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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio-Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.12.2011 Siria: la strage continua, i rapporti con la Turchia
venti di guerra e le prigioni siriane raccontate da Lorenzo Cremonesi

Testata:Il Foglio-Corriere della Sera
Autore: La redazione del Foglio-Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Assad punta gli Scud su Ankara e i cecchini sui soldati che non sparano-Scariche elettriche, abusi e botte. Sopravvivere nelle celle di Assad»

Il Foglio- " Assad punta gli Scud su Ankara e i cecchini sui soldati che non sparano "

Sarà guerra ?

Roma. Turchia e Siria sono sull’orlo della guerra. Ieri all’alba, il governo di Ankara ha messo in stato di massimo allarme le sue Forze armate chiedendo “una rapida verifica della loro capacità di fare fronte a un eventuale conflitto con Damasco”. Questa decisione è stata presa – secondo quanto riporta il sito israeliano Debka – dopo un vertice notturno tra il presidente Abdullah Gül e il premier Recep Tayyip Erdogan convocato per reagire alla decisione di Bashar el Assad di schierare lungo il confine con la Turchia, di fronte al distretto di Alessandretta, 21 missili, di cui 5 Scud D con testate da guerra chimiche e alcune unità corazzate. Spostamenti effettuati di proposito in pieno giorno, con l’evidente intento di lanciare un minaccioso messaggio al governo di Ankara, che da mesi si dichiara pronto a valutare la creazione di una “zona cuscinetto” in Siria e appoggiare con i suoi commando la guerriglia della Free Syrian Army, l’esercito dei disertori siriani. Questo, in uno scenario che ha visto ieri, subito dopo una manifestazione a cui hanno partecipato 200 mila persone, deflagrare una battaglia tra lealisti e disertori attorno all’ospedale di Homs, mentre 27 militari lealisti (il bilancio di una giornata di guerra in Libia) sono stati uccisi dai disertori durante una battaglia alle porte di Deraa. A Idlib si ha notizia della diserzione in massa di 100 soldati. Un quadro di crisi di regime così sintetizzato da Frederic Hof, funzionario del dipartimento di stato americano: “Bashar el Assad è un dead man walking”. Le stesse 60 testimonianze di militari siriani e agenti dei Servizi che hanno disertato (tutti identificati per nome e cognome) raccolte da Human Rights Watch e pubblicate ieri danno un quadro non solo di efferatezza da parte dei vertici militari siriani, ma anche di decrescente capacità di tenuta dei reparti e soprattutto di continua prevaricazione sullo stesso comando di Bashar el Assad, da parte dei vertici militari, a iniziare dal fratello minore Maher el Assad, comandante della Quarta divisione corazzata, che ormai agisce in larga autonomia. Il soldato Amjad del 35° reggimento delle forze speciali così descrive quanto avvenuto a Deraa, il 25 aprile: “Il nostro comandante, il generale Ramadan Ramadan, ci ordinò: ‘Non esitate a sparare. Nessuno chiederà spiegazioni’. Di solito avevamo ordine di risparmiare i proiettili, invece ci disse: ‘Usate tutte le munizioni che avete’. E quando uno gli ha chiesto: ‘Contro chi?’, ha risposto secco: ‘Contro tutti quelli che avete davanti a voi, non sarete ritenuti responsabili di quello che farete!’. Quel giorno abbiamo ucciso 40 dimostranti”. Hani, membro dell’Intelligence dell’Aeronautica, così descrive quanto ha fatto il 1° aprile ad al Mouadamiyeh, sobborgo di Damasco: “Il nostro colonnello Hassan Suheilci ha ordinato di picchiare violentemente sulla testa i prigionieri portati in caserma senza pensare alle conseguenze. Li abbiamo riuniti nel cortile della caserma e abbiamo picchiato nel mucchio, abbiamo anche usato i pungoli elettrici per il bestiame”. L’ipocrisia della risoluzione russa Dal 15 novembre, secondo Hrw più di 197 prigionieri sono stati uccisi dopo l’arresto. Otto disertori hanno testimoniato di aver visto ufficiali o agenti dei servizi segreti uccidere soldati che si rifiutavano di seguire l’ordine di sparare sulla folla. Habib, soldato della 3° divisione della 65° brigata, così ha testimoniato: “Eravamo in prima linea; il colonnello Khader e gli uomini della sicurezza erano dietro di noi. Youssouf Krad, di 21 anni di Deraa, era accanto a me. A un certo punto, il colonnello ha visto che Youssouf sparava soltanto in aria, non sui manifestanti: l’ha segnalato al tenente Jihad, dell’intelligence militare, che era sempre al suo fianco. Jihad ha chiamato via radio un cecchino che era su un tetto, gli ha indicato Youssouf e il cecchino l’ha subito fulminato con due pallottole in testa. Il giorno dopo abbiamo visto il suo corpo in televisione: lo speaker diceva che era stato ucciso dai terroristi”. Osama, della divisione aerotrasportata ha testimoniato che a maggio ad al Mouadamiyeh il generale di brigata Younis Jamal, in un primo momento aveva dato ordine di non sparare assolutamente, ma poi “ha ricevuto l’ordine di Maher Assad di sparare sulla folla con tutti i mezzi possibili. Così abbiamo fatto”. Sul fronte Onu, ieri la Russia ha presentato al Consiglio di sicurezza una risoluzione di condanna in cui però chiede con ipocrisia “a tutti i contendenti dell’una e dell’altra parte di cessare le violenze”. Come se entrambi, manifestanti e cecchini, fossero sullo stesso piano. La Francia l’ha già respinta.

Corriere della Sera-Lorenzo Cremonesi: " Scariche elettriche, abusi e botte. Sopravvivere nelle celle di Assad "

DAL NOSTRO INVIATO
ISTANBUL — «Cosa fai? "Sono dottore". E allora perché protesti? Lo sai bene che hai studiato grazie al presidente Assad. Senza di lui saresti nulla. E cosa vuoi? "La libertà. Poter scegliere il mio governo". Molto bene. Anch'io voglio la libertà. Solo che la mia idea di libertà è diversa dalla tua. Voglio essere libero di fottermi tua sorella, tua moglie e tua madre. Ora le porto qui, in prigione. E me le faccio di fronte a te».
Così questo medico 37enne di Aleppo incontrato a Istanbul durante una piccola manifestazione di fuoriusciti siriani racconta dei suoi «normali» interrogatori durante i sei mesi trascorsi nel carcere di Latakia. Ne è uscito più o meno due settimane fa. E, grazie alla sua fitta rete di protezioni famigliari e amici lungo il confine, è riuscito a riparare in Turchia con la moglie e due figli piccoli. Non vuole rivelare la sua identità. «I miei parenti verrebbero immediatamente catturati, torturati, uccisi dai militanti della Shabiah, che sono per lo più giovani alauiti arruolati tra il peggio della criminalità comune per terrorizzare su commissione», spiega. Però è ben disposto a rivelare ciò che avviene nelle mani delle squadracce del regime. Al medico di Aleppo tutto sommato è andata ancora bene. Non ha subito danni permanenti. Solo quando accenna alle scariche elettriche ai genitali si lascia improvvisamente scappare un pianto sommesso, timido, disarmante. Ma è proprio la quotidiana gestione dell'abuso eletto a sistema che colpisce. «Mi hanno catturato durante una manifestazione di piazza. È stata subito molto dura. Non mi volevano uccidere. Sono troppo conosciuto. Ma hanno cercato di umiliarmi, offendermi in ogni modo», ricorda. «I primi mesi sono stati terribili. Mi hanno chiuso in una cella lunga meno di due metri e larga uno, completamente buia e vuota. C'era solo un catino per i miei bisogni. Due volte al giorno mi davano pane, tè e riso. Ogni tanto arrivava un tenente corpulento sulla quarantina, noto a tutti come Abu Jafar, e mi picchiava su tutto il corpo con un tubo di gomma duro. Ordinava che venissi tenuto nudo al freddo oppure senza bere con un caldo insopportabile, in piedi, per giornate intere. Non si può immaginare cosa significhi restare alzati, immobili, faccia al muro, ma senza potersi appoggiare, per 15 o 20 ore al giorno, con il corpo dolorante. E intanto voleva che sentissi le urla dei torturati a morte nelle celle vicine. Più di una volta i suoi scagnozzi mi hanno urinato in bocca, con l'ordine perentorio che inghiottissi, se sputavo erano ancora più botte. Per settimane non ho visto le conseguenze dei colpi sul mio corpo emaciato. Stavo al buio. Solo una volta, durante un interrogatorio, mi è stato permesso di andare al bagno delle guardie. Qui c'era la luce elettrica e ho potuto vedere che le mie urine erano rosse di sangue. Sono medico. So bene che significa avere danni interni. Ma non potevo farci assolutamente nulla».
Non è il solo a testimoniare la paura della tortura. I giovani della resistenza sul confine turco-siriano ci hanno parlato degli amici spariti a Hama, Homs, Aleppo. Delle violenze contro figli, mogli, anziani genitori. Un trentenne incaricato di fare passare medicinali da Antakia verso Latakia ha rivelato di avere un fratello sparito da mesi. «Qui tra noi ci sono troppe spie al servizio di Assad. Se mi riconoscono il mio intero quartiere è in pericolo», ha confidato. Amnesty International ha denunciato che anche i feriti negli ospedali e i medici che li soccorrono sono stati torturati. L'Osservatorio siriano per i Diritti umani, l'organizzazione con sede a Londra legata al fronte delle sommosse, ha reso nota una lista di 13 tecniche di tortura più diffuse. Alcune sono ideate per spaventare e causare ferite leggere. Come quella (utilizzata spesso contro le donne per obbligarle a rivelare i nascondigli degli uomini) di chiudere il prigioniero completamente nudo in un grosso sacco di iuta assieme a un gatto selvaggio, che spaventato graffierà e morderà la vittima a sangue. Contro i bambini, spesso figli di sospetti attivisti che si vuol far parlare, sono utilizzate le pinze per strappare una per una le unghie di mani e piedi. Elettroshock, abusi sessuali di ogni tipo (anche con bottiglie dal collo volutamente scheggiato per causare gravi lacerazioni all'ano del prigioniero) e forti calci al ventre, alla schiena e alla testa con gli scarponi militari sono all'ordine del giorno. Alcune sevizie sono letali, come quella che vede la vittima costretta con la fronte legata alle caviglie, posizione che causa gravissime lesioni a legamenti e tendini, sino a provocare la paralisi e la rottura della spina dorsale.
«Sono tutte tecniche che la dittatura ha potuto affinare negli ultimi quarant'anni. La prima volta che vennero utilizzate in massa fu durante la repressione della rivolta dei Fratelli Musulmani nella città di Hama, nel febbraio 1982. Allora, come oggi, documentare le violazioni dei diritti umani fu estremamente difficile. Il regime bloccò l'accesso a giornalisti e osservatori internazionali. Si parlò di 20.000 morti. Ma noi calcoliamo che, assieme ai desaparecidos, molti spariti nelle basi del Mukhabarat (il servizio segreto, ndr) e nelle quattro carceri maggiori del Paese — Sidmaya, Tedmuk, Maza e Seyhasan — la cifra possa essere anche doppia. La popolazione fu talmente terrorizzata che almeno 800.000 siriani fuggirono all'estero nei mesi seguenti», dichiara Osman Atalay, consulente a Istanbul per l'Onu e responsabile per l'organizzazione umanitaria non governativa turca Insani Yardim Vakfi. Da qui anche le sue cifre al rialzo delle vittime attuali. «Le Nazioni Unite parlano di 5.000 morti dal 15 marzo a oggi. La media quotidiana degli ultimi due mesi dei manifestanti uccisi in piazza supera quota 20. E dobbiamo tenere conto che potrebbero esserci anche più di 30.000 prigionieri e tra loro tanti soldati, accusati di voler disertare. Sono chiusi nelle caserme. Ma ci mancano informazioni credibili. Quanti di loro sono già stati uccisi dopo indicibili sofferenze?».

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