Il voto dell'Assemblea francese che condanna la Turchia per il genocidio degli armeni, è molto probabile che finirà nel nulla di fatto. Sarkozy avrà compiuto un bel gesto, poi tutto tornerà come prima. La realpolitik vincerà ancora una volta. Pubblichiamo oggi, 23/12/2011, una cronaca,di Alberto Mattioli, il voto visto dagli Usa di Maurizio Molinari, il commento a caldo di Charles Aznavour (già Aznavourian all'anagrafe), il grande cantante armeno/francese, da sempre in prima linea nella battaglia per il riconoscimento storico delle reponsabilità turche nel genocidio del suo popolo, e un editoriale del Foglio, preceduto da un nostro commento.
Ecco gli articoli:
La Stampa-Alberto Mattioli: " Parigi ci ferisce, Ankara richiama l'ambasciatore"

Le relazioni fra la Francia e la Turchia si sono definitivamente guastate per un crimine commesso fra il 1915 e il 1917. Ieri l’Assemblée Nationale ha votato la legge che punisce chi nega o minimizza i genocidi «riconosciuti» dalla République. Al momento, due: la Shoah e quello degli armeni da parte dei turchi durante la Prima guerra mondiale. Bilancio: un milione e 300 mila morti secondo gli armeni, da 250 a 500 mila secondo i turchi, che però rifiutano di essere messi sullo stesso piano dei nazisti, soprattutto perché il voto francese potrebbe aprire la strada a un’analoga decisione americana.
Da giorni Ankara metteva in guardia Parigi. Ieri la reazione del primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, è stata fulminea e fulminante: «Questo aprirà piaghe irreparabili e molto gravi nelle relazioni bilaterali. Rivedremo le nostre relazioni con la Francia», colpevole, secondo lui, di una «politica fondata sul razzismo, la discriminazione e la xenofobia» solo per «guadagnare voti». Prime misure: richiamo dell’ambasciatore turco a Parigi, Tahsin Burcuoglu, sospensione delle visite bilaterali, annullamento delle esercitazioni congiunte e di ogni attività militare comune. E Ankara potrebbe adottare «gradualmente» altre ritorsioni. Erevan, intanto, ringrazia.
Un altro politico arrabbiato per il voto è il turcofilo ministro francese degli Esteri, Alain Juppé, che sa bene che senza i turchi ogni soluzione della crisi siriana è impossibile. Juppé si è limitato a qualche dichiarazione lenitiva: «Mi auguro che i nostri amici turchi non abbiano una reazione eccessiva. Faccio appello al buon senso e alla misura». Ma pare che fosse arrabbiatissimo. Quanto ad eventuali controritorsioni francesi, «valuteremo, ma mi auguro che ci fermeremo qui».
Resta da capire se si fermerà qui anche Ankara o se alle rappresaglie politiche aggiungerà il boicottaggio economico. La Turchia è in pieno boom, con una crescita del pil dell’8% nel 2010. Gli scambi con la Francia valgono 12 miliardi di euro. Nel 2001, quando Parigi riconobbe il genocidio armeno, e nel 2006, quando si discusse per la prima volta la legge che ne puniva la negazione, le reazioni furono moderate. Ma ora Volkan Bozkir, presidente della commissione Esteri del Parlamento di Ankara, minaccia: «Nel 2001 eravamo in piena crisi finanziaria, nel 2006 avevamo appena cominciato le trattative con la Ue e avevamo le mani legate. Oggi la situazione è totalmente diversa». Francese avvisato...
Al Palais Bourbon il voto si è svolto in una strana atmosfera. Fuori, manifestavano centinaia di persone, riunite dalle associazioni franco-turche. Dentro, una quarantina di deputati dibattevano straccamente sotto gli occhi dell’ambasciatore armeno, votando infine a larga maggioranza la proposta di legge dell’Ump, il partito di Sarkò. Un solo discorso contrario, quello del deputato, pure Ump, Michel Diefenbacher: «Che diremmo noi francesi se un altro Paese ci venisse a dire cosa bisogna pensare del massacro dei vandeani?». In realtà, la legge deve ancora essere approvata dal Senato ed è molto improbabile che lo sia prima della fine dei lavori parlamentari causa elezioni presidenziali, come già successe nel 2006.
Per questo molti, compreso il candidato socialista all’Eliseo, François Hollande, accusano Sarkò di fare «un’operazione elettorale». In Francia vive la più importante comunità armena d’Europa, 600 mila persone: un bacino di voti di tutto rispetto.
La Stampa-Maurizio Molinari: " Una disputa che imbarazza anche Obama"

La questione armena causa imbarazzi e grattacapi a Barack Obama da quando ha messo piede alla Casa Bianca. Il motivo è che durante la campagna elettorale del 2008 aveva adoperato l’espressione «genocidio» per definire la strage di armeni in Turchia avvenuta durante la Prima Guerra Mondiale, promettendo di commemorarlo come tale se fosse stato eletto. Ma dopo l’insediamento ha preferito ricorrere ad altri termini per scongiurare crisi con la Turchia, un partner Nato che Obama considera un alleato cruciale per rilanciare il dialogo con l’Islam. Così, nei tre anni da presidente, ha adoperato l’espressione armena «Meds Yeghem» (Grande Calamità) per commemorare il milione e mezzo di vittime cristiane, esprimendo rispetto per «la memoria di chi morì in una delle peggiori atrocità del XX secolo», ma facendo attenzione a non pronunciare la parola «genocidio».
Tale equilibrismo linguistico ha protetto l’intesa privilegiata con Tayyip Recep Erdogan, divenuto dopo l’inizio delle rivolte arabe uno dei principali interlocutori di Washington in Medio Oriente, ma ha comunque esposto Obama a pressioni e proteste. Ankara infatti si oppone con forza all’inserimento della strage di armeni fra le atrocità del ’900, ritenendola una «grave distorsione dei fatti» e accusando la Casa Bianca di «commenti inaccettabili che pregiudicano la normalizzazione dei rapporti fra Turchia e Armenia».
Sul fronte opposto la diaspora armena negli Stati Uniti sfrutta ogni occasione per mettere in difficoltà l’Amministrazione Obama, accusandola di aver mancato la promessa elettorale. Si tratta di un fronte rovente. Basti pensare che nelle ultime due settimane le associazioni di armeni-americani hanno ottenuto il passaggio alla Camera dei Rappresentanti di una mozione che chiede ad Ankara di «restituire i beni delle Chiese depredate durante il genocidio» perché «sono testimonianze uniche della Cristianità». Poi sono riuscite a bloccare al Senato la nomina di Matthew Bryza ad ambasciatore in Azerbaigian perché in passato si era opposto al riconoscimento del «genocidio armeno» da parte degli Stati Uniti, oltre al fatto di «essere sposato con una turca» seppur naturalizzata americana. Come se non bastasse, le associazioni armene, e i loro alleati di entrambi i partiti a Capitol Hill, stanno tentando di condizionare la suddivisioni degli aiuti economici ai Paesi del Caucaso per dare maggiori soddisfazioni a Erevan come forma di risarcimento per il mancato riconoscimento del «genocidio» del 1915. E si tratta di pressioni che mettono in difficoltà la Casa Bianca perché gli armeni sono un tassello della coalizione di minoranze che per tradizione vota i candidati democratici. Se Erdogan serve alle strategie mediorientali di Obama, rinunciare agli armeni può essere pericoloso per la corsa alla rielezione.
La Repubblica- Charles Aznavour: " Su di noi 100 anni di odio, ora la verità è salva "

Ci sono voluti cinque anni per avere in Francia una legge che condanna la negazione del genocidio degli armeni. Un periodo lungo, che ha consentito a questo negazionismo di Stato di propagarsi sul nostro territorio attraverso una serie di manifestazioni, siti internet, profanazioni, atti di vandalismo, provocazioni. Ho qui la lista, chi vuole può consultarla. Queste aggressioni si iscrivono in quella stessa logica di odio che aveva presieduto al genocidio del 1915. Rientrano in quella stessa discriminazione razziale e in quella stessa arroganza criminale che era stata alla base dell´impresa di sterminio. È mai possibile che perfino in Francia, dove i nostri genitori hanno trovato rifugio per scampare a queste ignominie, i loro nipoti, quasi un secolo dopo, siano perseguitati dalla stessa malevolenza, dalla stessa ideologia omicida, dallo stesso flagello, il tutto promosso e incoraggiato dallo stesso Stato turco?
Il dibattito su questa legge, che certuni vivono come una limitazione alla loro libertà di espressione, è stato inquinato da numerose interferenze. Ma di che libertà si sta parlando? Il negazionismo è un´offesa alla verità dei fatti, un attentato alla memoria delle vittime, un oltraggio alla dignità umana. È un appello alla violenza e alla recidività. Il negazionismo di Stato è un elemento costitutivo del crimine, e sarebbe inconcepibile che lo Stato non si faccia carico di reprimerlo.
Come quasi tutti gli armeni di Francia, i miei genitori erano fra i profughi del 1915. Conserverò per sempre nella mia memoria i volti di quella generazione di miracolati, volti come quelli che figuravano, insieme ad altri, sulla famosa affiche rouge, il manifesto affisso sui muri di Francia dal regime collaborazionista, nel 1943, per additare alla pubblica riprovazione i partigiani fucilati del gruppo Manouchian, tutti lavoratori immigrati. La famiglia che ho costruito è cosmopolita: copre tutte le religioni del Libro. Mi sono sempre battuto contro ogni forma di razzismo e ho teso la mano al popolo turco, che non confondo con i suoi governanti.
Ma questi valori umanistici che ho costantemente difeso per tutti oggi vorrei che fossero pienamente rispettati anche per noi. Nessuno riuscì ad arrestare il meccanismo che condusse all´annientamento della civiltà della cosiddetta Armenia turca. Allora c´era la prima guerra mondiale. Che almeno vengano forniti gli strumenti per impedirne la negazione, oggi che siamo ancora in pace.
Questo intervento del celebre artista francese di origini armene è stato scritto in occasione della presentazione della legge approvata ieri.
Il Foglio-Editoriale: " Il valzer armeno di Sarkozy"

Il Foglio usa quasi sempre la mano leggera quando si tratta della Turchia, non si capisce bene in base a quale ragionamento, visto che contraddice quanto poi il giornale diretto da Giuliano Ferrara scrive nelle pagine di politica estera.
La legge francese non criminalizza nessuno, più semplicemente distingue tra libertà di opinione e menzogna. Lo stesso avviene per la Shoà, negare che sia avvenuta non è un'opinione, è, anche quella, una menzogna. L'argomento è enorme, può arrivare a coinvolgere i sistemi (dis)educativi di intere generazioni. Perchè non sanzionarlo ? In un mondo perfetto le menzogne si combattono con le idee,è vero, ma il nostro non è un mondo perfetto, il timore della sanzione può aiutare chi ha il dovere di insegnare la Storia, quella con la S maiuscola.
Ecco l'editoriale:
L’Assemblea nazionale di Francia ha approvato una legge che criminalizza chi nega il genocidio armeno, e la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore a Parigi. Ankara è disposta a sospendere le relazioni diplomatiche con la Francia, le liti telefoniche tra Sarkozy ed Erdogan lo dimostrano. Per la Turchia la legge è “fondata sul razzismo, la discriminazione e la xenofobia”. Più prosaicamente, è un’iniziativa che in una logica illiberale sottopone al giudizio della legge penale la libertà d’opinione, con una pena pesante: un anno di carcere (a volte due, più una sanzione da 45 mila euro). Soprattutto è una mossa elettorale che fa fare un ennesimo giro alla strategia ballerina della Francia in medio oriente. Sarkozy deve tenere conto, nei calcoli per la rielezione, della comunità armena in Francia, circa 500 mila anime che mettono la scheda nell’urna – per questo ha anche ostacolato l’ingresso di Ankara in Europa. Ora la situazione è mutata: piacciano o meno le ruvidezze della Realpolitik, Erdogan è diventato un alleato, per quanto non sia facile fidarsi, decisivo. La Turchia ispira le piazze in rivolta di tutto il mondo arabo; con una moral suasion di stampo militare, l’America ha riportato la Turchia nella sua orbita e la sta convincendo a ricucire i rapporti congelati con Israele. Soprattutto, Erdogan è fondamentale per qualsiasi azione contro il regime siriano, azione caldeggiata dallo stesso Sarkozy. Ma per una priorità elettorale – di sapore un po’ illiberale – il capo dell’Eliseo sta mettendo a rischio l’alleanza strategica. Certo, non è la prima volta, se si pensa che Sarkozy qualche anno fa passeggiava con Assad per le strade di Parigi, e ora chiede la sua testa.
Per inviare la propria opinione alla Stampa, Repubblica, Foglio, cliccare sulle e-mail sottostanti