Ancora strage di manifestanti in Egitto. Le cronache sono su tutti i quotidiani, oggi 18/12/2011. Riprendiamo due articoli, il primo da LIBERO, di Carlo Panella, a pag.1/19, il secondo dal GIORNALE, di Rolla Scolari, a pag.13.
Libero-Carlo Panella: " Un anno di Primavera. E ancora si ammazzano "

I nove ragazzi - un po’ fana - tici, totalmente incapaci di fare politica - uccisi ieri dalla furia dell’esercito in piazza Thariri; il muro costruito dai militari che impedisce di accedere da piazza alla kasr al Nili, il viale dei Palazzi del potere (stupidamente assaltati dai giovani), lo sdegno dei Fratelli musulmani per la ferocia dei generali, sono una delle facce - più che inquietanti e sgradevoli - di questo primo anniversario di rivolte arabe. L’altra faccia, più nascosta, è la straordinaria capacità di sofferenza di cui dà prova il popolo siriano con i suoi 5-10.000 morti e le sue decine di migliaia di torturati e imprigionati nella più eroica resistenza contro una dittatura che il Mediterraneo ricordi. La terza faccia, è rappresentata dai leader socialisti arabi - spesso con decenni di prigione alle spalle - che diventano presidenti della Repubblica come Moncef Marzouki in Tunisia o ministri, come accadrà a giorni in Marocco. È impossibile fare un bilancio definitivo della primavera araba, ma non è difficile farne uno parziale, che deve partire da un dato chiaro: la delusione palpabile in occidente è frutto di una incredibile, quasi scandalosa mancanza di conoscenza delle società arabe, innanzitutto da parte dei media, ma anche delle cancellerie e delle ambasciate. LA FRATELLANZA VINCE L’illusione che - caduti i tiranni - si formassero processi democratici guidati da partiti liberali o progressisti, poteva essere coltivata solo da chi non si era reso conto che nei Paesi musulmani questo, oggi, non può avvenire. Il successo straordinario, ovunque vi sono state elezioni (e domani in Siria e Yemen) dei partiti legati alla Fratellanza Musulmana è dovuto al fatto che in questi Paesi «prima» si deve consumare una lunga fase di rapporto tra la sharia democraticamente applicata e la modernità e solo «dopo», quando il conflitto pieno tra sharia e diritti umani, (quelli delle donne e della libertà di pensiero e religione) si sarà consumato, si avrà qualcosa di simile a una democrazia reale. È dunque naturale che oggi trionfino ovunque gli islamisti, come è naturale che movimenti acefali, generosissimi, ma totalmente privi di capacità di «fare politica» (come quelli di piazza Tharir), permettano in realtà ai generali egiziani (oggi) e a quelli yemeniti (domani) di tentare di tenersi stretto quel potere che hanno condiviso per decenni con Mubarak e con Saleh. Questo, è il bicchiere mezzo vuoto e questo vuoto è conseguenza dell’incredibile mutilazione che l’islam ha inferto a sé stesso quando ha rifiutato la modernità (ed eravamo nel 1200), ha rifiutato di rapportare «Fede e Ragione», immiserendo la sua vita culturale, non formando le proprie élites, decadendo sino all’insignificanza, ben prima che arrivasse un colonialismo che - con tutti i suoi guasti - ha comunque avvicinato i Paesi arabi al progresso. Ma il bicchiere mezzo pieno di questo anno di rivolte arabe non riguarda solo i due Paesi - Marocco e Tunisia - in cui le cose vanno bene perché la vittoria dei Fratelli musulmani è arginata da forze laiche che - pur divise - sono maggioritarie. EROI A DAMASCO La rivolta del popolo siriano - ripetiamo, la più eroica che si sia vista da secoli nel Mediterraneo - cambierà il mondo perché porterà alla caduta di un regime che è alleato indispensabile di un regime è il motore immobile dell’islamismo jihadista e assassino: l’Iran degli ayatollah. Quando cadrà - e cadrà - il regime di Bashar al Assad, sarà definitivamente finito l’equili - brio perverso di un Medioriente in cui l’Urss, dal 1956, mise in piedi regimi autoritari con i partiti arabi che si erano alleati con Hitler durante la guerra mondiale. Quel giorno, l’Iran incomincerà a sprofondare in una crisi epocale. Allora, solo allora, si vedrà se l’islamismo si incamminerà verso le sponde della Turchia di Erdogan - che è laica e democratica - o verso le sabbie dell’Arabia Saudita, che è fanatica, oscurantista, violenta e antisemita. Allora e solo allora, si vedrà se, con timida lentezza, l’islam arabo saprà iniziare a entrare nella modernità, a iniziare da un rapporto non più conflittuale con Israele.
Il Giornale-Rolla Scolari: " Egitto, il fallimento dei laici, piazza ai militari, voti all'islam"

È un denso fumo nero che si alza dalle tende dei manifestanti di piazza Tahrir a marcare in Egitto l'anniversario dell'inizio delle rivolte arabe. Il 17 dicembre 2010, a Sidi Bouzid, cittadina rurale della Tunisia, Mohamed Bouazizi, venditore ambulante, si diede fuoco per protestare contro i maltrattamenti delle forze di polizia, innescando proteste in tutto il mondo arabo. A un anno da quei fatti, soldati e agenti in borghese hanno fatto irruzione ieri nella piazza simbolo della rivoluzione egiziana, dando fuoco alle tende dei manifestanti che occupano il centro del Cairo, in protesta contro i militari che da febbraio governano il Paese. Gli attivisti accusano i generali di utilizzare le stesse modalità dell'ex regime- arresti arbitrari, torture, abusi delle forze dell'ordine - di voler bloccare la transizione democratica per mantenere i propri privilegi.
Le violenze sono iniziate venerdì. Mentre nei seggi si contavano i voti del secondo turno delle elezioni parlamentari- che vedono i Fratelli musulmani e i salafiti, corrente islamista ultra conservatrice, in forte vantaggio - i manifestanti e le forze di polizia si sono scontrati nelle strade adiacenti alla piazza, vicino alle sedi di governo e Parlamento. Le forze liberali e laiche che sono state il motore della rivolta egiziana hanno fallito nel tradurre politicamente gli sforzi rivoluzionari e oggi faticano a controllare una piazza arrabbiata.
I morti in 24 ore di scontri sono almeno nove. Gli scontri sono iniziati quando le forze dell'ordine sono intervenute per disperdere un sit- in davanti al Parlamento. Ieri il premier Kamal Al Ganzouri ha ammesso che alcuni manifestanti sono stati uccisi da armi da fuoco, ma ha negato che militari e polizia abbiano usato violenza: secondo lui, «un gruppo avrebbe fatto fuoco sui manifestanti da dietro ». Il premier, avanzo di quel regime che la rivoluzione non ha completamente estirpato, ha usato toni che ricordano quelli dell'ex raìs Hosni Mubarak nei giorni della sua caduta. «Questa non è la rivoluzione ma un attacco », ha detto, aggiungendo che dietro gli scontri ci sarebbero forze straniere.
Nelle strade del centro del Cairo, i manifestanti hanno lanciato sassi contro soldati e poliziotti.
I militari hanno cominciato a costruire un muro di cemento per bloccare le strade che portano a Tahrir. Sul web circolano video di pestaggi delle forze dell'ordine, di agenti che lanciano pietre dai tetti delle case. Per protesta contro le repressioni, undici membri di un consiglio appena formato dalla giunta militare per supervisionare la stesura della Costituzione si sono dimessi.
A un anno dallo scoppio delle primavere arabe, nel centro del Cairo si combatte mentre i movimenti islamisti conquistano voti, lasciando i gruppi liberali al terzo posto. Alla fine del primo turno elettorale, Ahmed Abu Baraka, consulente legale delpartitoGiustiziaeLibertà, avevadetto al Giornale che il movimento si aspettava il 50% delle preferenze. «A questo abbiamo puntato, questo stiamo ottenendo», aveva detto. I giovani e le forze laiche che a gennaio sono stati i costruttori della rivolta non sono riusciti a trasformare l'entusiasmo rivoluzionario in risultati politici.
E con il rogo delle tende di Tahrir stanno perdendo anche la piazza. Alla fine del primo turno elettorale Hala Mustapha, del nuovo Partito socialdemocratico egiziano - gruppo liberale - raccontava al Giornale come fin dalla chiusura delle urne le forze rivoluzionarie si fossero rese conto di aver sbagliato strategia fratturandosi in piccoli gruppi davanti all'onda degli islamisti: «Ora dobbiamo unire le forze e ricominciare da capo».
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