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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero - Il Giornale - La Stampa - Il Manifesto Rassegna Stampa
22.11.2011 Egitto, da dittatura laica a teocrazia stile Iran. Altro che 'primavera'.
Commenti di Carlo Panella, Gian Micalessin, Michele Giorgio. Intervista di Maurizio Molinari a Robert Springborg

Testata:Libero - Il Giornale - La Stampa - Il Manifesto
Autore: Carlo Panella - Gian Micalessin - Maurizio Molinari - Michele Giorgio
Titolo: «Governo in fuga e 40 morti. Ma che primavera d’Egitto... - Basta balle sulla Primavera. Più che rivolta fu vero golpe - Le forze armate devono cedere o saranno travolte»

Egitto, continuano le manifestazioni a Piazza Tahrir. Tutti i quotidiani italiani di oggi danno ampio rilievo alla notizia. Segnaliamo (ma non riportiamo) i commenti di Vittorio Emanuele Parsi (La Stampa), Franco Venturini (Corriere della Sera), l'analisi non firmata sulla prima pagina del Foglio.

Riportiamo da LIBERO di oggi, 22/11/2011, a pag. 16, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Governo in fuga e 40 morti. Ma che primavera d’Egitto... ". Dal GIORNALE, a pag. 15, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " Basta balle sulla Primavera. Più che rivolta fu vero golpe ". Dalla STAMPA, a pag. 15, l'intervista di Maurizio Molinari a  Robert Springborg, ex direttore dell’American Research Center del Cairo, dal titolo " Le forze armate devono cedere o saranno travolte ". Dal MANIFESTO, a pag. 2, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " L’esito della seconda rivoluzione egiziana è nelle mani dei Fratelli musulmani ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

LIBERO - Carlo Panella : "  Governo in fuga e 40 morti. Ma che primavera d’Egitto..."


Carlo Panella

Come Mubarak, peggio di Mubarak: i generali egiziani hanno deciso di dare un messaggio di sangue alla vigilia delle elezioni del 28 novembre e da tre giorni martellano di cariche e proiettili i manifestanti di piazza Tahrir. Il bilancio è terribile, con 40 morti e quasi 2.000 feriti, tanto che gli ospedali emettono comunicati disperati in cui avvisano di non disporre più di sangue per le trasfusioni. I fatti: 35 partiti politici egiziani venerdì scorso hanno organizzato una manifestazione a piazza Tahrir per chiedere la liberazione delle centinaia di prigionieri politici e per contestare il progetto del feldmarsciallo Hussein Tantawi - il nuovo raìs, capo del Consiglio Supremo delle Forze Armate che governa il paese - di introdurre norme nella Costituzione che assegnino ai generali un potere politico insindacabile e superiore a quello del Parlamento e del governo. La manifestazione non era oceanica, circa 50.000 i convenuti, ed era caratterizzata da una netta predominanza dei partiti islamisti, a iniziare dal Partito Libertà e Giustizia (braccio politico dei Fratelli Musulmani), con una presenza minoritaria dei movimenti laici (ma erano presenti anche i copti del movimento Maspero). In piazza si è visto di tutto, compreso l’islamista Abdel el Zummor, che era stato condannato a 30 anni di carcere per l’assassinio del presidente Sadat e persino Abu Omar (l’imam della extraordinary rendition della Cia a Milano), tanto che su cinque palchi, quattro erano monopolizzati dagli islamisti. Sabato pomeriggio e poi con furore domenica e ieri, le forze speciali hanno però iniziato a effettuare cariche, a sparare sulla folla e a fare strage, per poi ritirarsi dopo una decina di minuti, come testimonia l’invia - to del Foglio Daniele Raineri, uno dei pochi giornalisti occidentali sul posto. Una strategia mirata non a sgomberare piazza Tharir, ma a massacrare i manifestanti, col chiaro intento di “dare una lezione”, di provocare (questo il senso dell’arresto di Bouthaina Kamel, l’unica donna candidata alle elezioni presidenziali), col risultato che gli incidenti si sono protratti per giorni, si sono estesi alle strade vicine e si sono spostati davanti alla sede del ministero degli Interni. Una strategia micidiale, alla deliberata ricerca della strage, che ha spinto prima Emad Abu Ghazi, il ministro della Cultura (ex marito di Bouthaina Kamel) alle dimissioni per protesta, e poi l’intero governo diretto da Essam Sharaf a rimettere il mandato nelle mani del Consiglio militare. Cosa già avvenuta il 10 settembre scorso, in occasione dell’attacco all’ambasciata israeliana, ma all’epoca il Consiglio aveva rifiutato di accogliere le dimissioni. In un primo momento ieri era circolata la notizia che il governo fosse caduto definitivamente, salvo poi essere smentita dalla tv pubblica. Nessuna decisione sarebbe stata ancora presa dai militari quindi. Incidenti gravi si sono avuti anche ad Alessandria e a Suez. Sul piano politico questa strage mette definitivamente in luce le caratteristiche del quadro politico egiziano e smentisce le illazioni circa lo spazio egemonico che islamisti e Fratelli Musulmani avrebbero consolidato nel post Mubarak. La realtà è che il movimento dello scorso febbraio era tanto imponente quanto completamente privo di direzione politica, di capacità di sostituire con una nuova leadership gli uomini del regime. I generali, a iniziare dal Ministro della Difesa Hussein Tantawi e con la complicità di Omar Suleiman, il braccio destro di Mubarak (oggi suo accusatore cinico e spietato), hanno allora portato a termine una operazione “stile Ceausescu”. L’intero quadro di comando militare (ma solo militare) del regime ha defenestrato Mubarak e i suoi ministri, scaricando solo su di loro tutte le colpe. Non per transitare il paese alla democrazia, ma per creare un nuovo regime. Intanto per oggi è convocata al Cairo una manifestazione per chiedere le dimissioni della giunta militare. Si prevedono scontri ancora più terribili.

Il GIORNALE - Gian Micalessin : " Basta balle sulla Primavera. Più che rivolta fu vero golpe "


Gian Micalessin

C’era una volta la rivoluzione. E i suoi cantori. Uno dei primi e più stonati fu Nichi Vendola. L’11 febbraio scorso, elettrizzato dal golpe dei militari e dalla detronizzazione di Hosni Mubarak, si lanciò in un’incontenibile elegia. «È un momento di condivisione della gioia del popolo egiziano. Diciassette giorni e tan­to sangue versato sono il prezzo di un cambiamento epocale.... cadono le te­ste dei tiranni e il Mediterraneo torna ad essere crocevia della speranza» senten­ziò il Nichi di Bari censurando «la volga­rità della classe dirigente italiana, inca­pace di esprimere anche una sola parola di solidarietà».
Nove mesi dopo eccoci qua. Mentre la piazza torna a ribellarsi i militari mostra­no il loro vero volto. Non quello di salva­tori della patria, come credeva Nichi Vendola, ma di grande casta pronta a «cambiare tutto per non cambiare nul­la ».Pronta a sacrificare con l’aiuto e la s­o­lidarietà di Barak Obama l’ingombrante Hosni Mubarak per sostituirvi il potere opaco e invisibile dei propri generali. Ma il Nichi nazionale è buona compa­gnia. Alla grande illusione della prima­vera araba ha contribuito tutta la sini­stra. Dai suoi leader ai suoi militanti, fi­no ai suoi profeti nazionali e internazio­nali. Basta ricordare il sorridente Pier Luigi Bersani che lo scorso luglio stringe la mano ai campeggiatori di Piazza Tahrir. Oppure Sean Penn volto simbo­lo del movimento progressista interna­zionale volato anche lui il 30 settembre nella stessa piazza per ricordarci che «tutto il mondo deve trarre ispirazione dalla richiesta di libertà e coraggio del­l’Egitto ». Invito preceduto il 24 agosto da un articolo sull’Espresso di Massimo Cacciari in cui si vaticina per l’Italia non un governo dei professori, ma una rivo­luzione in stile egiziano. «Ricercatori, laureati, nuove professioni, free lance: milioni di giovani sono oggi da noi, e non solo in Italia, fuori da caste e palazzi. C’è da credere o temere che la loro pa­zienza sia ai limiti, come lo era quella dei loro colleghi maghrebini e egiziani. Co­me i loro colleghi d’oltre mare, si ricono­sceranno e si convocheranno attraverso le loro reti, le loro strade immateriali». Purtroppo d’immateriale in Egitto c’è so­lo la rivoluzione. Per capirlo bastava squarciare il velo di banalità regalatoci da chi celebrava una rivolta cresciuta sulle ali di internet e Faceboock. Quella rivolta era solo l’illusione di sparuti grop­puscoli di liberali e democratici divisi e numericamente inconsistenti. Groppu­scoli gu­idati da personaggi ancor più irri­levanti a livello di consenso popolare co­me l’ex presidente dell’Aiea Moham­med El Baradei o Amr Moussa, un ex mi­nistro protagoniste di troppe foto ricor­do al fianco di Hosni Mubarak, Ben Ali e Muhammar Gheddafi. Eppure le anime belle della nostra sinistra continuavano ad attribuire a quel marasma diviso e in­coerente la capacità di regalare all’Egit­to democrazia e progresso. E con la stes­sa spocchia liquidavano come fole isla­mofobiche i suggerimenti di chi avverti­va che dietro l’esile punta di lancia libe­ral­e si muoveva il ben più coeso e inqua­drato movimento dei Fratelli Musulma­ni.
I generali egiziani possono ora ringra­ziare l­a miopia di tutte queste anime bel-ledellasinistra occidentale. Grazieachi s’illudeva che il loro non fosse un golpe, ma un semplice calar di brache, hanno avuto 9 mesi di tempo per giocare impu­nemente tutte le loro cartucce. Prima hanno civettato con i Fratelli Musulma­ni illudendoli di voler spartire con loro, unica grande forza concorrente, il pote­re. Poi quando i salafiti lasciati liberi di agire dai servizi di sicurezza hanno inco­minciato ad attaccare i quartieri cristia­ni e inneggiare alla sharia hanno allun­gato una mano ai terrorizzati leader dei groppuscoli liberali. E approfittando delle loro paure hanno patteggiato un accordo sulla costituzione capace di pre­servare la tradizionale egemonia del­l’esercito sulla politica. E così mentre la grande scena progressista internaziona­le co­ntinua a cullarsi nel mito della rivol­ta liberale, dei militari buoni e dei musul­mani moderati la scena egiziana mostra la sua autentica immagine. Quello di una spietata lotta per il potere dove le ele­zioni, se mai si faranno, saranno solo un intermezzo verso il sanguinoso regola­mento di conti finale tra i fratelli musul­mani e i generali. Quello di un paese tra­sformatosi dopo la caduta di Hosni Mu­b­arak in un campo di battaglia su cui nes­suno è più in grado né d’imporsi, né di
governare.

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Le forze armate devono cedere o saranno travolte "


Maurizio Molinari, Robert Springborg

La gente è scesa in piazza in Egitto perché i generali vogliono ipotecare la transizione democratica»: a sostenerlo è l’arabista Robert Springborg, ex direttore dell’American Research Center del Cairo oggi docente alla scuola internazionale della Us Navy a Monterey in California.

Quale è la genesi dei gravi scontri in corso a Piazza Tahrir?

«La violenza nasce dal fatto che gente sta protestando contro i militari perché i generali che lo governano dalla caduta di Mubarak tentano di porre dei precisi limiti alla transizione verso un sistema democratico basato sulla volontà popolare».

Di quali limiti si tratta?

«I generali sono al potere in Egitto dal 1952 e sanno che al termine della transizione in corso dovranno cederlo per la prima volta ai civili. Per questo tentano adesso di imporre condizioni ovvero di ottenere la garanzia che il controllo dell’esercito, del bilancio militare e delle scelte sulle questioni inerenti alla sicurezza nazionale resteranno nelle saldamente loro mani».

Quali sono state le conseguenze di tale richiesta?

«Ha fatto saltare l’intesa di facciata fra militari e islamisti frutto della caduta di Hosni Mubarak. I Fratelli musulmani non vogliono dare tali assicurazioni ai militari e sono stati i primi a iniziare le proteste, a cui adesso si stanno unendo anche le componenti più laiche della società egiziana».

Quanto è forte l’intesa fra le due anime della protesta?

«Gli errori commessi dai generali sono riusciti a unificare islamici e laici perché le diverse forze politiche hanno in comune la volontà di andare alle urne al più presto, votare ed eleggere chi governerà il Paese nei prossimi anni».

Come finirà il braccio di ferro a Piazza Tahrir?

«I generali dovranno fare un passo indietro perché sanno bene che se la transizione democratica dovesse fallire sarebbero loro i primi a essere travolti dalle manifestazioni popolari. L’unica garanzia di sopravvivenza che i militari hanno è legata al successo della transizione che inizierà la prossima settimana con la prima fase delle elezioni per il nuovo Parlamento nazionale. Se dunque dovessero decidere di andare allo scontro con la piazza potrebbero avere una vittoria di breve durata perché in poche settimane diventerebbero l’obiettivo delle stesso tipo di manifestazioni che travolsero il regime di Hosni Mubarak».

Ciò significa che i militari devono rinunciare a conservare il controllo dell’esercito?

«È un esito inevitabile. I generali hanno solo due scenari davanti: essere parte integrante della transizione verso una democrazia compiuta, subendo il conseguente ridimensionamento della loro influenza politica, oppure venirne letteralmente spazzati via, aprendo il campo a un Egitto dominato dai Fratelli musulmani, dagli islamici».

Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " L’esito della seconda rivoluzione egiziana è nelle mani dei Fratelli musulmani "


Michele Giorgio           Fratelli Musulmani

L'articolo di Michele Giorgio ha il pregio di essere l'unico a specificare in maniera chiara e lineare che, scappati i militari, in Egitto arriveranno gli islamisti. Ma l'evoluzione islamista dell'Egitto viene definita 'la chiave del successo' della rivoluzione egiziana. Niente di più diverso dal vero. Gli egiziani, con i Fratelli Musulmani, passeranno dalla padella alla brace. Da una dittatura laica a una teocrazia stile Iran. Non è proprio possibile definire 'successo' questa metamorfosi, nè leggerla in chiave 'democratica'.
D'altra parte questa è la linea del comunista MANIFESTO, dimentico persino di quella che definivano ideologia 'laica'. oggi trasformata in teocrazia. Che fine !
Ecco il pezzo:

È nelle mani dei Fratelli musulmani, e delle altre formazioni islamiste, la chiave del successo di una possibile «seconda rivoluzione» egiziana, volta a portare a compimento la prima, del 25 gennaio, contro Hosni Mubarak e far cadere il regime, oggi rappresentato dall’alleanza tra il Consiglio supremo delle Forze Armate e l’establishment economico che tiene strette nelle sue mani le redini del Paese. I Fm- che i sondaggi indicano come il partito di maggioranza relativa che uscirà dalle elezioni che cominciano il 28 novembre (se confermate) - hanno annunciato che parteciperanno oggi pomeriggio alla «marcia del milione » alla quale aderiscono decine di forze politiche e dimovimenti di ogni colore.Ma quale sarà il loro atteggiamento verso il Consiglio Supremo delle Forze Armate (Csfa) resta l’interrogativo che si pongono in tanti. Si uniranno concretamente alla testuggine che stanno mettendo insieme tante anime della rivoluzione del 25 gennaio per scardinare l’intransigenza dei generali del Csfa? Sceglieranno senza ambiguità la piazza per impedire ai militari di ritagliarsi, anche a costo di tante vite umane, il potere di ultima parola nell’Egitto che attende un nuovo Parlamento, un nuovo Presidente e una nuova Costituzione? Già durante la rivoluzione del 25 gennaio i Fratelli musulmani mantennero per diversi giorni un atteggiamento prudente, ai limiti dell’ambiguità, nei confronti della rivolta che cresceva in piazza Tahrir. Alla ricerca della legalizzazione da parte delle autorità, furono tra quelle formazioni che accettarono di dialogare con il vice presidente Omar Suleiman, incaricato da Mubarak di avviare colloqui con quell’«opposizione decorativa» che di fatto gli reggeva il gioco da anni. Poi, spinti dai loro giovani, dalla loro base, i leader del principale movimento islamista egiziano non poterono fare a meno di aderire pienamente alla rivolta che l’11 febbraio costrinseMubarak a lasciare il potere e il Cairo.Oggi la presenza massiccia, compatta di centinaia dimigliaia di attivisti e simpatizzanti dei Fm darebbe il colpo del ko ai militari che in questi mesi hanno fatto spesso affidamento proprio sugli islamisti per mantenere la pace sociale e frustrare le ambizioni di reale cambiamento dei rivoluzionari laici.Ma pochi credono che i Fmsi spingano fino a tanto. «È difficile che gli islamisti più moderati scelgano la strada del confronto aperto con i militari che li hanno aiutati non poco», spiega Hani Shukrallah, direttore del sito online del quotidiano al Ahram. La guida Mohammed Badei e i dirigenti dei Fm egiziani valutano varie opzioni. Da un lato sarebbero avvantaggiati, e non poco, da un rapido passaggio dei poteri ai civili e dal ritiro dei «principi sovra-costituzionali». I generali dello Csfa infatti vogliono darsi il diritto di ultima parola e la facoltà di respingere gli articoli della nuova costituzione qualora fossero in contraddizione con la carta da loro emanata lo scorso marzo.Dall’altro lato una seconda rivoluzione finirebbe per allontanare la conquista del potere politico che i Fmvedono a portata di mano, subito dopo le elezioni. Se, assiemealle altre forze islamiste, riusciranno a conquistare la maggioranza della nuova Assemblea del popolo (Camera bassa), i Fratelli musulmani potranno scrivere la nuova Costituzione con articoli più aderenti ai principi religiosi. Sarebbe un traguardo eccezionale se si pensa che appena un anno fa, gli islamisti egiziani erano persequitati, tenuti sotto pressione e privati del diritto di partecipare alle elezioni con un loro partito. Ecco perché Mohamed Badei esita a dare pieno appoggio a chi, anche nella base del suo movimento, chiede, come a gennaio, «la caduta del regime». Ai Fratelli appare più allettante, e meno rischiosa, la richiesta, comune a gran parte delle forze politiche, della formazione immediata di un governo di salvezza nazionale per gestire la fase di transizione. Troppa cautela potrebbe però esporre Badei alle critiche dei leader salafiti più radicali, che accusano la Fratellanza di guardare troppo al conseguimento di traguardi politici immediati e troppo poco a una sollevazione popolare che, nei loro disegni, dovrebbe fare dell’Egitto un vero paese islamico.

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