Ben Ali al libico Muammar Gheddafi. Gli avversari sono dipinti come «ratti» o «terroristi». Tecnica che a volte funziona. Perché imbarazza l'opposizione che nega il coinvolgimento ma, nel contempo, non può escludere l'iniziativa di qualche cellula più estrema. Il fronte anti Assad — malgrado sigle e annunci — non è così unito. All'opposto la strage può dare una mano allo schieramento pro Assad raccogliendo gli indecisi o i neutrali. È evidente che la Siria sta scivolando verso una deriva irachena. Le persone scompaiono, altre sono freddate dai sicari, altre ancora sono rapite e fatte ritrovare senza vita. I servizi combattono la loro guerra segreta. E poi arrivano le autobomba guidate dai votati «al martirio». Magari sono davvero qaedisti, ma non sappiamo chi li abbia innescati. Si crea una realtà violenta e ambigua dove ognuno può accusare il proprio avversario (o il nemico del mio amico), tanto è difficile dire «chi è stato». L'unica cosa certa sono le vittime.

Il Foglio- " Il duplice attentato a Damsco apre la pista del golpe anti Assad"

 

Milano. Due auto cariche di esplosivo, un commando suicida, un obiettivo chiaro – gli uffici di Damasco dei servizi segreti siriani –, almeno 40 morti e tanti misteri. La tv di stato del regime di Bashar el Assad ha fornito fin dalla mattina la sua versione: le due esplosioni sono state causate da attacchi terroristici di matrice qaidista, ma molti esponenti del regime sostenevano che pure Stati Uniti, Europa, Turchia e Israele non potessero essere estranei alle bombe. Nessuno però ha dato credito alla versione ufficiale: secondo l’opposizione, il regime si è autoconfezionato un attentato per vendersi all’opinione internazionale come una vittima del terrorismo. Il colonnello baffuto che guida le operazioni militari dei ribelli raccolti nell’Esercito libero di Siria, Riad al Asaad, ha detto di essere estraneo all’operazione – aveva invece rivendicato gli attacchi alle sedi del partito Baath e dell’intelligence una ventina di giorni fa. Chi è stato allora? Oggi inizia ufficialmente la missione della Lega araba: secondo alcuni, potrebbe essere questo l’obiettivo simbolico dell’attacco. Ma l’operazione della Lega araba è molto opaca, secondo alcuni rappresenta un ulteriore velo del regime per coprire quel che accade nel paese: certo non è rassicurante il fatto che tra gli osservatori ci sia un rappresentante del Bahrein (paese che ha represso nel sangue la sua primavera, con l’aiuto dei carri armati sauditi) e che il capo sia un generale sudanese dal curriculum quantomeno controverso: Mohammed Ahmed Mustafa al Dabi sembrava fosse nella lista dei criminali di guerra della Corte dell’Aia. Non lo è, ma è stato a capo dell’intelligence militare sudanese per tre decenni, compresi gli anni in cui Osama bin Laden se ne stava comodo in Sudan a organizzare il jihad internazionale. La domanda però resta: chi ha messo le bombe? Non è da escludere l’ipotesi di un golpe interno. Negli ultimi anni, prima della rivolta, erano stati uccisi in attentati parecchi capi dell’esercito, secondo alcune fonti sono diecimila i disertori dell’esercito regolare, quanto basta per far dire a una parte dell’establishment militare: se Assad non se ne va da solo, se non lo cacciano i ribelli, lo destituiamo noi, a suon di bombe.

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