Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 10/11/2011, a pag. 41, l'articolo di Lucio Caracciolo dal titolo "Ora con Teheran un vero negoziato". Dalla STAMPA, a pag. 24, l'intervista di Andrea Malaguti a Scott Lucas dal titolo " Ma nel testo degli ispettori non c’è alcuna pistola fumante ". Dal MANIFESTO, a pag. 1-7, l'articolo di Tommaso Di Francesco dal titolo " Venti di guerra. Rischio atomica. Tutti contro l'Iran ".
Ecco gli articoli, preceduti dai nostri commenti :
La REPUBBLICA - Lucio Caracciolo : " Ora con Teheran un vero negoziato"

Lucio Caracciolo
Lucio Caracciolo dà per scontato che Israele sia pronto ad attaccare l'Iran. In realtà l'opzione militare è ancora in discussione. Ciò che sta facendo Israele è, semplicemente, prepararsi a difendersi.
Nel corso dell'articolo, Caracciolo elenca tutte le possibili conseguenze negative per Israele, l'Occidente e il Medio Oriente qualora si decidesse di attaccare l'Iran. La soluzione sarebbe quella di inasprire le sanzioni contro l'Iran e intavolare un negoziato. Ma è ciò che ha provato a fare Obama negli ultimi mesi, tendere la mano all'Iran, dichiararsi favorevole al dialogo, inasprire le sanzioni. Quali sono stati i risultati? Che Mahmoud Ahmadinejad ha continuato a lavorare indisturbato al suo programma nucleare. Senza contare che, per quanto riguarda le sanzioni, c'è da calcolare anche l'opposizione di Russia e Cina alla loro applicazione.
Ecco il pezzo:
Israele è pronto alla guerra preventiva contro l´Iran per impedirgli di dotarsi dell´arma atomica. Non è più questione di voci o di rivelazioni informali, è dibattito pubblico nello Stato ebraico e nel mondo. Specie dopo che l´ultimo rapporto dell´Agenzia Internazionale per l´Energia Atomica ha sostanziato e circostanziato i sospetti sull´obiettivo recondito del programma nucleare di Teheran: costruire la Bomba.
Prima di trovarsi di fronte al fatto compiuto e irreversibile di uno scontro armato nel cuore del Medio Oriente, è utile porsi tre domande. Che grado di certezza abbiamo che i persiani stiano davvero producendo un arsenale atomico? Quanto minaccioso sarebbe il progetto iraniano per Israele e per il mondo? Quanto pericoloso sarebbe l´attacco israeliano per l´Iran e per il mondo?
Sul primo quesito, alziamo le mani. Non avremo mai una risposta certa, almeno finché l´Iran sarà uno Stato sovrano in grado di proteggere i propri segreti. Ma le intelligence arabe e occidentali convergono nell´accreditare lo stato piuttosto avanzato del progetto atomico iraniano, in termini di know how, tecnologie e materiali necessari a battezzare l´arma estrema. La differenza, non irrilevante, è sui tempi (molti mesi o pochi anni) necessari al regime di Teheran per disporre del primo ordigno, base di un più vasto e spendibile arsenale. In questo caso non contano dunque i fatti certificabili, ma la ragionevole sicurezza - categoria soggettiva - che i fatti stiano in un certo modo. In Israele e non solo, l´opinione dominante è che il rischio di un Iran atomico sia effettivo, probabilmente imminente. In Arabia Saudita, arcirivale geopolitico, energetico e religioso dell´Iran - e per conseguenza paradossale alleato dello Stato ebraico in questa partita - la psicosi da Bomba persiana è financo più acuta. Mentre negli Stati Uniti, potenza protettrice di Gerusalemme, l´approccio è più conservativo, anche se gli allarmisti guadagnano terreno.
Un fattore decisivo ma quasi imperscrutabile riguarda il fronte politico iraniano. Lo scontro fra la Guida Suprema Ali Khamenei e il presidente Mahmud Ahmadinejad - agli occhi del primo un eretico, accomodante con l´America, dunque traditore - è al calor bianco. Nei prossimi mesi assisteremo alla resa dei conti ai vertici della Repubblica Islamica, anche in vista dell´elezione del successore di Ahmadinejad.
Quanto alla seconda domanda, in apparenza la risposta è lampante: l´arsenale nucleare di Teheran sarebbe una minaccia esistenziale per Israele, un pericolo per tutta la regione e per il mondo. A uno sguardo meno superficiale, questo giudizio si rivela semplicistico. Nessun paese dotato di bombe atomiche - Israele incluso - le ha finora mai impiegate, salvo gli Stati Uniti nel 1945. Sarebbe stupido inferirne che non sarà mai così. Ma gli stessi leader israeliani, compresi coloro che favoriscono l´ipotesi di un attacco preventivo ai siti nucleari persiani, sono consapevoli che l´Iran non ha una vocazione suicida. Nel momento in cui, in un atto di suprema follia, Teheran lanciasse dei missili con testata atomica su Tel Aviv, avrebbe la certezza di venire vetrificata nel giro di minuti dalla replica dei missili nucleari israeliani lanciati dai sottomarini Dolphin e da una copiosa rappresaglia atomica americana, se non atlantica.
La questione non è quindi riducibile all´aspetto militare. Il sottotesto decisivo è geopolitico. Ammettendo che l´Iran produca nel tempo bombe e vettori in quantità sufficiente da dotarsi di una credibilità nucleare paragonabile a quella dei vicini pachistano, russo o israeliano, il suo rango nella regione e nel mondo ne verrebbe notevolmente innalzato. Teheran si affermerebbe come egemone nel Golfo e in Asia occidentale, con grande scorno non solo di Israele e degli occidentali, ma soprattutto dell´Arabia Saudita, degli altri Stati arabi e del Pakistan. Si scatenerebbe la corsa regionale all´atomica. In prima linea Turchia, Egitto e Arabia Saudita, forse altri attori minori. Una proliferazione che renderebbe assai labile il paradigma della deterrenza e più concreta l´alea della catastrofe atomica anche solo accidentale.
Alla terza domanda si può replicare con le parole dell´ex capo del Mossad, Meir Dagan, che ha bollato i piani di attacco israeliani agli impianti nucleari persiani come "follia". Nell´establishment politico-militare di Gerusalemme è in atto un confronto non meno virulento di quello che divide le élite iraniane. In compenso, è largamente pubblico. Il premier Netanyahu e il ministro della Difesa Barak - cui di recente si è aggiunto il ministro degli Esteri Lieberman - sarebbero pronti a sferrare l´attacco nei prossimi mesi. Buona parte dei generali e soprattutto del Mossad dubita alquanto della convenienza e dell´utilità di bombardare l´Iran. La più che probabile rappresaglia iraniana si materializzerebbe in una pioggia di missili forse anche con testate chimiche, di attentati terroristici e di contromisure (blocco dello Stretto di Hormuz, da cui transita gran parte degli idrocarburi diretti ai paesi sviluppati), con rischio di guerra regionale, intervento americano e di altre potenze esterne. Il prezzo dell´energia salirebbe alle stelle, almeno per qualche mese, con effetti economici devastanti. Chi è disposto ad accettare questi rischi, in cambio del ritardo di qualche anno nello sviluppo della Bomba iraniana?
Combinando le risposte alle tre domande, la conclusione ragionevole parrebbe di inasprire le sanzioni contro l´Iran e insieme di aprire con Teheran un vero negoziato. Obiettivo: impedire al regime dei pasdaran di sviluppare l´arsenale nucleare in cambio del riconoscimento del suo ruolo regionale e della sua reintegrazione in ciò che resta del "sistema internazionale". Ipotesi forse troppo razionale per diventare realtà.
La STAMPA - Andrea Malaguti : " Ma nel testo degli ispettori non c’è alcuna pistola fumante "

Scott Lucas
Stupisce che sia La Stampa a pubblicare l'intervista che segue. Un'intervista a uno sconosciuto 'analista', le cui risposte sono infarcite di banalità. Occorreva uno come Lucas che facesse da contraltare pacifista ? Buone le domande, peccato le risposte.
Scott Lucas sottovaluta i rischi del nucleare iraniano, accusa Israele di voler seplicemente spostare l'attenzione internazionale dalla questione palestinese (ridicolo !), enuncia tesi complottiste e sostiene che il dossier dell'Aiea non debba preoccupare perchè non c'è scritto sopra che l'Iran ha in mano una bomba atomica.
Ecco l'intervista:
Non mi pare che nel rapporto Aiea ci siano delle novità». Il cittadino statunitense Scott Lucas - «sono nato in Alabama» - è professore di studi americani all’Università di Birmingham. Esperto di politica estera, si occupa in particolare delle relazioni di Washington e Londra con il resto del pianeta e anima anche il sito di politica internazionale «Enduringamerica.com». «Non credo che l’Iran sia a un passo dal nucleare».
Professore, ritiene che nel documento ci siano indicazioni false?
«No, ci sono informazioni vecchie. Oppure generiche».
Il rapporto cita dieci fonti diverse. Perché lei parla di «informazioni generiche»?
«Perché se uno lo legge scopre che il 90 per cento delle rivelazioni vengono da una fonte unica. Di cui naturalmente non si fa il nome. Ma è facile capire di chi si tratti».
Gli Stati Uniti?
«Gli Stati Uniti».
Che vantaggio trarrebbe Washington dal rapporto?
«Quello di aumentare la pressione anche sulla Russia e sulla Cina affinché partecipino alle sanzioni economiche contro Teheran. Non credo però che l’effetto sarà raggiunto. Mosca ha fatto sapere che questo insieme di notizie non aiuta la speranza di un dialogo . Lo stesso vale per la Cina: leggerà bene i documenti e poi si comporterà come i russi».
Perché Israele ha alzato così violentemente la voce?
«Suppongo per spostare l’attenzione da altri problemi. Ad esempio la questione palestinese. Ma sono convinto che l’ipotesi di un attacco è un bluff. Tra l’altro, per fare le guerre servono i soldi. E il mondo occidentale ora non li ha».
L’Iran non è un problema?
«Lo è. Per le torture, per la mancanza di rispetto dei diritti civili, per il modo in cui soffoca le opposizioni. Certo non per il nucleare. Dov’è la pistola fumante che inchioda Teheran?».
Cito il rapporto: ci sono indicazioni che alcune attività rilevanti per lo sviluppo del nucleare siano andate avanti anche dopo il 2003. E alcune potrebbero essere ancora in atto.
«Appunto. La parola chiave è “potrebbero”. Faccio una citazione anch’io. E la rubo a Paul Danahar della Bbc. Se la risposta alla domanda: “Pensi che io piaccia a quella donna?”, fosse: “Ci sono forti indicazioni che sia possibile», beh, io ti sconsiglierei di comprarle un anello di fidanzamento».
Il MANIFESTO - Tommaso Di Francesco : " Venti di guerra. Rischio atomica. Tutti contro l'Iran "

Tommaso Di Francesco
Tommaso Di Francesco scrive : "l’Iran, accusata ora anche dall’Aiea, di essere «quasi pronta» a detenere l’atomica, e minacciata direttamente da Israele. Dove, da settimane si dibatte se è giusto o no attaccaremilitarmente Teheran, e dove l’opzione militare viene addirittura annunciata e sponsorizzata dal Nobel della «pace», il presidente israeliano Peres.". La tecnica di disinformazione preferita dal quotidiano comunista, trasformare la vittima in carnefice. Perciò non è più l'Iran a minacciare Israele, ma il contrario. Una tesi talmente assurda che poteva trovare spazio solo fra le pagine del quotidiano comunista, troppo interessato a disinformare su Israele per raccontare la verità ai propri lettori.
Di Francesco rileva, in particolare, che Shimon Peres, Nobel per la pace, non sia contrario all'opzione militare. Ne deduciamo che, secondo Di Francesco, un Iran nucleare porterebbe pace in Medio Oriente? Magari in un prossimo articolo Di Francesco sosterrà una candidatura per il Nobel per la pace ad Ahmadinejad? In fondo non ci sarebbe nulla di strano, l'hanno dato a Yasser Arafat, perchè non al dittatore iraniano?
Di Francesco continua : "Quel che davvero non esiste più è la funzione delle Nazioni unite per una eguale difesa del diritto internazionale. Una funzione del resto bombardata dalle tante scelte armate dell’Amministrazione Usa, della leadership euro-atlantica e della stessa Israele che hanno fatto strame di convenzioni e leggi. Basta vedere il fatto che il «colpevole» Iran aderisce al Trattato di non proliferazione atomica e non ha «ancora» la bomba, mentre Israele non aderisce al Trattato, ha centinaia di testate nucleari - strategiche e tattiche – e le punta anche su Teheran.". L'Iran aderisce al trattato di non proliferazione nucleare, ma non lo rispetta e, grazie all'aiuto compiacente di El Baradei, ha lavorato all'atomica per anni. Israele non ha aderito al trattato, è vero. Ma, contrariamente a quanto sostiene Di Francesco, non punta nessun'arma nucleare contro l'Iran. Israele non ha mai nè smentito nè confermato di avere un arsenale nucleare. Di Francesco scrive di centinaia di testate, tutte puntate contro l'Iran. Per caso le ha viste? Saprebbe specificare la loro esatta collocazione? Il Dossier dell'Aiea, invece, specifica con chiarezza quali sono i siti nucleari iraniani.
Di Francesco scrive, ancora : "Ma l’Aiea ora a guida giapponese non lo dice e preferisce tacere.", chiarendo, nel caso qualcuno avesse ancora dei dubbi, che preferiva la dirigenza di El Baradei perchè ben genuflessa al dittatore iraniano.
Ecco l'articolo:
Parlano di una nuova guerra. Non hanno ancora spento i motori dei jet occidentali che hanno bombardato la Libia, dove sotto le macerie di Sirte e delle altre città scheletrite prende corpo il nefasto presagio di un nuovo, più violento conflitto intestino, né hanno smesso di far volare i bombardieri sui cieli afghani, che già tornano a ripetere la parola guerra. Stavolta contro l’Iran, accusata ora anche dall’Aiea, di essere «quasi pronta» a detenere l’atomica, e minacciata direttamente da Israele. Dove, da settimane si dibatte se è giusto o no attaccaremilitarmente Teheran, e dove l’opzione militare viene addirittura annunciata e sponsorizzata dal Nobel della «pace», il presidente israeliano Peres.Una follia globale. Perché i rapporti di forza dicono che se si aprirà anche questa porta dell’inferno, non solo non sarà una passeggiatama le ripercussioni di morte saranno subito evidenti in tutto il Mediterraneo e il MedioOriente, a cominciare da Israele. Né spaventa più di tanto il fatto che siamo in presenza dell’arsenale atomico israeliano, per un eventuale target iraniano anch’esso nucleare. Certo, la pubblicità con cui si annunciano le nuove minacce di guerra potrebbero far pensare proprio all’impossibilità di un nuovo conflitto armato. Eppure appare sempre più evidente il contrario, pensando anche alla tragedia che si consuma di ora in ora in Siria, aimargini della questione iraniana. Anche perché, c’insegna la storia degli ultimi quindici anni, la parola «guerra» è fatta di materia, è action painting, pensarla e pronunciarla attiva l’iniziativa, cambia la rotta delle portaerei e dei listini di borsa, trasforma mercati, banche, consumi, governi e popoli. In una parola, distrugge il diritto internazionale. Solo due anni fa Mahmud ElBaradei, presidente egiziano dell’Aiea certificava che Tehran non aveva il nucleare militare; solo un anno e mezzo fa Barack Obama riconosceva nel suo discorso del Cairo il diritto dell’Iran ad avere il nucleare civile; solo due anni, fa nei mesi precedenti alle presidenzialiUsa, la Cia metteva le mani avanti contro i precedenti imbrogli iracheni sulle armi di distruzione di massa di Bush, resocontando l’inesistenza dell’atomica iraniana e dei preparativi per realizzarla.Non è chiaro che cosa sia cambiato in questi due anni, tanto più che i preparativi atomici risalirebbero al 2003. Quel che davvero non esiste più è la funzione delle Nazioni unite per una eguale difesa del diritto internazionale. Una funzione del resto bombardata dalle tante scelte armate dell’Amministrazione Usa, della leadership euro-atlantica e della stessa Israele che hanno fatto strame di convenzioni e leggi. Basta vedere il fatto che il «colpevole» Iran aderisce al Trattato di non proliferazione atomica e non ha «ancora» la bomba, mentre Israele non aderisce al Trattato, ha centinaia di testate nucleari - strategiche e tattiche – e le punta anche su Teheran. Ma l’Aiea ora a guida giapponese non lo dice e preferisce tacere. A questo punto non basta piangere sul pacifismo versato che non c’è più. La questione vera è interrogarsi subito - ora, suggerisce il movimento americano diOccupy Wall Street - sul nesso indissolubile tra crisi globale del capitalismo finanziario e guerra. Continuare a parlare di spread, bot, borsa, euro, banche da salvare, welfare da cancellare, lavoro da distruggere, morte delle sovranità nazionali, crisi dell’Europa, perdita della primazia Usa, separatamente dai venti di guerra che tornano a spirare, è colpevole quanto se non più di chi prepara una nuova avventura militare.
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