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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero-Il Giornale-Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.11.2011 La laicità non è possibile in Marocco
In arrivo l'onda islamica, commenti e cronache

Testata:Libero-Il Giornale-Corriere della Sera
Autore: Souad Sbai-Francesco De Remigis-Andrea Nicastro
Titolo: «Torna l'ombra della Sharia e l'Europa applaude pure-Cresce l'onda islamica, la 'versione soft' vince anche in Marocco-Marocco raggiunto dall'onda islamica, ipoteca sul governo»

Il Marocco ha votato, il risultato si può riassumere nella sconfitta della laicità.
Come ha dichiarato Abdelilah Benkirane, leader del partito "Giustizia e Sviluppo", < la laicità è incompatibile con i precetti dei credenti, non è possibile in Marocco>
Pubblichiamo il commento di Souad Sbai su LIBERO, che- giustamente- punta il dito sulle responsabilità europee, francesi in particolare. Le cronache di Francesco De Remigis sul GIORNALE, Andrea Nicastro sul CORRIERE della SERA.
Ecco gli articoli:


Abdelilah Benkirane, no alla laicità

Libero-Souad Sbai: " Torna l'ombra della Sharia e l'Europa applaude pure"

 

Sarkozy                                  Souad Sbai

Notre ami Sarkò, Les jeux sont faits. Il Marocco,dopo questa tornata elettorale che ha decretato la vittoria del partito islamico, è un vero e proprio caso. Sarebbe superfluo oltre che profondamente scontato dire che le cifre fanno le vittorie o le sconfitte; occorre invece riflettere su alcuni fattori che meritano di non essere sottovalutati. L’astensione. Ha votato la metà, forse meno, del Paese, cosa che rende le elezioni poco rappresentative di quanto il popolo marocchino voglia davvero: come si spiega il 98% sfiorato nel referendum sulle riforme con il 45% scarso nelle elezioni? È un dato aggregato che fa pensare. Male, purtroppo. Non si è registrato una così grande e decisa chiamata all’astensionismo durante la campagna referendaria, cosa che invece è puntualmente accaduta durante quella elettorale. Ovvio che qualcuno aveva tutto l’interesse a non far andare a votare la massamoderata chedavverosposta gli equilibri del potere. Una forza politica che prende il 20% su un’affluenza del 45 non ha maggioranza e si appresta a vivere un governo di coalizione assai difficile e indigesto. Il passato politico. Il Marocco non è la Tunisia, l’Egitto o la Libia. Il sistema politico e la società civile ci sono e funzionano. A volte bene a volte male. Ma esistono. Mohammed VI non è Ben Alì o Mubarak. O peggio Gheddafi. I marocchini sono abituati a essere governati, non a essere comandati da un dittatore. Che può essere sostituito da un giorno all’altro con un altro dittatore o con una dittatura di altro genere. La polpetta è avvelenata, lo sappia bene chi oggi festeggia una vittoria di Pirro, che segnerà storicamente una fase di turbolenza politica e sociale in cui i moderati dovranno essere bravi a non perdere la bussola e a proseguire nella loro azione di denuncia del tentativo dell’estremismo di prendersi il Marocco. Certo, la mano straniera è piuttosto evidente in questo voto; certe campagne elettorali si realizzano solo con l’apporto, non solo politico ma ancheeconomico, di altre forze, che permettono la creazione di un ambiente adatto alla vittoria. Sono proprio curiosa di vedere come farà chi oggi sventola la bandiera islamica su Rabat, a far convivere la presenza del Re, unico depositario delle prerogative religiose, con un partito che fa della religione la propria radice e la propria stella polare politica. Bel dilemma, ma lo lasciamo risolvere a chi, pur vincendo, sa bene di non aver convinto e sa altrettanto bene che questo gli costerà molto in termini politici, storici e della propria sopravvivenza al potere. Domani sarà un altro Marocco, questo è chiaro ai marocchini già da ieri sera, ma non pare esserlo agli europei, che parlano ancora, dopo aver visto la Tunisia e l’Egitto sprofondare nel buio, di «voto di rottura» rispetto al passato. Sono gli stessi che hanno esultato al crollo dei regimi nordafricani senza che esistesse alcuna alternativa democratica. E abbiamo visto tutti come è andata a finire. La speranza per il Marocco è nella forza dei moderati di far sentire la loro voce come massa di maggioranza. Certo che per fare questo l’Euro - pa dovrebbe essere in grado di strutturare un’analisi concreta e realistica di come sono andate le cose e iniziare a comprendere che la voce moderata non deve spegnersi. Era l’ultimo tassello, dicemmo tempo fa proprio a Libero, ma anche allora confermammochesarebbe stato ilpiù difficile. Non solo per loro, oggi. Ma anche per noi, domani che quella sponda la vediamo pericolosamente vicina nelle parole di Motassim, portavoce del Pjd: «Governeremo con coalizione larga. Il nostro primario obiettivo è combattere la corruzione. Non governeremo con la sharia ma non possiamo contrastarla». Non avevamo dubbi.Merci Sarkò!

Il Giornale-Francesco De Remigis: " Cresce l'onda islamica, la 'versione soft' vince anche in Marocco "

Rabat Nel quartier generale del partito Giustizia e sviluppo (Pjd) si mischiano amarezza e soddisfa­zione: perché sì, il cartello islami­co ha avuto più voti degli altri, ma non potrà governare da solo. Al­meno 80 seggi su 395 non bastano al Re, Mohamed VI, per dar loro il placet di guida del Paese. Come spiega il segretario del Pjd, Abde­lillah Benkirane, «una coalizione sarà inevitabile». Addio dunque alla possibilità di governi in solita­ria, assecondando soltanto i pre­cetti del Corano. Via libera alle co­alizioni di convenienza che ri­schiano però di bloccare il Maroc­co sullo status quo, anziché rilan­ciare quel processo riformatore chiesto dalla piazza: dal sistema d'ingresso nel mondo del lavoro alla lotta all'evasione, che erode il debole Pil del Paese.
Già oggi, i cosid­detti ' religiosi' del Pjd si confronte­ranno con i secon­di
per scrivere un programma di go­verno condiviso; con altri partitini di sinistra e con i socialisti. Ma non con la coalizione «che ha tracciato una linea rossa su di noi», dice il lea­der del Pjd. Quell' alleanza per la de­mocrazia guidata dal partito Pam, terza classificata, che aveva più mar­catamente p­aven­tato il pericolo isla­mico in campa­gna elettorale.
A fronte di un'af­f­luenza non altissi­ma, circa il 45 per cento (nel luglio scorso quasi il 74 cento si era espres­so sulle modifiche costituzionali) il ri­sultato mette più o meno tutti d'accor­do. Come spiega al Giornale il diret­tore
della campagna del Pjd, «il partito dovrà necessariamente ab­bandonare alcuni propositi inizia­li, più marcatamente islamici, ve­dremo cosa verrà fuori. Posso anti­ciparvi che proporremo almeno un ministro donna, vedremo cosa ne pensano gli altri». Come dire: non siamo noi che abbiamo biso­gno di quote rosa. Come altri parti­ti di ispirazione coranica, nel Pjd le donne non mancano. Anche se al quartier generale gli uomini fe­steggiano e le donne servono da bere.
Dalle file del secondo cartello del Marocco, Istiqlal, il premier uscente dice di essere pronto ad entrare in una coalizione col Pdj,
definendo l'affermazione del con­corrente «una vittoria per la demo­crazia ». Il Pjd ha infatti quasi rad­d­oppiato i suoi consensi dalla pre­cedente tornata.
Ecco perché, an­che se non ha ottenuto la maggio­ranza assoluta, nel quartier gene­rale della ' lanterna', simbolo scel­t­o dagli islamici per far uscire il Pa­ese dal buio che loro chiamano 'corruzione', si giustificano i plau­si per la vittoria. Non smagliante, ma che conferma il trend della re­cente tornata elettorale tunisina. Il 30 per cento del Marocco ha scel­to il partito islamico moderato. Meno del plebiscito ha visto trion­fare Ennahda in Tunisia con per­centuali più alte, è comunque un dato che conferma l'ascesa dei Fratelli musulmani nel Maghreb, in Libia e, si presume in Egitto, do­ve si vota martedì.
Il messaggio islamico postrivo­luzionario ha fatto da traino an­che in Marocco. Lo ammette lo stesso segretario del Pjd quando dà importanza al ruolo di opposi­zione islamica al governo: «In Eu­ropa nessuno si chiede perché in Spagna abbiano vinto i popolari: hanno vinto perché erano all'op­posizione ». Così dicono nel Pjd è stato anche per il Marocco. A Ra­bat i quadri del Pjd marcano una distinzione con la Tunisia: «Il Pjd non è un partito islamico - spiega al Giornale il direttore della cam­pagna - . Semplicemente abbia­mo un programma che non con­trasta la Sharia». In caso di vittoria effettiva, il Pjd avrebbe potuto 'interpretare' le li­nee guida della Carta, votate a lu­glio in massa dal popolo. Sarà inve­ce la politica a decidere di cosa ha bisogno il Marocco nei prossimi cinque anni.

Corriere della Sera-Andrea Nicastro: " Marocco raggiunto dall'onda islamica, ipoteca sul governo "

Addio alla modernità ?

CASABLANCA — «Noi marocchini abbiamo visto arrivare il vento della Primavera araba e invece di corrergli incontro ci siamo chiusi in serra. I profumi saranno anche meno intensi, ma, almeno fino a oggi, abbiamo evitato grandinate». La metafora è dell'attivista e blogger Yunes Trari. Ed è azzeccata.
Nelle elezioni politiche di questo fine settimana il Marocco ha dato per la prima volta la maggioranza parlamentare al Pjd, un partito islamista moderato che ha preso il nome, «Giustizia e sviluppo», dal modello vincente in Turchia. Ma a differenza del partito che ha vinto il mese scorso in Tunisia, a differenza dei Fratelli Musulmani in Egitto o di componenti del governo provvisorio in Libia, il Pjd è da tempo inserito nella «serra» del potere di Stato.
Appena saputo della vittoria il leader del Pjd, Abdelilah Benkirane, ha chiarito i suoi obiettivi: «Preservare la monarchia, le riforme e l'economia». Una vittoria (il 20% dei seggi a scrutinio non ancora terminato) nel segno della continuità. «Siamo pronti — ha detto Benkirane — a una coalizione assieme al partito della maggioranza uscente e altre forze», tutte esplicitamente filo monarchiche, cresciute con il consenso e l'appoggio del sempre onnipotente Mohamed VI.
La sfida — spiega il maggior quotidiano marocchino Le Matin — è stata tra «il Marocco liberale e il Marocco islamoliberale». E il resto del Paese? Hanno chiamato al boicottaggio i due gruppi che animano le proteste di piazza sotto il nome Movimento 20 Febbraio. Sono i «democratici» che vorrebbero un re che regna ma non governa. Ma sono anche i favorevoli a una svolta realmente islamista dello Stato. Difficile valutare la consistenza dei due schieramenti tanto più che oltre ai 13 milioni di marocchini aventi diritto al voto ce ne sono altri 10 milioni neppure inseriti nelle liste elettorali. In ogni caso, l'astensione che nel 2007 era al 63%, questa volta è calata al 55%. Merito, secondo le forze di governo presenti e future, della riforma costituzionale approvata in luglio e della «crescita democratica del Paese».
In risposta ai cortei che anche in Marocco hanno riempito il 2011, non solo Mohamed VI ha ordinato «per la prima volta di non sparare» (Maati Monjib, storico dell'Università di Rabat), ma ha anche ceduto briciole di potere: ora è obbligato a scegliere il premier tra le file del partito di maggioranza (e non a piacere) e toccherà a quello nominare i manager pubblici.
Mohamed Balfoul, islamista «fuori dalla cricca del potere», tra i più attivi nel Movimento 20 Febbraio, ha buon gioco nello sminuire il valore della nuova Costituzione. «È un ritocco cosmetico, il re ha diritto di veto e le sue direttive alle Camere non possono essere contraddette. Chi ha partecipato alle elezioni è complice di questa ingiustizia». Al contrario del giovane Balfoul, i difensori della monarchia sottolineano che la stabilità del Marocco nella tempesta araba discende dalle progressive aperture del sovrano: una certa libertà di stampa, un codice di famiglia progressista, l'abolizione delle feudali «Carte bianche» che garantivano l'immunità reale, un approccio «tollerante» all'ordine pubblico e più aiuti ai poveri.
«Il nodo però resta il predomino in economia — obbietta l'analista Ghassan Wail El Karmouni —. Solo la Sni, la holding del re quotata in Borsa, controlla il 10% del Pil, ma considerando proprietà immobiliari, agricole e altre partecipazioni si arriva facilmente al 30%. Con una ricchezza del genere non si può che comandare, chiunque sia in Parlamento».

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