Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 23/11/2011, a pag. 19, la breve dal titolo "Esordio del ministro Terzi su Twitter: l'Italia sostiene le sanzioni all'Iran". Dal FOGLIO, a pag. V, l'articolo dal titolo " Così Obama gestisce la quiete apparente di Israele contro l’Iran ".
Ecco i due pezzi, preceduti dal comunicato di Fiamma Nirenstein:
Fiamma Nirenstein - " Necessario sostenere le sanzioni contro il nucelare iraniano "

Fiamma Nirenstein
Dopo che l’Aiea ha verificato in maniera definitiva che il sentiero percorro dall’Iran è quello verso l’armamento nucleare è fondamentale una decisa reazione internazionale. E’ per questo che appare oltremodo appropriato che l’Italia - come dichiarato dal Ministro Giulio Terzi di Sant’Agata - sostenga la necessità di un serio regime di sanzioni sullo stile di quello preannunciato dal Segretario di Stato Americano Hillary Clinton.
Le sanzioni devono segnalare al governo di Teheran la consapevolezza del consesso internazionale sull’aggressività delle intenzioni iraniane, non hanno lo scopo di danneggiare la popolazione, ma quello di bloccare la classe dirigente iraniana da un progetto che più volte ha dimostrato il suo bellicoso antagonismo contro l’Occidentee e contro Isreale.
Sono dunque soddisfatta delle parole del ministro decisamente contrarie al nucleare iraniano e al terrorismo internazionale, l’unica strada in grado di difendere la pace mondiale.
www.fiammanirenstein.com
La REPUBBLICA - "Esordio del ministro Terzi su Twitter: l'Italia sostiene le sanzioni all'Iran"

Giulio Terzi di Sant'Agata
ROMA - «Bisogna impedire all´Iran di avere l´arma atomica. Ed è per questo che l´Italia sostiene il piano di sanzioni economiche annunciato dall´Amministrazione statunitense». Così ieri mattina il neo-ministro degli Esteri Giulio Terzi ha esordito su Twitter. Il ministro ha scritto anche di Egitto esprimendo la sua preoccupazione: «L´Italia rispetta il processo politico in atto ma non si deve prescindere dal rispetto dei diritti umani!».
Terzi è il primo membro dell´esecutivo Monti ad aver aperto un profilo su Twitter: tra le persone che ha deciso di seguire sul sito di microblogging ci sono solo due politici, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e l´ex ministro degli Esteri Franco Frattini.
Il FOGLIO - " Così Obama gestisce la quiete apparente di Israele contro l’Iran"

Barack Obama
Roma. “Col senno di poi, fu l’asettica quiete degli israeliani a confonderci”. Samuel Lewis, ambasciatore americano presso Israele dal 1977 al 1985, attribuisce alla segretezza di Menachem Begin la realizzazione dello strike a sorpresa con cui il 7 giugno del 1981 l’aviazione israeliana distrusse il reattore nucleare iracheno Osirak. Quel blitz è tornato sulle pagine dei giornali perché per molti Israele sta pensando a una missione simile per colpire i siti nucleari dell’Iran. Qualche settimana fa, complice il report dell’Aiea sull’avanzamento del programma atomico degli ayatollah, sembrava una questione di giorni, Israele era pronto, ma poi i fari dei media si sono spenti – esattamente come accadde nell’autunno del 1980 quando nel mirino c’era la Bomba di Saddam Hussein. Il 30 settembre gli iraniani avevano danneggiato il sito a 25 chilometri da Baghdad e tra gli analisti si era diffusa la sensazione che il governo Begin avesse congelato i piani militari. Nel pomeriggio del 7 giugno, gli F16 di Tsahal misero fine alle ambizioni nucleari irachene. “In realtà non fui sorpreso dall’attacco – ricorda Lewis – Mi sentii infastidito: avevamo scambiato la calma degli israeliani per immobilità e ne pagavamo le conseguenze”. Le parole dell’ambasciatore suonano come un monito all’Amministrazione Obama, che pure ha deciso di tenere una linea dura contro l’Iran: è stata consegnata al Pentagono una commessa delle bombe più potenti al mondo per colpire i bunker (queste vanno più in profondità rispetto a quelle vendute a Israele); il presidente, Barack Obama, ha detto che tutte le opzioni sono sul tavolo, compresa quella militare; in concerto con Regno Unito e Canada, gli Stati Uniti hanno deciso una nuova – e pesante – tornata di sanzioni contro il regime di Teheran. Sulle intenzioni di Israele invece non si sa molto, e Lewis ripercorre il blitz di Osirak per cercare di ottenere indizi validi oggi. Tra il 1977 e il 1980 i ministri degli Esteri, Moshe Dayan e Yitzhak Shamir, s’incontrarono più volte con l’ambasciatore americano e con il dipartimento di stato per realizzare un’azione concertata. Nel deserto del Negev fu realizzato un modello in scala del reattore iracheno su cui testare la potenza di fuoco dell’aviazione. “In quel periodo gli israeliani erano assai loquaci – ricorda Lewis – Begin provava a convincerci della soluzione militare e molti dei colloqui riservati finivano sui giornali. Ma nell’estate del 1980 avvertì l’Amministrazione Reagan dei pericoli connessi al bombardamento e sull’intero progetto cadde improvvisamente il silenzio”. Le comunicazioni con il Pentagono si interruppero e nell’ottobre del 1980 il Consiglio dei ministri israeliano conferì luce verde all’“Operazione Opera”. “Durante l’inverno l’intelligence stabilì che i danni inferti dall’esercito iraniano sarebbero stati riparati nel giro di poche settimane e, seppure conscio della ritrosia di Reagan, Begin optò per l’attacco”. Quando i caccia israeliani passarono sullo spazio aereo giordano, Lewis fu costretto a spiegare al segretario di stato, Alexander Haig, il perché di un’analisi sbagliata. “Mai come allora rimpiansi di non aver dato l’allarme”. Per alcuni mesi le relazioni bilaterali si fecero gelide. La situazione tornò poi alla normalità, ma “l’Operazione Opera ci ha insegnato a non fidarci più della quiete di Gerusalemme”, ci dice Lewis. Obama ha incaricato i consiglieri per la Sicurezza nazionale di rimanere in costante contatto con i colleghi israeliani. E forse in uno di questi colloqui è stato deciso il possibile sabotaggio avvenuto lo scorso 12 novembre all’interno della base di Bidganeh, in Iran. Fonti americane riservate riferiscono al Foglio della possibilità che a provocare le esplosioni in cui ha perso la vita il generale Hassan Moghaddam possa essere stato un virus molto simile allo Stuxnet, che nel 2010 ha colpito la centrale di Natanz. Non può essere un caso – fanno notare – che la testata del missile Sejil 2 sia deflagrata mentre Moghaddam ne stava illustrando le capacità balistiche con una simulazione realizzata al computer. La manomissione del sistema di controllo informatico potrebbe essere stata approvata anche dagli Stati Uniti.
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