Due pezzi sulla Tunisia, oggi, 17/12/2011, da IL GIORNALE e CORRIERE della SERA, di Gian Micalessin e Giuseppe Sarcina, per renderci conto della montagna di retorica che i giornaloni ci hanno ammannito per un anno sulla 'primavera araba'.
Ecco ciò che ne resta:
Il Giornale-Gian Micalessin: " Nella culla delle rivolte arabe dove la gente ora teme l'islam "

Maha Issaoui
È iniziato tutto qui. Era il 17 dicembre e un agente aveva sequestrato a Mohammed Bouazizi il suo carretto della verdura. Lui è andato al comune per protestare, ma loro non lo han fatto passare. Mohammed aveva solo 26 anni, ma per lui perdere il lavoro era come perdere la vita. Per questo s'è riempito di benzina e s'è dato fuoco. Con quel gesto ha acceso i nostri cuori e la nostra rivoluzione ». Un anno fa Maha Issaoui fa era solo una studentessa di 22 anni. Oggi è anche lei un simbolo. Le Monde l'ha inserita tra personaggi dell'anno, l'ha trasformata in un volto della rivoluzione, come quello del povero Mohammed appeso al palazzo del comune di Sidi Bouzid.
Maha è stata la prima a far viaggiare le foto della rabbia di Sidi Bouzid su Facebook, la prima a propagare il fuoco della rivoluzione. Quel fuoco l'ha portata lontano. Il ministro degli esteri francese Alain Juppé l'ha incontrata, la Francia le ha regalato una borsa di studio l'ha mandata a studiare a Clemont-Ferrand. Quando finirà di studiare sogna di regalare una clinica di radiologia ai poveri della per la sua città.
Ma intanto i sogni fanno i conti con la delusione.
È tornata per l'anniversario, ma ben poco è cambiato. «Siamo liberi, ma non certo soddisfatti, per capirlo basta guardarsi in giro ». Maha ci prende per mano, ci porta sotto la tenda accanto al municipio dove bivaccano Faker, Hafedh e Mohammed, due lauree in storia e una in ingegneria. «Durante la rivoluzione tappezzavamo il comune con i nostri diplomi inutili. Poi abbiamo guardato i dimostranti morire e Ben Ali fuggire, ma un anno dopo siamo ancora qua, in questa tenda e le nostre lauree valgono ancora meno». Maha ti trascina al mercato delle verdure. I colleghi del martire Bouazizi sono ancora lì. Abusivi e arrabbiati come un anno prima. «La polizia non ci dà più fastidio, ma di licenze e permessi manco se ne parla» urla Nidal, uno che fino alla mattina di un anno fa lavorava gomito a gomito con il martire simbolo di Sidi Bouzid. Tra le verze e le patate di questo mercatino il nome di Bouazizi non suscita, in verità, grande emozioni. «Era molto scosso, molto provato» ti borbotta un suo compagno quasi a far capire che di eroico nel suo gesto c'era poco. Fino a qualche giorno fa non si trovavano neanche soldi per erigere il carretto di marmo bianco che operai e scultori stanno finendo di mettere assieme davanti al palazzo del governatore in Avenue Bourghiba. Più dei soldi mancava la volontà. La casa del carrettiere martire nel quartiere Hay Nur, alla periferia di questa cittadina agricola nel cuore della Tunisia, è deserta da mesi. Sussurri e brusii parlan d'infamia ed opportunismo. «Suo figlio è diventato famoso e sua madre ha fatto i soldi. Adesso vive in un castello a Tunisi, a lei e alle sue figlie Sidi Bouzid sta stretta, si son dimenticate di esser nate povere come noi» insinua un vicino senza nome. Il castello è solo una casetta a due piani sul mare di La Marsa, il quartiere alla periferia di Tunisi preferito da turisti e stranieri. Ma la fuga dalle voci e dalle calunniedi Sidi Bouzid basta per accendere invidie e fantasie.
Per qualcuno che fugge, qualcun altro mette fuori la testa. Davanti alla moschea di Jamaa Bourghiba una folla di barbuti con camicione e pantaloni alla caviglia attende la preghiera del venerdì. Maha scuote la testa. «Un anno fa non c'erano. Sono saltati fuori adesso. Le elezioni le ha vinte Nahda, il partito degli islamisti. Io ris petto quel risultato, ma dobbiamo far molta attenzione.
Se ci addormentiamo, se non facciamo capire che il modello di vita laico è più forte del fanatismo gli estremisti c'imporranno la loro legge». All'università Manouba di Tunisi sta già succedendo. Due settimane fa le facoltà sono state occupate dai militanti di «Ansar Sharia Tunis». L'organizzazione fondamentalista pretende di veder riconosciuto alle donne il diritto di entrare in aula indossando il niqab, la veste che lascia scoperti solo gli occhi. In attesa che gli islamici moderati di Nahda formino il loro governo le autorità hanno chiuso le aule. Fuori, intanto, montano timori e incertezze. «Sono appena tornata e mi sembra già una follia - sussurra Maha - qui c'è un Paese da ricostruire e loro protestano per un vestito in nome della religione. Sarebbe come se noi ragazze laiche invece di lottare per il nostro futuro, ci battessimo per andare a lezione in minigonna».
Corriere della Sera-Giuseppe Sarcina: " Bouazizi, l'ambulante che cacciò i tiranni "

Un anno fa, verso mezzogiorno, a Sidi Bouzid, puntino sconosciuto sulla mappa della Tunisia, un giovane di 27 anni, senza dire una parola, si ferma davanti al Governatorato, una villona merlettata, color ocra. Con una mano regge una tanica di benzina, appena comprata con l'insoddisfacente incasso di giornata, con l'altra agita un cerino. Un lampo e l'uomo prende fuoco. Una donna accorre urlando, con un mantello. Le guardie si scuotono incredule, i disoccupati «cronici» escono dai bar. Il corso principale di Sidi Bouzid, piano piano, si riempie di gente, di folla, di rivoluzione.
Oggi sarà un'altra lunga giornata per la famiglia di Mohamed Bouazizi, fruttivendolo ambulante e «abusivo», il simbolo della rivolta dei Gelsomini che il 14 gennaio 2011 cacciò il presidente-dittatore Ben Ali.
Leila, 25 anni, studentessa, dovrà ripercorrere ancora una volta la storia personale e, ormai «nazionale», di suo fratello Mohamed. I network tv hanno di nuovo preso possesso di questa cittadina persa nella sabbia, dove si arriva percorrendo una strada costeggiata solo da chioschi che vendono carne di cammello alla griglia.
Eppure è necessario riascoltare la storia di Mohamed. Rivederlo mentre trascina il carretto con le cassette di mele e di banane verso la piazza del mercato. Rivivere l'intervento della donna in divisa che prima gli chiede la licenza commerciale, poi, aiutata da altri poliziotti, procede al sequestro del «corpo del reato», cioè della malferma carriola. E, infine, schiaffeggia il giovane. Bouazizi corre nel centro cittadino: meglio le fiamme, visto che le proteste non servono a nulla. Morirà in ospedale il 4 gennaio 2011.
La signora Manoubia, 54 anni, dice di avere «sette» figli, perché tra Selem (30 anni) e Ziete (10) anni, ci mette ancora il nome di Mohamed. «Mia madre piange e sorride nello stesso tempo», raccontava ieri sera Leila, mentre raggiungeva in macchina Sidi Bouzid da Tunisi (dove si è trasferita con la famiglia). «Ma sa quanto sia diventato importante Mohamed per il nostro Paese, per tutte le rivoluzioni del mondo arabo che sono partite da qui». Il programma delle cerimonie è fitto: alle otto verrà scoperta una statua che riproduce il carretto di Bouazizi (l'originale è custodito come una reliquia a Tunisi). Sono state allestite mostre fotografiche. Sono previsti discorsi ufficiali. Il telefono di Leila non si placa. «Ha chiamato anche l'ambasciatore della Turchia». Forse oggi si faranno vivi anche i leader della nuova Tunisia, guidata dal partito islamico Ennahda. Ci sarà una certa ressa sotto il piedistallo di Mohamed, fruttivendolo-martire.
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