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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale-Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.12.2011 Tunisia: sacrifici inutili, l'islam soffoca la libertà
Cronache e commenti di Gian Micalessin, Giuseppe Sarcina

Testata:Il Giornale-Corriere della Sera
Autore: Gian Micalessin-Giuseppe Sracina
Titolo: «Nella culla delle rivolte arabe dove la gente ora teme l'islam-Bouazizi, l'ambulante che cacciò i tiranni»

Due pezzi sulla Tunisia, oggi, 17/12/2011, da IL GIORNALE e CORRIERE della SERA, di Gian Micalessin e Giuseppe Sarcina, per renderci conto della montagna di retorica che i giornaloni ci hanno ammannito per un anno sulla 'primavera araba'.
Ecco ciò che ne resta:

Il Giornale-Gian Micalessin: " Nella culla delle rivolte arabe dove la gente ora teme l'islam "

Maha Issaoui

È iniziato tutto qui. Era il 17 dicembre e un agente ave­va sequestrato a Moham­med Bouazizi il suo carretto della verdura. Lui è andato al comune per protestare, ma loro non lo han fatto passare. Mohammed aveva solo 26 anni, ma per lui perdere il lavoro era come perdere la vita. Per questo s'è riempito di benzina e s'è dato fuoco. Con quel gesto ha acceso i nostri cuori e la nostra ri­voluzione ». Un anno fa Maha Issa­oui fa era solo una studentessa di 22 anni. Oggi è anche lei un simbo­lo. Le Monde l'ha inserita tra perso­naggi dell'anno, l'ha trasformata in un volto della rivoluzione, co­me quello del povero Moham­med appeso al palazzo del comu­ne di Sidi Bouzid.
Maha è stata la prima a far viaggiare le foto del­la rabbia di Sidi Bouzid su Facebook, la prima a propagare il fuoco della rivoluzione. Quel fuoco l'ha portata lon­tano. Il ministro degli esteri francese Alain Juppé l'ha incontrata, la Francia le ha regala­to una borsa di studio l'ha mandata a studia­re a Clemont-Ferrand. Quando finirà di stu­diare sogna di regalare una clinica di radiolo­gia ai poveri della per la sua città.
Ma intanto i sogni fanno i conti con la de­lusione.
È tornata per l'anniversario, ma ben poco è cambiato. «Sia­mo liberi, ma non certo soddisfatti, per capirlo basta guardarsi in gi­ro ». Maha ci prende per mano, ci porta sot­to la tenda accanto al municipio dove bivac­cano Faker, Hafedh e Moham­med, due lauree in storia e una in ingegneria. «Durante la rivoluzio­ne tappezzavamo il comune con i nostri diplomi inutili. Poi abbia­mo guardato i dimostranti morire e Ben Ali fuggire, ma un anno do­po siamo ancora qua, in questa tenda e le nostre lauree valgono ancora meno». Maha ti trascina al mercato delle verdure. I colleghi del martire Bouazizi sono ancora lì. Abusivi e arrabbiati come un an­no prima. «La polizia non ci dà più fastidio, ma di licenze e permessi manco se ne parla» urla Nidal, uno che fino alla mattina di un an­no fa lavorava gomito a gomito con il martire simbolo di Sidi Bou­zid. Tra le verze e le patate di que­sto mercatino il nome di Bouazizi non suscita, in verità, grande emo­zioni. «Era molto scosso, molto provato» ti borbotta un suo com­pagno quasi a far capire che di eroico nel suo gesto c'era poco. Fi­no a qualche giorno fa non si trova­vano neanche soldi per erigere il carretto di marmo bianco che ope­rai e scultori stanno finendo di mettere assieme davanti al palaz­zo del governatore in Avenue Bourghiba. Più dei soldi mancava la volontà. La casa del carrettiere martire nel quartiere Hay Nur, al­la periferia di questa cittadina agri­cola nel cuore della Tunisia, è de­serta da mesi. Sussurri e brusii par­lan d'infamia ed opportunismo. «Suo figlio è diventato famoso e sua madre ha fatto i soldi. Adesso vive in un castello a Tunisi, a lei e alle sue figlie Sidi Bouzid sta stretta, si son dimenticate di esser nate povere co­me noi» insinua un vicino senza nome. Il castello è solo una caset­ta a due piani sul mare di La Mar­sa, il quartiere alla periferia di Tu­nisi preferito da turisti e stranieri. Ma la fuga dalle voci e dalle calun­nie­di Sidi Bouzid basta per accen­dere invidie e fantasie.
Per qualcuno che fugge, qual­cun altro mette fuori la testa. Da­vanti alla moschea di Jamaa Bour­ghiba una folla di barbuti con ca­micione e pantaloni alla caviglia attende la preghiera del venerdì. Maha scuote la testa. «Un anno fa non c'erano. Sono salta­ti fuori adesso. Le elezioni le ha vinte Nahda, il partito de­gli islami­sti. Io ri­s petto quel risul­tato, ma dobbiamo far molta at­tenzione.
Se ci addormentiamo, se non facciamo capire che il mo­dello di vita laico è più forte del fa­natismo gli estremisti c'imporran­no la loro legge». All'università Manouba di Tunisi sta già succe­dendo. Due settimane fa le facoltà sono state occupate dai militanti di «Ansar Sharia Tunis». L'orga­nizzazione fondamentalista pre­tende di veder riconosciuto alle donne il diritto di entrare in aula indossando il niqab, la veste che lascia scoperti solo gli occhi. In at­tesa che gli islamici moderati di Nahda formino il loro governo le autorità hanno chiuso le aule. Fuo­ri, intanto, montano timori e incer­tezze. «Sono appena tornata e mi sembra già una follia - sussurra Maha - qui c'è un Paese da rico­struire e loro protestano per un ve­stito in nome della religione. Sa­rebbe come se noi ragazze laiche invece di lottare per il nostro futu­ro, ci battessimo per andare a le­zione in minigonna».

Corriere della Sera-Giuseppe Sarcina: " Bouazizi, l'ambulante che cacciò i tiranni "

Un anno fa, verso mezzogiorno, a Sidi Bouzid, puntino sconosciuto sulla mappa della Tunisia, un giovane di 27 anni, senza dire una parola, si ferma davanti al Governatorato, una villona merlettata, color ocra. Con una mano regge una tanica di benzina, appena comprata con l'insoddisfacente incasso di giornata, con l'altra agita un cerino. Un lampo e l'uomo prende fuoco. Una donna accorre urlando, con un mantello. Le guardie si scuotono incredule, i disoccupati «cronici» escono dai bar. Il corso principale di Sidi Bouzid, piano piano, si riempie di gente, di folla, di rivoluzione.
Oggi sarà un'altra lunga giornata per la famiglia di Mohamed Bouazizi, fruttivendolo ambulante e «abusivo», il simbolo della rivolta dei Gelsomini che il 14 gennaio 2011 cacciò il presidente-dittatore Ben Ali.
Leila, 25 anni, studentessa, dovrà ripercorrere ancora una volta la storia personale e, ormai «nazionale», di suo fratello Mohamed. I network tv hanno di nuovo preso possesso di questa cittadina persa nella sabbia, dove si arriva percorrendo una strada costeggiata solo da chioschi che vendono carne di cammello alla griglia.
Eppure è necessario riascoltare la storia di Mohamed. Rivederlo mentre trascina il carretto con le cassette di mele e di banane verso la piazza del mercato. Rivivere l'intervento della donna in divisa che prima gli chiede la licenza commerciale, poi, aiutata da altri poliziotti, procede al sequestro del «corpo del reato», cioè della malferma carriola. E, infine, schiaffeggia il giovane. Bouazizi corre nel centro cittadino: meglio le fiamme, visto che le proteste non servono a nulla. Morirà in ospedale il 4 gennaio 2011.
La signora Manoubia, 54 anni, dice di avere «sette» figli, perché tra Selem (30 anni) e Ziete (10) anni, ci mette ancora il nome di Mohamed. «Mia madre piange e sorride nello stesso tempo», raccontava ieri sera Leila, mentre raggiungeva in macchina Sidi Bouzid da Tunisi (dove si è trasferita con la famiglia). «Ma sa quanto sia diventato importante Mohamed per il nostro Paese, per tutte le rivoluzioni del mondo arabo che sono partite da qui». Il programma delle cerimonie è fitto: alle otto verrà scoperta una statua che riproduce il carretto di Bouazizi (l'originale è custodito come una reliquia a Tunisi). Sono state allestite mostre fotografiche. Sono previsti discorsi ufficiali. Il telefono di Leila non si placa. «Ha chiamato anche l'ambasciatore della Turchia». Forse oggi si faranno vivi anche i leader della nuova Tunisia, guidata dal partito islamico Ennahda. Ci sarà una certa ressa sotto il piedistallo di Mohamed, fruttivendolo-martire.

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