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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
14.11.2011 Nazi del passato e neo nazi del presente
Sport e nazimo anni '30 e una banda di neo nazi oggi

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Alberto Mattioli - Andrea Tarquini
Titolo: «Sport e tragedie sotto il nazismo - Germania, in azione i killer neonazisti»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, a pag. 52, l'articolo di Alberto Mattioli dal titolo " Sport e tragedie sotto il nazismo ". Da REPUBBLICA, a pag. 25, l'articolo di Andrea Tarquini dal titolo "Germania, in azione i killer neonazisti ".
Ecco i due articoli:

La STAMPA - Alberto Mattioli : " Sport e tragedie sotto il nazismo "


La locandina della mostra 'Le sport européen à l’épreuve du nazisme'
(Parigi, Memoriale della Shoah, fino al 18 marzo 2012)

Una storia, una delle tante. Il 9 giugno 1933 (Hitler era diventato cancelliere del Reich il 30 gennaio), due pugili, Adolf Witt e Johann Trollmann, salgono sul ring per giocarsi il titolo di campione tedesco dei mediomassimi. Vince Trollmann. Ma Witt è ariano, Trollmann un sinti e infatti soprannominato «Zigeuner», lo zingaro. Quindi intervengono i rappresentanti del Comitato degli sport, infeudato al regime, che dichiarano nullo il match. Gli spettatori insorgono, fischiano la giuria, minacciano di devastare la sala. I nazisti cedono e accordano il titolo a Trollmann. Una settimana dopo, glielo tolgono. Lo «Zigeuner» ottiene di poter disputare un ultimo incontro. Si presenta con i capelli tinti di biondo e il corpo sbiancato e, invece di battersi, resta fermo in mezzo al ring. Naturalmente, gli fanno pagare la provocazione. Nel ’38, Trollmann finisce in un campo di lavoro, poi viene sterilizzato e spedito sul fronte russo. Nel ’42, a casa in licenza, viene arrestato dalla Gestapo, internato nel campo di Neuengamme e lì assassinato nel febbraio ’43.

La tragedia collettiva dello sport sotto il nazismo è fatta di tragedie individuali come questa. Adesso una mostra non colossale ma molto bella le ricostruisce al Mémorial de la Shoah di Parigi. «Le sport européen à l’épreuve du nazisme», «Lo sport europeo alla prova del nazismo» è aperta fino al 18 marzo (ma il prossimo anno andrà a Bologna) e racconta i destini degli atleti ebrei, e zingari, e omosessuali, dalle Olimpiadi di Berlino del ’36 a quelle di Londra del ’48. In mezzo, naturalmente, c’è la scelta dei regimi totalitari, per i quali lo sport è affermazione razziale e strumento di propaganda. A cominciare proprio dal fascismo, che chiama una maschia gioventù non solo a credere, obbedire e combattere, ma anche a farsi i muscoli. Seguendo l’esempio del Duce, qui ritratto come sciatore ma anche schermidore, nuotatore, giocatore di tennis, cavallerizzo e via esibendosi a favor di telecamera. Una pagina della «Tribuna illustrata» mostra l’inaugurazione dello Stadio Mussolini di Torino da parte di Starace, sportivo talmente indefesso (o anche solo fesso) da sacrificare la vita al footing: non fosse uscito di casa per fare una corsetta, non sarebbe finito a piazzale Loreto.

Ma naturalmente la mostra si concentra soprattutto sul Reich. Con i nazisti al potere, scatta subito con esclusioni e divieti la persecuzione contro gli atleti ebrei. Ma questo non impedisce alla Germania né di ottenere le Olimpiadi del ’36 (fra proteste e tentativi di boicottaggio, ma anche con complicità insospettabili e scandalose, puntualmente documentate) né di sfruttarle per una clamorosa operazione di propaganda. In effetti quelle Olimpiadi sono un grande successo. Gli organizzatori diffondono 4 milioni di dépliant e 200 mila poster in 14 lingue. Arrivano tre milioni di spettatori, con 75 mila stranieri di cui 15 mila americani. Viene introdotto per la prima volta il viaggio della torcia da Olimpia alla città scelta per i Giochi e «Olympia», il film di Leni Riefenstahl che celebra la bellezza muscolare dell’atleta ariano, resta un capolavoro. Tanto che come immagine-simbolo della mostra parigina è stata scelta la splendida fotografia di una lanciatrice del disco ebrea, immortalata a Tel Aviv nel ’37 da Liselotte Grschebina, fotografa ebrea tedesca scappata per tempo: ma l’estetica, paradossalmente, è proprio quella della Riefenstahl.

A Berlino, i nazisti impediscono di partecipare a Gretel Bergmann, che detiene il primato tedesco di salto in alto, ma ha la colpa di essere ebrea: e il suo record del ’36 le sarà ufficialmente restituito solo nel 2009. E i due coreani che arrivano primo e terzo nella Maratona sono considerati giapponesi, perché il loro Paese è occupato da Tokyo. Potranno solo, sul podio, abbassare la testa in muta protesta mentre risuona l’inno giapponese. Intanto gli ebrei organizzano in Palestina le Maccabiadi, in due edizioni, una nel ’32 e l’altra nel ’35 (con 1.350 atleti da 28 Paesi), più due Maccabiadi invernali in Polonia nel ’33 e in Cecoslovacchia nel ’36, mentre le Olimpiadi d’inverno sono ospitate dai nazisti a Garmisch.

In Europa l’esclusione diventa presto persecuzione e poi sterminio. E qui parlano i destini dei singoli. Lili Henoch, campionessa di atletica, deportata e poi assassinata nel ghetto di Riga. O Victor «Young» Perez, nato da una famiglia ebrea di Tunisi, campione di Francia di pugilato, deportato ad Auschwitz dove vince una gara contro un peso massimo ariano, riesce a sopravvivere fino allo sgombero del campo e poi viene falciato durante la marcia della morte che segue. C’è anche un pugile italiano, Lazzaro Anticoli, detto «Bucefalo», finito alle Fosse Ardeatine a 27 anni.

Altre storie hanno un lieto fine. Come quella di Alfred Nakache, campione di nuoto francese, deportato ad Auschwitz insieme alla moglie Paule e alla figlia Anne, subito assassinate. Lui diventa «il nuotatore di Auschwitz»: obbligato a nuotare in un bacino d’acqua gelida e a tuffarsi per raccogliere pietre sul fondo, riesce a sopravvivere, a testimoniare e anche a partecipare alle Olimpiadi del ’48.

E poi c’è il tedesco Carl Ludwig «Luz» Long, studente di Medicina a Lipsia, ariano «perfetto», biondo con gli occhi azzurri, battuto a Berlino nel salto in lungo dal fenomeno Jesse Owens. E che, invece di ignorare il nero subumano, lo acclama, gli alza il braccio in segno di trionfo e ne diventa amico. Imperdonabile, agli occhi del regime: Long viene escluso dalle liste degli sportivi esentati dal servizio militare e arruolato. Ma continua a scrivere a Owens. L’ultima lettera è del luglio ’43: «Dopo la guerra, va in Germania, ritrova mio figlio a parlagli di suo padre. Parlagli dell’epoca in cui la guerra non ci separava e digli che le cose possono essere diverse fra gli uomini su questa terra. Tuo fratello, Luz». Long cadde a Cassino il 14 luglio 1943. Aveva trent’anni.

La REPUBBLICA - Andrea Tarquini : " Germania, in azione i killer neonazisti"


Beate Zschaepe, Uwe Mundlos, Uwe Boernhard

BERLINO - Per tredici anni hanno vissuto alla macchia, hanno ucciso almeno nove stranieri e una poliziotta. Odiavano i migranti e l´ordine democratico, il loro mito era il Terzo Reich. E in un giuramento registrato su un Dvd si erano impegnati a uccidersi, se scoperti. Un partito armato neonazista è il nuovo incubo che fa tremare la Germania. Di terrorismo di estrema destra parla apertamente il ministro dell´Interno Hans-Peter Friedrich, la stessa cancelliera Angela Merkel si dice allarmata. Ma i media lanciano gravi accuse: da anni i servizi segreti per l´interno sapevano del gruppo, e non si capisce se abbiano sottovalutato la minaccia o, addirittura, fornito loro passaporti falsi.
Il trio infernale veniva dall´est, dalla Turingia. Uwe Mundlos, Uwe Boernhard e una ragazza, Beate Zschaepe, formavano il gruppo di fuoco. Hanno avuto il sostegno di più fiancheggiatori. Come Holger G., 37enne turingiano ma vivente a Hannover, che gli forniva i camper per vivere quasi alla macchia. O giovani ultrà della Kameradschaft Jena, e della Thueringer Heimatschutz, un´associazione di vigilantes volontari. Torna la paura, ricorda quella degli "anni di piombo", i terribili Settanta in cui la Rote Armee Fraktion, meglio nota come Banda Baader-Meinhof (il terrorismo rosso) seminò il terrore, e fu sconfitta solo dalla linea della fermezza del cancelliere Helmut Schmidt. Adesso, l´attacco al cuore dello Stato parte dalla galassia neonazista, da una "Braune Armee Fraktion" come titola Der Spiegel.
Rete clandestina nazionalsocialista, si chiamava il gruppo. In un Dvd ha rivendicato anni di crimini, compiuti con corse folle con i camper prestati da un capo all´altro della Repubblica federale. «Il nostro motto è azioni e non più parole, finché la situazione non cambierà le attività proseguiranno». Il Dvd continua con scene macabre: «Oggi azione Doener», «nono turco ammazzato». Furono loro, Beate e i due Uwe, a uccidere la poliziotta 22enne Michèle Kiesewetter, troppo attiva nella lotta ai neonazisti, furono loro a uccidere otto turchi e un piccolo imprenditore greco. «Se verremo scoperti, ci toglieremo la vita», giurarono i tre nel video.
Così è finita. Per finanziare il partito armato, i due Uwe, incappucciati e armati, avevano rapinato una banca a Eisenach, in Turingia. Fuggirono in bicicletta verso il loro camper-nascondiglio, ma scoperti da una volante, hanno dato alle fiamme il veicolo e si sono uccisi sparandosi a vicenda. Beate, che era rimasta nell´appartamento in cui vivevano in ménage-à-trois, non se l´è sentita di eseguire tutti gli ordini. Ha provato a dare alle fiamme la casa, poi si è consegnata alla polizia. Nel locale, c´erano tutti i loro video di propaganda, pistole, granate, un fucile a pompa.
Beate Zschaepe è l´unica sopravvissuta, e come testimone-chiave tenta il patteggiamento con la giustizia in cambio della confessione. «Li abbiamo sottovalutati troppo a lungo, i servizi sono investiti dallo scandalo», dicono alti esponenti democristiani, «questi giovani pensavano a una lotta organizzata a livello militare». In nome dei miti hitleriani, 66 anni dopo la disfatta del Reich.

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