Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/12/2011, a pag. 19, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Cairo, le egiziane in marcia contro la violenza alle donne " e la sua intervista a Mona Seif, attivista egiziana per i diritti delle donne dal titolo " Vogliono ridurci al silenzio con la strategia della vergogna ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Washington non ha più presa sull’Egitto dei generali (e la piazza odia gli americani) ".
Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Cairo, le egiziane in marcia contro la violenza alle donne "

I soldati egiziani volevano punirla e umiliarla. Ma piazza Tahrir l'ha scelta come propria icona e, ieri, ha portato con orgoglio la sua immagine in processione. La chiamano «la ragazza con il reggiseno blu». Dopo il blogger Khaled Said, torturato a morte dalla polizia ed eletto a simbolo della rivoluzione del 25 gennaio, e dopo il dentista Ahmed Harara cui i proiettili dei cecchini hanno strappato entrambi gli occhi, ora il simbolo della piazza che non accetta più il potere dell'esercito è quella ragazza inerme che sabato al Cairo è stata trascinata per le braccia, colpita con bastoni di legno e presa a calci dai soldati. Alla fine è rimasta immobile, sull'asfalto. Indossava i jeans, le scarpe da ginnastica. Aveva il torso nudo. La tunica destinata a nascondere con modestia le forme del corpo e forse i capelli le era stata strappata dal petto, rivelando le braccia delicate, lo stomaco candido, il reggiseno blu. Il volto era invisibile, coperto dai resti dell'abito. La ragazza — un'attivista — ha chiesto che il suo nome non sia reso pubblico, ma il video in cui viene picchiata ha fatto il giro del mondo. E mentre negli ultimi cinque giorni di scontri tra l'esercito e i dimostranti, i morti — quasi tutti colpiti da proiettili - sono almeno 13, l'immagine di quel reggiseno blu catalizza e accresce la rabbia.
Tra le condanne internazionali, la più dura è stata quella del segretario di Stato Usa Hillary Clinton, il cui Paese fornisce ogni anno 1,3 miliardi di aiuti militari al Cairo. «Le donne sono state picchiate e umiliate nelle stesse strade in cui hanno rischiato la vita per la rivoluzione — ha detto —. Le manifestanti sono state arrestate e sottoposte a orribili abusi. Le giornaliste sono state aggredite sessualmente e ora le donne vengono attaccate, denudate, picchiate in strada. Questa sistematica degradazione delle egiziane disonora la rivoluzione, è un'onta per lo Stato e le sue divise e non è degna di un grande popolo». Hillary ha rimproverato «sia le autorità militari che i maggiori partiti politici» per aver escluso le donne dalla transizione che dovrebbe portare alle presidenziali entro giugno (ma la piazza chiede entro febbraio). E le egiziane ieri si sono fatte sentire. Donne velate e donne con i capelli sciolti, mamme e ragazzine, una signora con un reggiseno disegnato sulla maglietta: erano migliaia e hanno marciato attraverso piazza Tahrir gridando all'unisono «le donne dell'Egitto sono la linea rossa». L'obiettivo è sconfiggere quella che chiamano la «strategia della vergogna». Nel 2005, durante le proteste contro i brogli elettorali, gli scagnozzi di Mubarak molestavano le donne per intimidirle. La Giunta militare che ha preso il potere alla caduta del Raìs, ai loro occhi, usa gli stessi metodi. A febbraio, 17 ragazze arrestate in piazza sono state sottoposte a «test di verginità». Ma una di loro (una sola), la parrucchiera Samira Ibrahim, ha avuto il coraggio di denunciare l'esercito. «Un incidente isolato»: così il generale Adel Emara ha definito il caso della ragazza con il reggiseno blu, promettendo una inchiesta. Non è così: un'anziana donna che porta cibo ai manifestanti, nota come mamma Khadija, è stata schiaffeggiata e umiliata, altre ragazze sono state picchiate. La Giunta nega di aver ordinato l'uso della forza, e ha accusato i manifestanti di complottare per dar fuoco al Parlamento. Ma i media hanno mostrato che a lanciare i molotov sono sia i manifestanti che i soldati, dai tetti. La ragazza con il reggiseno blu «è in condizioni molto gravi», ha detto al Times un giornalista picchiato mentre tentava di soccorrerla. «Non esce più di casa. Teme che la Giunta l'arresti». Ma è consapevole della forza che la sua umiliazione ha scatenato. «Non importa se parlo o no. Quello che mi hanno fatto dice già abbastanza».
CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Vogliono ridurci al silenzio con la strategia della vergogna "

Mona Seif
«L'uso della strategia della vergogna contro le donne è un retaggio dell'era Mubarak. L'esercito l'ha adottata subito ma in quest'ultimo giro di scontri, dal 16 dicembre, è diventata davvero una loro tattica chiave», dice Mona Seif, 25 anni. Figlia di un avvocato dei diritti umani imprigionato per cinque anni sotto Mubarak e di una attivista e docente di matematica (entrambi di sinistra), Mona è la leader della Campagna contro i processi militari (cui l'esercito da febbraio ha sottoposto almeno 1.200 civili). Parla al telefono dal Cairo. Di sottofondo si sentono i vagiti di un bimbo. È Khaled, il nipotino: si chiama come il blogger-simbolo della rivoluzione, ed è nato il 6 dicembre. Il padre Alaa lo ha visto solo da dietro le sbarre (noto blogger anche lui, è in carcere da fine ottobre). «Ad esempio, l'altro giorno — racconta Mona — c'erano due attivisti vicino a piazza Tahrir, un ragazzo e una ragazza. I soldati hanno picchiato entrambi, ma hanno arrestato solo lei. Avrebbero potuto prenderli tutti e due, ma nel mirino ci sono le ragazze. L'esercito cerca di scuotere e spezzare lo spirito dei rivoluzionari in modi diversi. Adesso sta usando questa strategia».
A febbraio, 17 ragazze erano state sottoposte a «test di verginità» dopo l'arresto. Ma dietro porte chiuse. La «ragazza con il reggiseno blu» invece è stata umiliata in pubblico.
«È un segnale per tutti noi, per dirci che non ci sono più linee rosse. Non hanno aggredito solo giovani donne, ma anche donne anziane, donne col niqab. Hanno infranto tutti i tabù, al di là dell'immaginazione della gente».
Anche tu sei stata picchiata?
«Sì, il 16 dicembre. Hanno arrestato me e mia sorella minore. Ci hanno detenute in luoghi separati, lei era nel Parlamento. Mi hanno picchiata con bastoni di legno e coi loro stivali, ma non ho subito abusi sessuali».
La strategia della vergogna dovrebbe condurre le donne, umiliate, al silenzio. Sta funzionando?
«No. Non penso che i militari afferrino l'idea che più diventano brutali più incitano la gente alla rivolta».
Il FOGLIO - " Washington non ha più presa sull’Egitto dei generali (e la piazza odia gli americani) "

Barack Obama
Roma. “Chi protesta in piazza meriterebbe di finire nei forni di Hitler”, dice il generale che fa da consulente per la Giunta militare egiziana, tradendo quella vena di simpatia profonda che nella gerarchia soldatesca dell’Egitto abbonda ancora, se è vero che un altro grand’ufficiale si chiama Hitler di nome e Tantawi di cognome (Tantawi come il comandante in capo, da qui l’ironia di chi chiede per quale dei due debba vergognarsi di più) e ha pure un fratello di nome Mussolini, tanto per togliere ogni dubbio (da qui l’imbarazzo nelle foto ufficiali all’ambasciata americana). L’Egitto dei generali sta sfuggendo di mano all’Amministrazione americana. Per ora l’unico successo in tre mesi è che i militari hanno smesso di usare i lacrimogeni contro la piazza – dopo che erano usciti documenti ufficiali del dipartimento di stato che confermano l’autorizzazione di Washington alla vendita di 33 mila candelotti antisommossa al governo del Cairo, nel 2009, in piena era Obama. I militari sono però passati alle bastonate e ai colpi di pistola: ieri sono usciti altri video di soldati che sparano contro la folla, i morti sono 16. A novembre l’ambasciatrice americana al Cairo, Anne Patterson, ha donato 100 mila dollari ai feriti di piazza Tahrir – dove ieri hanno sfilato in migliaia le donne – ma il sentimento che prevale è fortemente antiamericano. I generali fanno finta di non sentire gli appelli a limitare l’uso della forza, i manifestanti si sentono oltraggiati, il dipartimento di stato contatta sempre più spesso i partiti islamisti. Tre settimane fa è pure circolata la voce di un possibile golpe contro Tantawi da parte del generale Sami Anan, considerato il più amico di Washington.
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