Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 24/11/2011, a pag. 16, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Troppa fretta e troppe insidie. In Egitto il voto è un pericolo ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Il problema in piazza della Fratellanza ". Da LIBERO, a pag. 17, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " L'Egitto punta sull'uomo dell'atomica iraniana ". Dalla STAMPA, a pag. 18, l'intervista di Giordano Stabile ad Andrea Nativi dal titolo " Assurdo, sarebbero morti in migliaia ", a pag. 19, l'articolo di Paola Caridi dal titolo " Le trattative con la giunta spaccano il fronte islamista ", preceduto dal nostro commento. Da REPUBBLICA, a pag. 19, l'articolo di Marek Halter dal titolo "I militari al potere sono il nuovo despota " , preceduto dal nostro commento. Dal MANIFESTO, a pag. 8, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Tel Aviv sostiene l’inviso generale Hissein Tantawi", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : "Troppa fretta e troppe insidie. In Egitto il voto è un pericolo "

Fiamma Nirenstein
I militari hanno dominato l’Egitto per cinquemila anni, figuriamoci se adesso hanno intenzione di abbandonare il potere.
Senza entrare nelle finezze etno- storiche per cui forse gli egiziani di oggi non sono proprio gli egizi di ieri, tuttavia insieme ai faraoni di cui ci sono rimaste vivide pitture e statue, appaiono sempre cerimoniosi generali, di cui ci sono rimasti nomi e notizie. Al tempo nostro, Nasser era un militare, come Sadat e Mubarak e dietro di loro si sono sempre intraviste solide figure marziali di supporto. Tantawi, oggi energico generale 76enne, era sodale di Mubarak, e adesso che la folla in piazza Tahrir ne urla con odio il nome, resiste galleggiando sul caos: ma se anche lui cade sotto la spinta della piazza, il futuro sarà peggiore.
Le elezioni parlamentari che si devono tenere lunedì per il parlamento in una selva di norme incomprensibili dureranno fino a gennaio, con tempi lunghi per i brogli più che per la riflessione; intanto si deve disegnare la Costituzione e le elezioni presidenziali. Ma quando? Il primo accordo dice non prima del 2013, ma già lo si contesta. E quando la Costituzione? Prima, dopo le elezioni presidenziali? I militari dicono prima, la folla il contrario, e vuole intanto anticipare l’elezione del presidente per cacciare i militari. Tantawi ha fatto varie mosse da gettare nelle fauci del popolo infuriato, protagonista oggi di una rivoluzione diversa da quella di febbraio che era densa, oltre che di povera gente sfruttata, di laici stanchi della dittatura, di professionisti, di studenti, di bloggers. Ormai è sovrastante la componente islamista (a sua volta in lotta al suo interno, fra Fratellanza Musulmana e salafiti) che, riorganizzatasi dopo i divieti di Mubarak, ora si batte contro l’impostazione laica della Costituzione. La protesta nata venerdì e a cui l’esercito ha risposto sparando, aveva avuto come spunto il testo del Primo Ministro Al Selmy (ora dimessosi) per la nuova costituzione: non prevede nessun controllo parlamentare dell’esercito, quindi gli dà un potere assoluto;dà all’esercitoil potere di definire le minacce alla sicurezza, comprese quelle civili, quindi preoccupa la Fratellanza Musulmana; decide che devono essere due terzi del Parlamento ad approvare la commissione che stabilisca definitivamente chi scrive la Costituzione, quindi i tempi diventano egizi. La folla ha ottenuto che, oltre a far dimettere tre ministri, Tantawi anticipi a giugno le elezioni presidenziali. Ma non sappiamo se questo placherà la piazza: i laici hanno interesse a creare caos perché non sono pronti a gestire la situazione politica, i religiosi perché vogliono rovesciare il potere militare che li tiene a bada rispetto alle aspettative di introdurre in Egitto la sharia. Dunque, le elezioni, né quelle di lunedì né quelle presidenziali rappresentano una soluzione. Quando George Bush nel 2006 insistette perché Hamas partecipasse alle elezioni, questo portò alla costruzione di uno staterello terrorista, Gaza. I militari sanno che le elezioni dovrebbero creare, oggi come oggi, un Parlamento protetto, mentreunacommissione parlamentare avvia la strada per un potere esecutivo in cui i diritti civili e religiosi vengano rispettati, le donne salvaguardate, la pace con Israele mantenuta. Insomma, le elezioni non sono una garanzia, quando si pensa che l’Alleanza Musulmana può,secondo le previsioni, prendere il 40 per cento dei voti. Dunque, rallentare, prego, non si gioca con l’Egitto, il paese arabo più importante.
www.fiammanirenstein.com
Il FOGLIO - " Il problema in piazza della Fratellanza "

Fratelli Musulmani
Il Cairo, dal nostro inviato. La notizia, tenuta nascosta, è che un rappresentante della Fratellanza musulmana avrebbe partecipato alla riunione d’emergenza tra governo e militari del 21 novembre per decidere che cosa fare durante la seconda rivoluzione scoppiata a piazza Tahrir – entrata ieri nel quinto giorno di scontri violenti. Sarebbe la prova che la Fratellanza sta orchestrando la crisi assieme al Consiglio supremo dei militari: i vincitori probabili delle elezioni parlamentari che iniziano martedì prossimo vanno a braccetto con i militari che detengono il potere. La concessione più grande fatta due giorni fa dal capo dei militari, il generale Tantawi, al paese durante il suo discorso tv è l’annuncio di elezioni presidenziali entro il giugno 2012, e non più nel 2013 come ormai si credeva. E’ un favore alla Fratellanza: più le presidenziali sono ravvicinate, più la loro organizzazione prevarrà sulla disorganizzazione e l’inesperienza dei partiti rivali. E sarebbe anche la prova dell’alleanza: aiutateci a navigare la crisi – è l’offerta dei militari – e possiamo accordarci sul resto. Questo spiega la rabbia della piazza contro i Fratelli, percepiti come abili manipolatori. Un loro rappresentante, Beltagi, uno dei più vicini ai giovani e ai manifestanti, è stato cacciato a forza da piazza Tahrir quando ha tentato di arringare la folla. La Fratellanza nella sua doppia identità, l’organizzazione e il partito, ha annunciato che non partecipa alla manifestazione permanente di piazza Tahrir con motivazioni vaghe come “non vogliamo creare problemi al traffico” o “abbiamo a cuore la stabilità del paese”. “L’85 per cento degli egiziani è d’accordo con noi, bisogna evitare il bagno di sangue”, ha dichiarato con un comunicato emesso nel momento peggiore, nella serata di domenica, mentre le forze di sicurezza uccidevano almeno una ventina di manifestanti. Ieri l’imam di al Azhar, autorità religiosa per i Fratelli e per il mondo islamico, ha chiesto alla polizia di non sparare “per nessun motivo”. Molti Fratelli e molti salafiti si sono presentati spontaneamente e stanno partecipando agli scontri. Li si vede con la barba senza baffi e l’orlo dei calzoni alto – come prescrive la regola dei duri e puri – in mezzo ai giovani metropolitani che costituiscono il nucleo più numeroso e attivo delle proteste. “Sì, sceicco, le ragazze sono in jeans e senza velo, ma sono coraggiose, ci stanno dando una mano”, può capitare di sentire dire al telefonino. Ma la leadership è sbilanciata verso il governo e lo status quo, esattamente come lo era a gennaio, quando rifiutarono di intevernire in piazza, nonostante ora siano i maggiori beneficiari di quei moti. In parallelo a loro si muovono i partiti salafiti, una galassia di sei gruppi che si è staccata dal cartello elettorale con i Fratelli ma che continua a replicare ogni loro mossa. E’ come se ci fosse uno scollamento tra la base, che reagisce ai soprusi dei generali, e i vertici, che seguono schemi opportunistici e hanno ormai una sola cosa in mente: il traguardo elettorale. E’ questo malessere che ha portato alla rottura fra molti Fratelli più giovani e i quadri dirigenti, una delle tante fratture sofferte dall’organizzazione da quando è uscita dalla clandestinità e ha dovuto affrontare la luce del mondo reale nel dopo Mubarak. Resta da vedere se questo modo di procedere senza mai allarmare la maggioranza silenziosa sarà vincente ancora a lungo: per ora tutti i cambiamenti importanti al Cairo sono stati ottenuti dalla minoranza non inerte.
LIBERO - Carlo Panella : " L'Egitto punta sull'uomo dell'atomica iraniana"

Carlo Panella
Quinto giorno di scontri al Cairo, altri tre morti, almeno (per un totale di più di quaranta), migliaia di feriti e una sola verità: la polizia, il governo, la Giunta militare stanno facendo di tutto nonper chiudere la protesta,ma per attizzarla, renderla permanente, in modo da avvelenare le elezioni che si terranno lunedì prossimo e far vedere plasticamente al Paese che l’unica soluzione non è la democrazia, ma la tutela autoritaria sull’Egitto da parte della Giunta militare guidata dal feldmaresciallo Hussein Tantawi, che per decenni è stato il fedele braccio destro di Hosni Mubarak (per poi tradirlo e deporlo lo scorso febbraio, nell’evi - dente tentativo di sostituirlo come raìs).
IL CANDIDATO
Il tutto, in una situazione di estrema debolezza politica e di strategia da parte delle forze di opposizione, ad eccezione dei Fratelli Musulmani (che infatti hanno ritirato il loro appoggio alla piazza) e cercano uno sbocco politico. Simbolo plastico di questa debolezzaè Mohammed el Baradei, che divenne presidente dell’Aiea dopo un’oscura carriera come diplomatico, che si prodigò per anni per negare che l’Iran stesse costruendo la bomba atomica, mentendo spudoratamente - come ha rivelato in questi giorni il suo successore - che per questo scempio ha ottenuto un Nobel per la Pace in spregio a George W. Bush che sosteneva che gli ayatollah stavano per costruire la Bomba, chenon hanessuna basesociale di consenso in Egitto, ma che ora si candida alle presidenziali. Ieri, questo cinico «signor nessuno», esperto in sgomitamenti, ha denunciato su Twitter: «È in corso un massacro: gas lacrimogeni con agenti nervini e munizioni sono stati utilizzati contro i civili a piazza Tahrir». Vero e falso. Vero il massacro, veri i gas lacrimogeni, assurda la panzana sul gas nervino (letale) che però indica a chiare lettere che la trattativa che el Baradei pare avesse avviato con Tantawi per diventare premier e gestire l’emergenza è fallita e quindi lui si vendica in questo modo, con questa denuncia palesemente e volutamente esagerata, quasi demenziale. Detto questo, in piazza Tharir è veramente in corso un massacro voluto, regolato e gestito con cinismo dalla Giunta militare che per di più non manda avanti l’esercito, ma la polizia, sì da mantenere illibata in pubblico la propria sporchissima coscienza. Un quadro tanto grave da spingere al Tayeb, grande Imam di al Azhar ad ammonire: «La polizia deve smettere di sparare sul petto degli egiziani; le due parti devono cessare le violenze».
ASSALTO AL MINISTERO
Ma così non è stato: ieri pomeriggio le forze di polizia, dopo molte e feroci cariche, hanno improvvisamente abbandonato piazza, accolte dalle grida di gioia dei manifestanti, alcuni dei quali si sono precipitato a stringere la mano ai poliziotti: «Viva la rivoluzione», «Abbasso il ministero dell’Interno», «Il popolo vuole la caduta del maresciallo Tantawi». Naturalmente, e per l’ennesima volta, questa ritirata della polizia non preludeva affatto a una pacificazione della piazza, ma era stata orchestrata apposta per permettere ai manifestanti di tentare di dirigersi, come fanno da giorni, verso la sede del Ministero degli Interni passando per la via Mohamed Mahmoud, lì sono stati caricati e tutto è ricominciato. Scene simili di guerriglia urbana volutamente prolungata daunapolizia chenonfa l’unica cosa da fare, cariche prolungate e definitive sìda sgomberare definitivamente piazza Tharir continuano non sono solo nella capitale, ma ancheadAlessandria, dove un manifestante uomo è stato ucciso negli e una trentina di persone sono rimaste ferite, così come a Suez, Port Said, Ismailia e Assuan.
La STAMPA - Andrea Nativi : " Assurdo, sarebbero morti in migliaia "


Mohamed El Baradei Andrea Nativi
«Fossero stati veramente gas nervini, avremmo visto cataste di morti. Non è neppure immaginabile l’uso di armi chimiche di distruzione di massa in un luogo simile, chiuso, con migliaia di persone assembrate». Andrea Nativi, direttore della Rivista italiana di difesa , classifica come «assurde» le affermazioni sull’uso di armi proibite contro la folla al Cairo. Anche se le immagini dei video diffusi in Rete impressionano, con la gente che vomita, trema, cade per terra.
Come se lo spiega?
«Chi ha sperimentano i normali gas lacrimogeni, o nelle manifestazioni e nell’addestramento militare, non si stupisce più di tanto. Nei corpi speciali, per esempio, è normale nelle esercitazioni essere sottoposti al Cs, il più comune dei lacrimogeni, con e senza maschera antigas. E, le assicuro, specialmente al chiuso non è piacevole. Gli effetti, poi, possono essere amplificati dalla reazione soggettiva, dallo stato di salute di chi è colpito».
Che cosa usano le forze di sicurezza?
«Il gas più usato è appunto il Cs, in linguaggio scientifico l’orto-clorobenziliden-malononitrile. Il principio diventa attivo al contatto con l’umidità o la pelle. Colpisce polmoni, occhi, vie respiratorie. A seconda dei dosaggi causa lacrimazione, vomito, tosse. Al chiuso, in situazioni estreme, può avere effetti letali, come ha dimostrato uno studio americano di una decina di anni fa. Insomma, non è una passeggiata per i dimostranti, specie se sono bombardati come si vede al Cairo».
Ma possono esserci altre armi «proibite»?
«Mi sembra che le forze di sicurezza egiziane stiano usando il tipico armamentario anti-riots, antisommossa. Bombe assordanti, flash bomb, che accecano. L’unico dubbio è che possano aver usato vecchi gas lacrimogeni, più potenti, come il Cr».
Non tutti gli Stati, comunque, hanno rinunciato alle armi chimiche...
«Certo, compresi Usa e Russia. Si tratta per lo più di iprite, o gas mostarda come lo chiamano gli anglosassoni, perché ha un forte odore di mostarda. Poi c’è il sarin, che agisce sul sistema nervoso. I libici, per esempio, hanno ammesso di averlo prodotto negli Anni 90. In ogni caso, usarlo in una piazza con un milione di persone non è semplice. Bisogna spargerlo, senza ammazzare se stessi. E, ripeto, l’effetto sarebbe quello di un campo di grano mietuto. Una strage colossale, nel giro di pochi minuti. Mi sembra strano che uno come El Baradei possa aver evocato un simile scenario».
Perché?
«Beh, non è solo un politico. È stato all’Aiea. Dovrebbe sapere di che cosa parla. Si riferiva all’iprite, al sarin? Avrebbero avuto effetti ben più devastanti. Evocare certe cose è da irresponsabili».
La REPUBBLICA - Marek Halter : " I militari al potere sono il nuovo despota"

Marek Halter
La tesi esposta da Marek Halter è l'esatto contrario di ciò che scrive Fiamma Nirenstein nel suo pezzo sul Giornale di oggi. Halter espone la posizione ottusa, cieca ed emotivamente guidata di chi pensa che sia giusto sostituire un pericolo con un altro maggiore. I militari sono 'despoti' e devono andarsene per far spazio agli islamisti ? Questo sarebbe il futuro democratico per l'Egitto?
Ecco il pezzo:
La libertà è una conquista difficile, che necessita sempre di una lunga pratica. Ora, per capire quanto sta accadendo in Egitto, basta guardarci indietro, anche se purtroppo non è sufficiente conoscere il passato per evitare che si ripeta. Molti analisti hanno paragonato le odierne rivolte arabe ai moti europei del 1848, alla "primavera dei popoli" contro i sistemi totalitari che li opprimevano.
Tuttavia, nella "primavera araba" non si può parlare di rivoluzione, perché questa comporta un cambiamento a 360 gradi, una trasformazione radicale di una società e del suo sistema economico. Ora, non è quello che chiede la folla di piazza Tahrir. All´inizio, essa voleva soltanto detronizzare un dittatore e finirla con un sistema politico basato sulla corruzione. Purtroppo, però, i manifestanti non avevano un progetto alternativo al regime di Mubarak. In questo si è vista l´assenza dell´Europa, che avrebbe dovuto aiutare i laici egiziani, insegnargli a gestire la vittoria, a esigere vere riforme. Avrebbe, per esempio, dovuto finanziare le stesse mense per i poveri che hanno aperto i Fratelli musulmani, guadagnando così enormi consensi.
La rivolta egiziana dimostra che non basta sbarazzarsi di un despota, senza avere nel cassetto un altro progetto di governo. Perché senza alternative valide, un nuovo despota è sempre pronto a prendere il posto di quello appena destituito.
Il risveglio dei popoli arabi è coinciso con l´arrivo di una nuova generazione, di una gioventù con una forte sete di libertà. Sono ragazzi che si sono aperti al mondo grazie a Internet, mentre i loro padri hanno guardato sempre lo stesso canale della stessa televisione di regime. Improvvisamente le frontiere sono scomparse, ed è nato il desiderio di cambiamento.
Questa voglia di cambiare s´è prodotta con impazienza, e senza sapere verso quale meta tendere. C´è stata prima la gioia di una vittoria insperata, che è stata come una sorta di ubriacatura: la piazza credette allora che con la fine di Mubarak sarebbe tutto cambiato, come se avesse strofinato la lampada di Aladino. Ma non è stato così, perché i giovani dimostranti disorganizzati si sono trovati davanti a due forze organizzatissime: l´esercito, che continua a sostenere il partito del tiranno caduto; e i Fratelli musulmani.
Ora, l´esercito non ha voluto attuare le riforme sperate. Quanto agli islamici, essi hanno capito che non è nel loro interesse schierarsi contro i militari, ma piuttosto lasciare che questi si scontrino con i giovani "impazienti". Una volta sedata la rivolta, i Fratelli musulmani potranno sempre porsi come i veri riformatori e come gli unici vincitori della rivolta.
Detto questo, dissento da coloro che sostengono che si stava meglio prima che scoppiassero le rivolte arabe. Anche nella Bibbia, gli ebrei che si ritrovano affamati nel deserto con Mosè rimpiangono la schiavitù dei faraoni, perché quando erano in catene almeno non morivano di fame. In Egitto, ci saranno ancora sobbalzi, altro sangue sarà versato, e l´esercito non lascerà il potere senza contropartite. E´ del resto verosimile che giungerà a un accordo con i Fratelli musulmani per spartirsi le ricchezze del Paese.
Lo stato maggiore militare è uno Stato nello Stato, che possiede fabbriche, aziende, immobili e milioni di ettari di terra. Soltanto il Pentagono gli versa un miliardo di dollari l´anno, che serve a intrattenere l´esercito. E´ quindi ovvio che i militari non scompariranno tanto facilmente. In futuro, ostenteranno con più discrezione le loro enormi ricchezze e il loro solido potere, alienandone però il meno possibile. Tutto questo per non irritare il popolo. Il quale dovrà vedersela con un altro tipo di potere, che s´appoggia anch´esso su parte della piazza: gli islamici.
La STAMPA - Paola Caridi : " Le trattative con la giunta spaccano il fronte islamista "

Paola Caridi
Paola Caridi continua a disinformare sulla situazione in Egitto. Gli islamisti sarebbero 'spaccati'? E su quale questione?
Caridi scrive : " Si è capito che nella Fratellanza Musulmana, accanto all’ala conservatrice rigida, c’era altro. C’era, per esempio, chi guardava alla Turchia e anche ai partiti democristiani europei come modelli possibili. ". Ci sono islamisti 'meno rigidi'? Moderati? E la Turchia sarebbe un esempio di democrazia? Caridi si legga l'articolo dell'economista turco Dani Rodrik pubblicato in altra pagina della rassegna IC di oggi, chissà che non la aiuti a capire che cos'è diventata la Turchia grazie all'islamico 'moderato' Erdogan.
Ecco il pezzo:
Spaccati. Ora più di ieri. Piazza Tahrir ha sempre avuto il potere, a gennaio così come in questa nuova fiammata di novembre, di portare in superficie le divisioni interne al fronte islamista. Nel cuore dei Fratelli Musulmani molto più che in quello dei salafiti, la galassia ultraconservatrice riunita da fine settembre in una coalizione di partiti, l’Alleanza Islamica. E quella che sta dividendo la Fratellanza Musulmana non è solo una divisione tra vecchi e giovani. Piuttosto, alla stregua di quanto accadeva nella nostra Balena Bianca, tra conservatori e riformatori, grandi navigatori e uomini più legati a una visione d’insieme.
Chi piace a Tahrir, e chi no Ci sono due fotogrammi che raccontano più di tante analisi. Il primo ritrae Mohammed Beltagi, uno dei leader più in vista del nuovo partito sorto dalla Fratellanza Musulmana, Libertà e Giustizia. Beltagi si era speso perché il partito scendesse a Tahrir, e sostenesse la «marcia del milione» di due giorni fa. Si era scontrato pesantemente con gli altri dirigenti, più inclini al compromesso con i militari, ed era andato a Tahrir. Tutto questo, però, non è bastato: è stato cacciato da una piazza che, da giorni, scandisce slogan non solo contro il maresciallo Mohammed Hussein al Tantawi, capo del Consiglio Militare Supremo, ma anche contro i Fratelli Musulmani. Libertà e Giustizia, infatti, ha preso le distanze dai militari sono nelle ultime settimane, quando è apparso chiaro che le forze armate volessero, per loro, un ruolo simile a quello dell’esercito turco prima che arrivasse Erdogan. Potere sopra gli altri poteri.
La seconda istantanea ritrae Abdel Moneim Abul Futouh mentre aiuta i medici all’ospedale da campo di Tahrir. Dottore anche lui, anzi, segretario dell’Unione araba dei Medici, il riformatore Abul Futouh è un fratello musulmano di calibro. È stato in predicato di essere la guida suprema del movimento, salvo essere sbattuto fuori pochi mesi fa, quando ha deciso di presentarsi come candidato alle presidenziali. Per nulla incline al compromesso con i militari, Abul Futouh ha sempre appoggiato Tahrir. Anche perché i giovani rivoluzionari islamisti sono la sua base di consenso. Abul Futouh è in predicato, assieme a Mohammed el Baradei, di far parte di un possibile governo di salvezza nazionale.
Islamisti (giovani) in piazza Nell’ospedale da campo di Tahrir, d’altro canto, ce ne sono molti di medici dei Fratelli Musulmani. Tutti giovani. In pochi lo dicono. In molti li conoscono. Quando la situazione è precipitata, sabato scorso, sono arrivati in piazza, perché in quella piazza hanno fatto la rivoluzione del 25 gennaio. Sfidando i vertici dell’Ikhwan, da sempre attendista. Sono stati, anzi, il pungolo dentro la Fratellanza Musulmana che ha mostrato quanto il più grande movimento islamista del Nord Africa non fosse un monolite. Molti dei protagonisti (islamisti) della rivoluzione sono critici verso il vertice. Da quando i blog hanno fatto emergere un dibattito interno sino ad allora tenuto nascosto. Si è capito che nella Fratellanza Musulmana, accanto all’ala conservatrice rigida, c’era altro. C’era, per esempio, chi guardava alla Turchia e anche ai partiti democristiani europei come modelli possibili. Quei ragazzi, blogger e ora anche opinionisti, hanno sparigliato le carte. Alcuni sono rimasti, critici, dentro Libertà e Giustizia. Altri se ne sono andati, aderendo ad altre formazioni o facendo politica come individui. Con lo sguardo, però, fisso a quello che hanno creato a Tahrir.
Arrivano i salafiti Non sono stati solo i giovani islamisti a sparigliare le carte, nel fronte dei partiti religiosi. Sono arrivati, in massa, anche i salafiti. Dopo un primo momento di smarrimento e di contestazione della democrazia, i settori radicali e letteralisti hanno deciso di scendere in campo. Guidati, in primis, dal partito Nour, che come i Fratelli Musulmani ha accettato, due giorni, fa, le proposte di Tantawi per il passaggio dei poteri entro sei mesi. I salafiti sanno di avere un seguito costruito negli anni all’ombra del regime di Mubarak, cresciuto sulle onde delle loro tv e dei loro telepredicatori. Anche i salafiti, però, sanno che la spaccatura generazionale è per loro una minaccia. Perché a Tahrir, fuori dall’ufficialità, c’erano anche i ragazzi integralisti. Assieme a tutti gli altri.
Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Tel Aviv sostiene l’inviso generale Hissein Tantawi "

Michele Giorgio
Michele Giorgio critica aspramente Israele perchè appoggia il potere dei militari in Egitto. La cosa non stupisce più di tanto, dal momento che a Giorgio andrebbe bene qualunque tipo di governo, anche una teocrazia di stampo iraniano, purchè sia contro Israele.
Ecco il suo articolo:
L’ambasciatore israeliano Yitzhak Levanon qualche giorno fa, senza far rumore, è ritornato al Cairo. Ha salutato e stretto la mano al ministro degli esteri Mohamed Kamel Amr e subito dopo è partito per la sua nuova destinazione. Nessuno sa quando il suo sostituto arriverà nella capitale egiziana. E in tanti scommettono che ci vorrà parecchio tempo prima che il governo Netanyahu nomini il nuovo rappresentante diplomatico israeliano in Egitto, a conferma che i rapporti tra i due paesi sono destinati a rimanere freddi. Pesano ancora le guardie di frontiera egiziane uccise ad agosto dall’esercito israeliano e il conseguente assalto di centinaia di egiziani alla sede dell’ambasciata dello Stato ebraico al Cairo. Eppure nonostante le relazioni fredde, Israele non si augura un cambiamento in Egitto, ossia il successo dei rivoluzionari di piazza Tahrir che cercano di togliere il potere dalle mani dei militari e di consegnarlo ai civili. Perché teme il ridimensionamento del ruolo del Consiglio supremo delle Forze Armate (Csfa), garante dei rapporti con Tel Aviv sotto l’egida degli Stati uniti. Avviene così che l’uomo più contestato dagli egiziani, il generaleHussein Tantawi, capo del Csfa, sia il punto di riferimento principale di Israele in queste ore. Tel Aviv spera che Tantawi regga l’urto della protesta popolare. Una linea analoga a quella di dieci mesi fa, quando scommise sull’ex rais Hosni Mubarak, per il quale Netanyahu ebbe parole di elogio. Il primo esponente israeliano ad esprimersi pubblicamente sul riesplodere della rivolta in Egitto è stato ieri il ministro per la difesa interna Matan Vilnai, un ex generale. Secondo Vilnai, Tantawi starebbe «tentando di evitare il caos e di passare i poteri dai militari ai civili nel modo più ordinato possibile... ci auguriamo che riesca nel suo compito, altrimenti l’Egitto precipiterà nel caos».Un«passaggio ordinato » che sta costando la vita a decine e decine di egiziani, ma non è questa la preoccupazione delministro israeliano. Per Vilnai, il governo Netanyahu è in costante contatto con Tantawi e con il resto della giunta militare e il Csfa «non ha alcuna intenzione di rimanere al potere». Per Israele, i generali egiziani sono il pilastro a protezione degli accordi di pace di Camp David firmati dai due paesi più di trent’anni fa, ora che si prevede la vittoria elettorale del movimento dei Fratelli musulmani, assieme ad altre formazoni islamiste. «È uno scenario che ci inquieta», ha affermato Vilnai. Analoghi i commenti dei principali organi d’informazione. Secondo il quotidiano Maariv il capo di stato maggiore Benny Gantz avrebbe già messo a punto un piano di risposta ad una eventuale rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Yediot Ahronot dietro l’escalation in Egitto vede, ovviamente, la longa manus dell’Iran e il suo editorialista Steven Plocker prevede addirittura l’instaurazione in Egitto di un regime «islamico-fascista». Plocker sostiene che la «seconda rivoluzione » egiziana sarebbe stata innescata proprio dagli islamisti allo scopo di impedire lo svolgimento delle elezioni e l’avvento della democrazia. Una tesi piuttosto originale visto che tutti sanno che i Fratelli musulmani sono stati sino ad oggi i migliori alleati, di fatto, della giunta militare e che gli islamisti egiziani le elezioni le vogliono subito perché sanno che le vinceranno. Ma non tutti gli israeliani guardano con timore a quanto accade in Egitto e tifano per Tantawi. Il generale della riserva ed analista politico Nati Sharon, non crede che gli accordi di Camp David verranno annullati (i leader dei Fratelli musulmani in questi dieci mesi dalla caduta di Mubarak non hanno mai parlato di rottura delle relazioni con Israelema ne chiedono una «revisione »). Concorda l’ex capo del Mossad, Danny Yatom, che vede l’esercito egiziano «saldamente vincolato» all’aiuto degli Stati uniti e tende ad escludere la creazione di una repubblica islamica in Egitto. La situazione in Siria e in Egitto sarà martedì prossimo al centro del rapporto annuale al gabinetto di sicurezza dei capi del Mossad, dello Shin Bet (sicurezza interna) e dei servizi militari.
Per inviare la propria opinione a Giornale, Foglio, Libero, Stampa, Repubblica, Manifesto, cliccare sulle e-mail sottostanti