martedi` 13 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Libero - Il Giornale - Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.11.2011 Aggiornamenti sul nucleare iraniano. Nessuna opzione è esclusa
Cronache e commenti di Carlo Panella, Vittorio Dan Segre, Redazione del Foglio, Massimo Gaggi, Guido Olimpio

Testata:Libero - Il Giornale - Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Carlo Panella - Vittorio Dan Segre - Redazione del Foglio - Massimo Gaggi - Guido Olimpio
Titolo: «Gli altri parlano, Israele è già in guerra con l’Iran - Perchè a Israele il blitz non conviene - Khamenei sta scippando il dossier nucleare ad Ahmadinejad - Iran, ipotesi azione militare Usa e Gb: Nulla è escluso - Morto 'l'uomo dei missili'. Spunta l'omb»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 15/11/2011, a pag. 19, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Gli altri parlano, Israele è già in guerra con l’Iran ". Dal GIORNALE, a pag. 17, l'articolo di Vittorio Dan Segre dal titolo " Perchè a Israele il blitz non conviene ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Khamenei sta scippando il dossier nucleare ad Ahmadinejad ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 18, gli articoli di Massimo Gaggi e Guido Olimpio titolati " Iran, ipotesi azione militare Usa e Gb: Nulla è escluso " e " Morto 'l'uomo dei missili'. Spunta l'ombra del Mossad ".
Ecco i pezzi:

LIBERO - Carlo Panella : " Gli altri parlano, Israele è già in guerra con l’Iran"


Carlo Panella

Non il Fato, ma Israele, anzi, il Mossad, è il vero responsabile della devastante esplosione di sabato scorso nella base dei Pasdaran, di Bigdaneh in cui si armano i missili Shebab, in grado di raggiungere Israele. Questa è la clamorosa rivelazione del Time, che cita fonti dell’intelligence occidentale, certe di questa versione dolosa, confermata peraltro da varie circostanze. Innanzitutto dal fatto che nello scoppio è morto un personaggio chiave dei Pasdaran, il generale Hassan Moghadam, noto come «padre degli Shebab», che ha fondato 25 anni fa le forze balistiche iraniane, che era responsabile delle ricerche industriali militari e organizzato le squadre dei Pasdaran addette ai missili. Se fosse vera la versione ufficiale di un incidente avvenuto durante il trasporto di materiale esplosivo, la morte del generale rimarrebbe inspiegata. È infatti evidente che un personaggio di tale levatura e responsabilità non assiste – neanche da lontano – a operazione di routine ma pericolose, mentre sicuramente può avere assistito a un lancio di missile, deflagrato appunto per sabotaggio. Comunque sia, è certo che la perdita del generale Moghadam (probabile vero obbiettivo dell’esplosione) è un durissimo colpo per Teheran. La versione dell’attentato è infine suffragata dall’arresto da parte delle autorità iraniane del giornalista Hassam Fathi, capo del «politico» del quotidiano Ettelaat, con l’accusa di «avere turbato l’ordine pubblico» per avere affermato in un’intervista alla Bbc che aveva ragione Israele nel sostenere che di ben altro che di un banale incidente si era trattato. Vi è infine la certezza che Israele tenta da anni tutte le strade per rallentare il programma nucleare iraniano: l’anno scorso ha «intossicato» col virus Stuxnet ben 30.000 personal computer iraniani, inclusi quelli del personale atomico, mentre sempre a sicari del Mossad viene addebitata la responsabilità delle «strane morti» di alcuni fisici nucleari iraniani addetti al programma atomico, tutti uccisi in attentati. Certo è che Israele – in cui vivono molti ebrei di madre lingua Farsi (persiana) fuggiti da Teheran dopo il 1979 e quindi con solidi legami col Paese – ha una profonda penetrazione spionistica in Iran. Questo, anche grazie all’appoggio che da anni fornisce alla guerriglia curda del Pejak, il quale ricambia -è opinione di molti analisti - favorendo l’infiltrazione in Iran di agenti segreti israeliani attraverso il Kurdistan iracheno. L’esplosione di Bigdaneh cade in un momento di particolare tensione tra l’Iran e una comunità internazionale, che, dopo le circostanziate rivelazioni dell’ultimo rapporto dell’Aiea, non ha più spazio per farsi illusioni circa la natura civile e non militare del programma atomico iraniano. Nel rapporto Aiea, oltre a varie circostanze spiegabili solo con un programma nucleare militare, si afferma anche che proprio a Bigdaneh e in altre basi i pasdaran hanno sostituito alcune ogive dei missili Shebab con armamento tradizionale, con ogive armate di bombe atomiche. A riprova del mutamento del clima e della fine delle illusioni occidentali, ieri, il ministro degli Esteri William Hague ha affermato che l’Inghilterra «non chiede e non prepara un’azio - ne militare contro l’Iran, ma è chiaro che per il futuro tutte le opzioni restano aperte». Posizione simile a quella dell’amle - tico Barack Obama che ieri ha confermato che «nessuna opzione è esclusa», ma che ha aggiunto: «Per risolvere il nodo del nucleare iraniano la diplomazia è e resta la via privilegiata ». Privilegiata. Non unica.

Il GIORNALE - Vittorio Dan Segre : " Perchè a Israele il blitz non conviene "


Vittorio Dan Segre

Il recente rapporto dell' Agenzia Internazionale Energia Atomica firmato dal suo nuovo direttore Yukiya Amano svela un segreto di Pulcinella confermando che l'Iran ha costantemente nascosto i suoi progressi nella costruzione di un’arma nucleare. Era il segreto del precedente direttore, l'egiziano Mohamed el Baradei, premiato per questo con il Nobel concesso alla sua istituzione. Sosteneva non avere l'Agenzia prova di progetti o di intenzioni iraniani di dotarsi di arma nucleare. Ora che si cerca di chiudere la stalla dopo che il cavallo è scappato e il presidente iraniano ribadisce la volontà del suo Paese di creare la bomba, si assiste alla corsa dei media nel prevedere l'inevitabile attacco israeliano all'Iran per fermare o rallentare la sua corsa all'armamento atomico. È possibile che il governo di Gerusalemme decida di lanciarsi in quella che il penultimo capo del Mossad, Meir Dagan, ha definito «un’idea stupida» suscitando l'ira di Netanyahu di cui ha messo in dubbio il buon senso strategico. Ma Dagan non è il solo a pensare così, dal momento che un attacco israeliano contro l'Iran sarebbe un errore per cinque motivi.

1. L'Iran è vicino alla costruzione dell’atomica ma non ci è ancora arrivato. È possibile rallentare questo suo sforzo con altri mezzi (virus cibernetico che danneggia le centrifughe per la separazione del materiale nucleare, attentati contro scienziati iraniani impegnati nei laboratori atomici).

2. Un attacco israeliano senza consenso americano sarebbe difficile. Non distruggerebbe il potenziale atomico iraniano disperso e nascosto su vaste zone ben difese, difficili da colpire anche con bombe di grande potenza. L'uso di armi nucleari senza atti (non discorsi) provocativi iraniani toglierebbe a Israele il vantaggio morale e giustificherebbe una risposta (missilistica, chimica o persino nucleare) iraniana col plauso non solo del mondo islamico.

3. La bomba iraniana fa più paura ai Paesi arabi che a Israele. Non si capisce perché lo Stato ebraico dovrebbe togliere le castagne dal fuoco ai suoi vicini per trovarsi poi condannato dall'Onu e vieppiù isolato.

4. Israele ha sviluppato un sistema missilistico e anti missilistico fra i più progrediti. Il pericolo di un attacco di missili iraniani di lunga gettata è minore di quello rappresentato da missili a corto raggio di Hamas da Gaza e di Hezbollah dal Libano per il quale le difese sono ancora imperfette.

5. L'Iran non ha ancora la bomba. Israele, secondo notizie stampa, ne avrebbe diecine. Attaccando per primo, anche solo con armi convenzionali, Israele perderebbe il vantaggio di una sua risposta nucleare che in definitiva è il suo più prezioso deterrente.
La guerra psicologica è parte integrale della guerra ma le due cose non vanno confuse, anche se ai media piace farlo.

Il FOGLIO - " Khamenei sta scippando il dossier nucleare ad Ahmadinejad "


Ali Khamenei, Mahmoud Ahmadinejad

Il disfattismo del presidente
La Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, ha deciso di togliere piano piano al presidente, Mahmoud Ahmadinejad, la gestione dei dossier più delicati. Khamenei ritiene che Ahmadinejad sia troppo debole soprattutto con la Turchia, ostile a Teheran per i suoi accordi con gli Stati Uniti e per la gestione del dossier siriano: il leader supremo ha criticato la lettera di condoglianze spedita dal presidente iraniano al premier turco Erdogan, in occasione della morte della madre. L’entourage di Ahmadinejad pensa che il regime siriano sia in difficoltà e guarda al dopo. Un atteggiamento disfattista, per Khamenei. La lotta al vertice è scritta nei rapporti di intelligence e riguarda la questione nucleare: Khamenei vuole togliere ad Ahmadinejad ogni potere nel campo della produzione dell’arma atomica. La Guida Suprema punta alla sostituzione di Mohsen Fakhrizadeh, capo del programma nucleare nel ministero della Difesa e responsabile della militarizzazione degli obiettivi e quindi della trasformazione dei missili terra-terra in vettori nucleari capaci di radere al suolo Tel Aviv. Khamenei vuole che tutto ciò che concerne l’atomica iraniana sia sotto il suo controllo. E desidera che nessuno scienziato o militare coinvolto sia in qualche modo fedele ad Ahmadinejad. I due vertici iraniani puntano entrambi alla distruzione di Israele. Ma sono uno geloso dell’altro. Le loro filiere nell’intelligence, nella difesa, nelle attività all’estero si scontrano in una lotta per il potere destinata ad acuirsi sempre di più.

Una lite insanabile in medio oriente
Soddisfazione a Foggy Bottom per le posizioni molto critiche prese dalla Turchia nei confronti della Siria e dell’Iran. La Turchia, dopo un periodo di reciproci sospetti, è oggi di nuovo il grande amico degli Stati Uniti nella zona, pur avendo un ruolo ben diverso dal passato: non più fidato satellite di Washington ma forte potenza regionale, politica, economica e militare, coinvolta nel processo di democratizzazione del medio oriente. La decisione turca di permettere l’installazione di un sistema radar della Nato in chiave anti iraniana sul suo territorio ha reso felice il Pentagono. Ma ha fatto inviperire il regime iraniano. Come risulta dai rapporti dell’intelligence il più adirato contro il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, è il leader supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei. In una lettera, giunta in possesso dei servizi occidentali, Khamenei ha espresso la sua solidarietà al presidente siriano Bashar el Assad, e ha scritto che la Siria e la Repubblica islamica “devono rafforzare la loro alleanza politica e militare” in chiave anti turca, “visti i tradimenti di Erdogan”. Il messaggio di Khamenei è stato consegnato ad Assad dal generale Qassem Suleimani, il capo della Quds Force iraniana, impegnata in territorio siriano nella lotta agli antigovernativi. Khamenei vede nella Turchia di Erdogan “un nuovo impero ottomano che vuole schiacciare i popoli del medio oriente” e spiega che “Siria e Iran, assieme agli Hezbollah libanesi”, possono creare grossi guai alla Turchia, ai sauditi, a Israele e far saltare “i piani egemonici di Ankara”. Khamenei si è infuriato soprattutto quando la Turchia ha annunciato il sequestro di una nave di armi iraniane diretta in Siria. Khamenei ha consigliato ad Assad di organizzare manifestazioni contro le rappresentanze turche in Siria e di sostenere lo spostamento di separatisti curdi verso il territorio turco. La riunione degli oppositori siriani ad Antalya ha fatto imbestialire non soltanto Assad ma anche Khamenei. Insomma, a Foggy Bottom si è convinti di una forte rottura tra l’Iran e Ankara.

Le delegazioni tra Damasco e Teheran
Come confermano i diplomatici occidentali in loco, fra Damasco e Teheran vi è uno scambio continuo di delegazioni militari ad alto livello. Mouhamad Nasser Khir Beik, vicepresidente siriano responsabile della sicurezza, vede molto spesso Seied Hasan Firozabadi, il capo militare iraniano. Firozabadi, uomo di Khamenei, ha detto che il sistema radar della Nato in Turchia significa “uno schiaffo in faccia alla nazione islamica”. Anche il capo della marina di Teheran, Ali Fadvai, è sempre in contatto coi siriani. Lui e il consigliere militare di Khamenei, Yahya Rahim Safavi, sono i più agguerriti sostenitori del regime di Bashar el Assad, perché ritengono che senza un sostanzioso appoggio economico e anche militare dell’Iran il dittatore di Damasco possa infine cadere. Quindi occorre destabilizzare in qualche modo la Turchia per indebolire il fronte anti Assad in Siria.

CORRIERE della SERA - Massimo Gaggi : " Iran, ipotesi azione militare. Usa e Gb: Nulla è escluso "


Barack Obama

NEW YORK — Barack Obama non esclude la possibilità di un attacco militare per impedire all'Iran di dotarsi di armi nucleari, e tuttavia continua a sperare nell'efficacia di una raffica aggiuntiva di sanzioni internazionali, convinto che l'«embargo» fin qui adottato abbia prodotto risultati assai positivi. Ma Gran Bretagna e Germania bisticciano sul da farsi, con Londra che contempla anch'essa l'opzione militare, mentre Berlino giudica impensabile un attacco. I tedeschi sono, invece, pronti ad un inasprimento delle sanzioni. Che, però, Cina e Russia non sono disposte a concedere, nonostante le pressioni esercitate da Obama sui presidenti dei due Paesi durante il vertice Apec conclusosi ieri a Honolulu.
Il rapporto della Aiea sui tentativi del regime di Teheran di dotarsi di armi nucleari riporta l'Iran in cima ai fattori di rischio per la stabilità e la pace nel mondo. Non è detto che Israele, che minaccia un'azione militare unilaterale per tentare di distruggere centrifughe e impianti di arricchimento dell'uranio, lancerà davvero il suo attacco: un «blitz» dal cielo che alcuni esperti ipotizzano per l'inizio del 2012, mentre altri parlano addirittura di bombardamenti prima di Natale. Quella che, invece, è certamente già iniziata è la guerra delle parole, alimentata soprattutto da americani, inglesi e olandesi che non escludono il bombardamento delle installazioni nucleari iraniane. Curiosamente la Francia, che nel caso della Libia ha sempre spinto per l'intervento militare e che sull'Iran ha fatto trapelare la sua preoccupazione per l'atteggiamento di un'America che non vede sufficientemente determinata a mettere Teheran con le spalle al muro, ieri sera si è ufficialmente attestata coi tedeschi sulla linea della prudenza: «L'Iran mostra una volontà di collaborazione pari a zero», ha commentato il ministro degli Esteri di Parigi, Alain Juppé, che poi, però, ha condiviso il «no» all'attacco del suo collega tedesco Guido Westerwelle: «Un intervento militare farebbe più male che bene, trascinandoci in una spirale che poi sarebbe difficile da controllare».
Proprio l'esigenza di non apparire troppo rinunciatario ha spinto Obama a rimettere sul tavolo l'opzione militare, anche se poi ha aggiunto che per ora punta tutto sull'isolamento di Teheran. Il problema, notano molti analisti, è che le quattro ondate di sanzioni varate a partire dal 2006, per venendo accreditate dal presidente Usa come interventi di grande efficacia, non sono servite a fermare o rallentare la corsa all'armamento nucleare del regime degli ayatollah.
Qui la posizione degli Stati Uniti è resa particolarmente delicata da un paio di fattori aggiuntivi. In primo luogo l'imminente ritiro americano dall'Iraq lascerà un vuoto nell'area del Golfo che Teheran ha tutte le intenzioni (e la possibilità) di riempire. Ritirandosi, infatti, gli americani lasciano a Bagdad un regime nel quale le forze prevalenti sono quelle degli sciiti filoiraniani. Il secondo elemento di vulnerabilità è dato dal «no» di Mosca e Pechino a nuove sanzioni.
Ieri, al termine del vertice Apec, Obama si è detto fiducioso circa la possibilità di imporre all'Iran un embargo ancora più rigido con la collaborazione di russi e cinesi. In realtà, però, questo è un momento di grandi frizioni Usa-Cina sul piano commerciale, valutario e anche del confronto politico-militare in Estremo Oriente. Pechino, così, ha già chiarito che sull'Iran non concederà nulla a Washington, nemmeno un inasprimento delle sanzioni.
E, nonostante il «reset» dei rapporti Usa-Russia, nemmeno da Mosca sono venute aperture: il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ieri non solo ha escluso di poter avallare alle Nazioni Unite nuove sanzioni all'Iran, giudicando la denuncia dell'agenzia Onu per l'energia atomica (la Aiea) priva di ogni credibilità, ma ha «fatto muro» anche sulla Siria. Mosca continua a difendere con molta determinazione il regime di Assad, nonostante la decisione della Lega Araba di sospendere Damasco.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Morto 'l'uomo dei missili'. Spunta l'ombra del Mossad "

WASHINGTON — La diplomazia non trova — per ora — un accordo sulle sanzioni contro l'Iran. Israele minaccia il blitz, Usa e Gran Bretagna non lo escludono (lo hanno fatto anche ieri) ma sperano di trovare altre strade. E allora non resta che un cammino più tortuoso. La guerra delle ombre, con manovre sotterranee e segrete. Come quella che — secondo fonti diverse — ha distrutto la base iraniana di Bigdaneh vicino a Malard, a ovest della capitale. Un'esplosione che ha spazzato via Hassan Moghaddam, il responsabile dei progetti missilistici «autarchici» dell'Iran e altri 16 militari. Per la rivista americana Time — e per tanti altri — si è trattato di un atto di sabotaggio compiuto dai servizi israeliani. Le autorità, invece, hanno parlato di «incidente», anche se un anonimo funzionario ha messo le mani avanti: «Se saranno trovate tracce di un lavoro sporco dei nemici, dovremmo reagire».
Il colpo subito è comunque pesante. Moghaddam, un membro dei Pasdaran, era considerato l'artefice dei programmi missilistici del regime, in particolare quelli legati allo sviluppo di ordigni a lungo raggio da dotare — un giorno — con una testata atomica. Un settore dove l'Iran ha investito molto cercando tecnologia e aiuti all'estero: Nord Corea e Russia i principali fornitori, con l'aggiunta di «pezzi» acquisiti in Europa occidentale.
In base alle poche informazioni trapelate, un reparto dei Pasdaran stava trasferendo del materiale quando si è verificata un'esplosione, seguita da una seconda. La presenza dell'alto ufficiale tra le vittime ha fatto pensare che nella base fosse in corso qualcosa di importante. Sembra strano che un dirigente del suo livello si trovasse lì solo per assistere a operazioni di routine. Ambienti dell'intelligence ipotizzano, infatti, che la deflagrazione abbia colpito un deposito dei missili Shabab 3. E questo ovviamente apre la strada ad altre supposizioni, compresa quella del sabotaggio. L'ultimo di una lunga serie.
L'Iran è da tempo nel mirino di un conflitto non dichiarato. Sono saltati depositi di armi, si sono verificati strani incidenti e tre scienziati sono stati uccisi nella capitale da commando in motocicletta. Inoltre due virus informatici, «Stuxnet» e «Duqu», hanno «infettato» gli impianti nucleari rallentando il lavoro dei tecnici. Problemi seri che Teheran — proprio ieri — ha annunciato di essere riuscita a parare. Un alto funzionario ha sostenuto che la cyber-minaccia rappresentata da «Duqu» è stata neutralizzata.
Gli attacchi, ovviamente, non sono stati mai rivendicati ma li hanno attribuiti, nell'ordine, al Mossad israeliano, agli 007 americani e a quelli britannici. Per compierli avrebbero usato agenti infiltrati oppure membri dell'opposizione armata (beluci, arabi, curdi, nazionalisti) sostenuti dall'estero. Non mancano i mezzi e neppure la volontà. Domenica, il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak ha commentato così l'esplosione: «Speriamo che ve ne siano molte altre». E non si tratta solo di un auspicio.
Gerusalemme è certamente coinvolta nelle attività clandestine. E non da ieri. Un'offensiva che, oltre a creare danni, rende nervosa Teheran. Ad ogni evento il regime deve cercare di capire se c'è la mano degli avversari. Lo dimostra un altro caso avvenuto quasi in contemporanea con il botto. In un hotel di Dubai è stato trovato morto il figlio di Ahmad Rezai, figlio di Mohsen, storico capo dei Pasdaran negli anni '80 e figura di spicco nella panorama politico iraniano. Dicono che sarebbero emerse «circostanze sospette». Molte le domande, legate anche al luogo, snodo di traffici e avamposto dello spionaggio. Dubai è infatti il punto di transito per la tecnologia destinata all'Iran ma anche una piazza dove i mullah fanno affari. Ahmed è stato assassinato dai rivali del padre? O dagli 007 per creare altre divisioni tra i mullah? Oppure non c'è alcun dolo nella sua fine? Vedremo. Ma intanto questo dimostra come la crisi iraniana si presti a molte interpretazioni o trabocchetti. Un confronto su più livelli dove ormai non si può escludere alcuno sviluppo.

Per inviare la propria opinione a Libero, Giornale, Foglio, Corriere della Sera, cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@libero-news.eu
segreteria@ilgiornale.it
lettere@ilfoglio.it
lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT