Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 10/11/2011, a pag. 16, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Ora togliete il Nobel a chi ha mentito sul nucleare iraniano ". Dal FOGLIO, a pag. 1-I, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Mr. Interception ", a pag. I, l'articolo di Marco Pedersini dal titolo " I test atomici e la base sottovalutata. Ecco le prove dell’Aiea ". Da LIBERO, a pag. 21, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Com'è ipocrita l'Europa sulla bomba iraniana ". Dalla STAMPA, a pag. 24, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Iran, niet di Mosca a nuove sanzioni ".
Quanto importante è stato il ruolo di El Baradei per il nucleare iraniano? Sullo stesso argomento segnaliamo l'articolo (che non riportiamo) di Francesco Battistini sul Corriere della Sera di questa mattina.
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Ora togliete il Nobel a chi ha mentito sul nucleare iraniano "

Fiamma Nirenstein
C’è un eroe e c’è un gran villano nella storia della patata più bollente che il mondo intero si trova a maneggiare dalla seconda guerra mondiale, quella che ci porgono le 25 pagine dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica: tecniche, gelide, precise, confermano l’intenzione e anche, fra le righe, il successo dell’Iran nel perseguire la bomba atomica. Sì, la bomba atomica che starebbe per essere sperimentata in strutture apposite, che, si spiega, difficilmente potrebbero servire all’allevamento delle galline o quant’altro, e le testate atomiche per i missili Shihab 3: di questo si tratta, ci dice senza scomporsi la relazione, e non di energia atomica per benefici fini. L’eroe è un giapponese, il direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, Yukiya Amano: con un coraggio da leone ha presentato al mondo, nonostante le pressioni anche della Cina e della Russia, e nonostante chissà quali iniziative iraniane, quello che il suo predecessore, Mohammed El Baradei, dal 1997 al 2009 nello stesso ruolo, ha invece nascosto, diminuito, minimizzato.
El Baradei aveva a disposizione un bel gruppo di tecnici per studiare la situazione iraniana, ed essi riferivano a lui che decideva cosa usare, cosa selezionare. E ha selezionato parecchio anche se tutti sapevano già tutto, anche i servizi segreti di mezzo mondo (compresi quelli arabi) gli fornivano informazioni che al raffronto con i fatti risultavano attendibili. Si sapeva bene, e lo riporta ora senza veli il rapporto di Amano, che fino al 2003 i preparativi per l’arricchimento dell’uranio si erano svolti in vari siti, avevano utilizzato aiuti internazionali molto importanti, come quelli della Russia e della Cina, e che successivamente dopo che per un po’ il regime degli ayatollah si è sforzato di coprire l’attività travestendola da attività civile, si è inoltrata sempre di più in una clandestinità sotterranea. Ma essa non era sconosciuta, si faceva solo finta di non conoscerne gli scopi, di non capire perché si costruissero centrali così nascoste e con l’aiuto di tanti tecnici stranieri. L’attività appare sempre più chiaramente orientata a fini bellici, Amano lo dice, El Baradei non ce lo fece sapere anche se aveva tutti gli elementi. Eppure, sorpresa, gli è stato dato nel 2005 il Premio Nobel «per il suo sforzo nel prevenire l’uso dell’energia nucleare per scopi bellici». L’orientamento ideologico buonista dell’organizzazione ne ha sbagliate parecchie, ma qui la cosa è madornale. El Baradei ha costretto il mondo a affrontare oggi un incubo che poteva essere evitato se l’Aiea avesse certificato per tempo che un Iran pazzo, islamista estremo, antioccidentale, antisemita, preparava una bomba atomica che adesso è realizzabile in termini assai brevi (chi dice che per un arsenale intero ci vuole un anno, chi dice due... ma due bombe, una sciocchezzuola, sono per la maggior parte degli esperti già realizzabili oggi) e sperimentava testate che potranno colpire non solo Gerusalemme, ma anche le capitali europee. Quindi, oltre al grande imperativo categorico di agire che ormai pone il rapporto di Amano (ovvero che almeno gli Usa e l’Europa agiscano bloccando con sanzioni la Banca Iraniana, ignorando Russia e Cina) a noi sembra logica una modesta proposta, che facciamo agli organizzatori del Nobel: se volete salvare la faccia di fronte ai posteri, almeno riprendetevi il Premio Nobel.
El Baradei, oggi candidato alla presidenza egiziana che non ha mancato da laico illuminato di stabilire un rapporto con la Fratellanza Musulmana e di suggerire che il rapporto con Israele va rivisto, è stato tuttavia abbandonato in questi giorni anche dal suo gruppo di lavoro elettorale. Forse si rendono conto del danno che ha fatto al suo Paese: l’Egitto è il maggiore paese sunnita dell’area e l’Iran, sciita, solo recentemente gli ha tributato attenzione amichevole, sperando di allargare la sua egemonia nella zona. Ma è difficile che duri. Non farà piacere agli egiziani che l’Iran diventi nucleare.
www.fiammanirenstein.com
Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Mr. Interception "

Giulio Meotti
Roma. La scia del missile era visibile sopra tutta la zona centrale di Israele. Il corrispondente della radio militare ha detto che è stato lanciato un “missile balistico” in grado di colpire un obiettivo a 7.000 km di distanza. Poi si è scoperto che si trattava del famoso “Arrow 3”, noto come “Super Arrow”, definito dal giornale Israel Hayom come “il più avanzato missile antibalistico al mondo”. Forse è una coincidenza, ma lo stato ebraico l’ha annunciato il giorno stesso in cui la Aiea pubblicava il rapporto sull’Iran. Nel frattempo Israele e Stati Uniti hanno pianificato la “più grande esercitazione congiunta nella storia dei due paesi alleati” (cinquemila soldati specializzati in missili). Arrow 3, simpaticamente detto “Mr. Interception”, fa parte del “Progetto Muraglia” (“Homa” in ebraico), è pagato quasi interamente dagli Stati Uniti ed è la risposta ai missili iraniani (la sua prima versione venne finanziata da Ronald Reagan). Il costo stimato è di due miliardi e mezzo di dollari, di cui due terzi statunitensi. A febbraio Israele ha sperimentato una versione dell’Arrow 3 proprio al largo della California, simulando un lancio di testate iraniane. Oggi non c’è solo il rischio della bomba atomica. L’Iran ha anche un centinaio di missili Shahab 3 e Shahab 3b, che possono arrivare in Israele e oltre con i loro 2.100 chilometri di gittata e che possono portare 1.150 chili di dinamite e materiali chimici. Conoscevamo alcuni pezzi del possibile strike israeliano contro le installazioni iraniane: gli F-16, le bunker-bomb americane, i droni Heron, la “fionda di David” che intercetta i missili nelle mani di Hezbollah, e adesso arriva anche l’Arrow 3, che va a rimpiazzare del tutto i Patriot americani, di cui Israele non ha una buona memoria, perché non riuscirono a distruggere nemmeno uno dei missili Scud che l’Iraq di Saddam Hussein lanciò contro Tel Aviv. A spiegare il test è stato proprio Aryeh Herzog, direttore del progetto Homa e pioniere da quarant’anni del sistema di difesa. Nella base di Palmahim ha sede la “Yanat”, acronimo ebraico per l’unità missilistica speciale. Nella base, che sorge presso Ashdod, primi ministri e generali assistono ai test dietro alla “finestra di Golda”, dal nome dell’ex primo ministro Golda Meir che amava prendere parte alle esercitazioni. Teoricamente, due batterie di Arrow 3 dovrebbero bastare a proteggere l’intero territorio israeliano. Il lavoro degli intercettori si basa sulle informazioni ricevute in tempo reale da un sistema di radar denominato “Pino Verde”, che avverte del lancio di razzi in un raggio di 500 chilometri. Il sistema di controllo si chiama “Cedro d’oro” e consente a Israele di cimentarsi contemporaneamente con quattordici missili. Parte dei dati gli arrivano dal satellite Ofek-9, un gioiello israeliano del peso di 300 kg e lungo due metri. L’Ofek ha un obiettivo che gli consente di distinguere oggetti anche molto piccoli, di non più di due metri di diametro. Ogni novanta minuti il satellite, che costa cinquanta milioni di dollari, invia a Israele dati e foto della Siria e dell’Iran. Arrow 3 funziona così: “Pino Verde” lancia l’allarme, le sirene suonano in tutto Israele, dalla base di Palmahim partono uno o più Arrow 3, che in teoria distruggono la testata iraniana dopo sessanta secondi e a cento chilometri dal suolo, fra l’atmosfera e lo spazio. I militari israeliani addetti a questa missione sono anche noti come “cacciatori di missili”.
LIBERO - Carlo Panella : " Com'è ipocrita l'Europa sulla bomba iraniana "

Carlo Panella
La Russia opporrà il veto all’Onu su nuove sanzioni contro l’Iran e sostiene che il rapporto dell’Aiea che certifica la certezza del tentativo di costruzione della bomba atomica iraniana «è politicizzato, non fornisce nuove informazioni ed è ora usato per una operazione di mistificazione come quella sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein». La Cina si attesterà sulla stessa posizione e questoimpedirà che le nuove sanzioni che Barack Obama e la Ue intendono imporre all’Iran possano essere votate dall’Onu. Una situazione che obbliga Obama ad assumere la stessa posizione unilaterale che fu di George W. Bush e a formare una “coali - tion of willings” con i Paesi democratici, Ue in testa, per imporre sanzioni unilaterali che tentino di piegare l’Iran, a partire dall’embargo totale sull’acquisto di petrolio iraniano. Prospettiva già concordata a Cannes con Nicolas Sarkozy e David Cameron. Scelta politicamente significativa, ma che con tutta probabilità non avrà conseguenze per l’Iran perché la Cina ha fame, letteralmente, di energia ed è pronta - e non è la sola - ad acquistare tutto il petrolio iraniano rifiutato dall’Occidente. L’intervento militare come unica scelta per bloccare la minaccia nucleare iraniana tra qualche mese sarà quindi l’unica alternativa all’imporsi sulla scena del medio Oriente di una nuova potenza diretta da un gruppo dirigente islamista e oltranzista. Un pericolo vitale non solo per Israele - che Ahmadinejad ha più volte detto di voler «distruggere» - ma anche per l’Arabia Saudita e gli emirati del Golfo (60% dell’esportazione di petrolio del pianeta), avversari mortali degli sciiti khomeinisti iraniani che hanno nel controllo della Mecca il loro obiettivo strategico più importante. Quando questo pericolo diventerà una realtà operante quale sarà dunque la risposta del mondo democratico? Bibi Netanyahu ieri ha confermato il senso vero delle dichiarazioni sull’inelut - tabilità di una opzione militare pronunciate nei giorni scorsi da Simon Peres e da altri leader israeliani. Un messaggio che non svelava l’intenzione di Israele di agire da solo, ma che, al contrario, puntava a chiedere a Usa e Ue di assumersi le loro responsabilità: «La comunità internazionale deve fermare l’Iran dal suo tentativo di costruire armi nucleari che minacciano la pace nel mondo e in Medio Oriente». Ma il punto è che la comunità internazionale non ha una strategia sul punto. Obama ha sinora sbagliato tutto e con la sua politica della mano tesa a Teheran (il suo discorso del Cairo del 6 giugno 2009 sarà ricordato come un fiasco colossale) ha solo dato anni di tempo a Teheran per continuare indisturbata a sviluppare il suo progetto. Non è escluso che oraObama ne prenda atto e - come è nella tradizione iper-pacifista e subito dopo iperbellicista dei Democratici - passi dal dialogo a oltranza alla soluzione militare ad opera degli Usa. Ma, al solito, è l’Europa che non sa che pesci prendere, salvo garantire l’Iran della sua assoluta indisponibilità ad appoggiare una soluzione militare. Quindi, quando le sanzioni falliranno, come è logico aspettarsi, cosa farà l’Euro - pa? Quello che ha fatto dal 1945 a oggi, che svela un profondo retaggio antisemita: spererà che siano gli ebrei, gli israeliani a risolvere il problema, così come fece nel 1981 quando Israele eliminò la minaccia nucleare di Saddam Hussein (senza il quale il raìs iracheno avrebbe invaso il Kuwait nel 1990 disponendo di bombe atomiche), criticando ferocemente l’ope - razione in pubblico, ma felicissima in cuor suo del risultato.
Il FOGLIO - Marco Pedersini : " I test atomici e la base sottovalutata. Ecco le prove dell’Aiea "

Marco Pedersini
Roma. Con un dossier di dieci pagine, più una cruciale appendice intitolata “possibile portata militare del programma nucleare iraniano”, l’Aiea ha inchiodato il regime di Teheran che nel giorno della pubblicazione, per bocca del presidente Ahmadinejad, ancora diceva di non aver alcun bisogno dell’atomica. “Per far scomparire ogni traccia degli Stati Uniti dalla faccia della terra non ci servono bombe, ci bastano il pensiero, la cultura e la logica”, ha detto il presidente iraniano, che ha accusato l’agenzia dell’Onu per l’atomica di essere una passacarte della Casa Bianca. Ma il rapporto dell’Aiea, frutto di oltre mille pagine d’intelligence fornite da dieci imprecisati stati membri, gli dà pienamente torto: la minaccia atomica è concreta. “Le informazioni in nostro possesso – riporta l’Aiea – indicano che l’Iran ha messo in atto le seguenti attività, da ritenersi rilevanti per lo sviluppo di un ordigno nucleare: sforzi per procurare, talvolta con successo, materiale militare legato al nucleare o ‘dual use’ da individui o entità; operazioni per sviluppare percorsi non dichiarati diretti alla produzione di materiale nucleare; acquisto di informazioni e documenti relativi allo sviluppo di ordigni nucleari da reti informative clandestine; lavoro per lo sviluppo di un ordigno nucleare prodotto in proprio, test dei componenti incluso”. Il vero guaio, per gli ayatollah, è che “mentre alcune di queste attività potrebbero avere fini sia militari sia civili, altre possono servire esclusivamente alla creazione di un ordigno nucleare”. L’agenzia, con sfoggio di imparzialità, elenca le sue prove, per poi riassumerle alla fine, in una tabella in cui le incrocia con i possibili tipi di ordigno (biologico, chimico, altamente esplosivo, elettromagnetico, teleguidato o nucleare). C’è solo una colonna che incrocia con successo tutte le prove elencate: quella della bomba atomica.
Le riserve di uranio. Secondo quanto riporta l’agenzia viennese, le riserve di uranio arricchito al venti per cento sono salite a 73,7 chili (tre chili in più rispetto a settembre) nell’impianto di Natanz, trecento chilometri a sud di Teheran. Di uranio arricchito al cinque per cento, la Repubblica islamica ne avrebbe 4.922 chili. Ne basterebbero altri 630 per essere sicuri di raggiungere i quindici chili di uranio altamente arricchito, quello che serve per armare una testata nucleare. L’uranio è l’ultimo dei problemi, per l’Iran, che, secondo studi riportati dall’Aiea in altre occasioni, ne ha riserve accertate per tremila tonnellate (ma se si studiasse bene, scriveva l’Agenzia, se ne potrebbero trovare anche 30 mila tonnellate). Per l’arricchimento, l’Iran può contare sull’aiuto dei vicini, come testimonia un documento di quindici pagine, che Teheran dice di aver ricevuto senza averlo richiesto, proprio sulla costruzione di centrifughe: “Il Pakistan ha confermato, su sollecitazione dell’Agenzia, di essere stato in possesso di un documento identico”, nota l’Aiea in una nota a piè di pagina.
L’esperimento del 2003. L’Iran avrebbe condotto “almeno un esperimento su larga scala” nel 2003, vicino alla città di Marivan, a ridosso del confine iracheno. Il test sarebbe servito a calibrare l’impatto esplosivo del nucleo della bomba. In queste attività gli scienziati iraniani sarebbero stati aiutati da un esperto straniero, che “ha dedicato buona parte della sua carriera al programma atomico del suo paese d’origine”. L’Aiea ha confermato, attraverso controlli incrociati, che l’ignoto consulente è stato in Iran dal 1996 al 2002. Con l’aiuto di qualche fonte e un po’ di controlli incrociati, il Washington Post ha dato un nome e un cognome all’esperto: sarebbe uno scienziato di scuola sovietica, l’ucraino Vyacheslav Danilenko.
Detonatori. Contattato dal Centro ricerche fisiche iraniano, Danilenko avrebbe insegnato agli scienziati locali come testare una bomba e come costruire un detonatore di alta precisione, in grado di innescare quella reazione a catena che fa esplodere un ordigno nucleare. L’Aiea riconosce che “è possibile fare un uso civile di questo tipo di detonatori, ma l’Iran non ha spiegato a cosa gli servano” e, a conti fatti, “l’uso civile o militare ‘convenzionale’ di queste apparecchiature è estremamente limitato”. Secondo il dossier, l’Iran avrebbe condotto più test su questi detonatori (elettrici, di tipo EBW, exploding-bridgewire detonator) “per vedere se il loro funzionamento era soddisfacente sulle lunghe distanze”. Ma c’è un altro preoccupante dettaglio, legato all’innesco della bomba. Dal 2006, l’Iran si è dedicato a un programma per lo sviluppo di “capsule in cui inserire materiale nucleare che, messe nel cuore di una bomba, possono liberare i neutroni necessari a iniziare una reazione a catena di fissione nucleare”. E’ improbabile che Danilenko, da solo, possa aver seguito tutti i calcoli e le simulazioni necessarie. Ci sono tecnici nordcoreani molto preparati in materia, che potrebbero aver garantito il loro contributo. Ma anche il Pakistan è stato in qualche modo coinvolto: i disegni ricalcano quelli del padre dell’atomica pachistana, Abdul Qadeer Khan (secondo l’Aiea sono arrivati in Iran grazie a “una rete clandestina di contrabbando di materiale nucleare”). Anche questo componente è stato testato, ma in un luogo che poi “è stato ripulito dalle contaminazioni subito dopo l’esperimento”.
Sviste a Parchin. Nelle foto satellitari della base militare di Parchin, una trentina di chilometri fuori Teheran, si vede una grossa costruzione cilindrica, circondata da terreno di riporto (segno che all’interno si testano cariche esplosive potenti). L’hanno costruito nel 2000 ma l’Aiea, che a Parchin è andata due volte, nel 2005, non l’aveva ritenuto tra le aree di interesse. Ora l’agenzia teme che in quel bunker si stia simulando l’esplosione dell’atomica, testando con esperimenti idrodinamici la resistenza dei componenti.
Un ritocchino ai missili. Lo Shahab 3 è un missile balistico a medio raggio, in grado di coprire in una decina di minuti la distanza che c’è tra l’Iran e Israele. I pasdaran ne hanno almeno trecento, nei loro arsenali. Secondo l’Aiea, gli Shahab 3 sono al centro di un progetto, iniziato nel 2002 con il nome di “Progetto 111”. E’ un lavoro di geometria: bisogna integrare il disegno sferico dell’atomica con lo spazio che il missile offre nel suo metro e venti scarso di diametro. Per favorire il raccordo, gli ingegneri hanno cercato di allargare la camera già esistente, mentre i fisici cercavano il modo per rimpicciolire l’atomica, costruita secondo i disegni di scuola pachistana. Il Progetto 111 si è posto anche un obiettivo collaterale: trovare un modo per poter far esplodere l’atomica sia in aria, sia al contatto con l’obiettivo, in base alle esigenze dell’attacco.
Il test finale. L’esperienza nordcoreana ha insegnato all’Iran che un test atomico condotto con successo cambia radicalmente la propria posizione negoziale. Secondo le informazioni d’intelligence che danno sostegno al dossier dell’Aiea, “l’Iran potrebbe aver pianificato e messo in atto gli esperimenti preliminari necessari per condurre un test di un ordigno nucleare. In particolare, uno stato membro ha fornito un documento in farsi che illustra direttamente le misure logistiche e di sicurezza necessarie per un test nucleare”. La logistica, nota l’Aiea, è molto simile a quella usata da alcuni paesi vicini dotati di atomica.
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Iran, niet di Mosca a nuove sanzioni "

Maurizio Molinari
La Russia si oppone alle nuove sanzioni Onu all’Iran invocate da Francia e Gran Bretagna mentre Teheran assicura che non farà passi indietro sul proprio programma nucleare. All’indomani della pubblicazione, da parte dell’Agenzia atomica dell’Onu (Aiea), del rapporto che accusa l’Iran di volersi dotare di armi atomiche lo scontro diplomatico verte attorno alla possibilità che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approvi sanzioni più rigide contro Teheran.
d invocarle sono Parigi e Londra che, in un comunicato congiunto, parlano della necessità di «nuove e forti sanzioni», esprimendo «profonda preoccupazione per la dimensione militare del programma nucleare iraniano». Il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, compie il passo formale della richiesta di convocazione del Consiglio di Sicurezza, ritenendo necessarie «misure senza precedenti» davanti alla perdurante volontà iraniana di «ostacolare le indagini dell’Aiea». A sostenere l’iniziativa anglofrancese c’è l’Amministrazione Obama, che sta studiando imprecisate «forme di pressione supplementare» ed è al tempo stesso impegnata in serrati negoziati con la Cina per convincerla a rompere i rapporti militari con Teheran.
Ma sulla strada di una possibile nuova risoluzione Onu contro il programma nucleare iraniano c’è la Russia. È il viceministro degli Esteri, Gennady Gatilov, a far sapere che «non sosterremo un inasprimento delle sanzioni», perché, se ciò dovesse avvenire, «verrebbe interpretato dalla comunità internazionale come uno strumento per favorire un cambio di regime a Teheran». E, secondo la diplomazia russa, il rapporto dell’Aiea non cambia nulla perché «non ci sono elementi fondamentalmente nuovi», ma soltanto «fatti conosciuti, ai quali viene data un’interpretazione politicizzata».
Dopo aver vissuto con fastidio l’intervento Nato in Libia e aver opposto il veto - assieme alla Cina - a sanzioni contro la Siria di Bashar Assad, il Cremlino ribadisce così di non condividere l’approccio di europei e americani alle crisi in atto nello scacchiere di Nordafrica e Medio Oriente. Se la strada dell’Onu dovesse restare bloccata, Ue e Usa potrebbero scegliere di adottare ulteriori sanzioni nazionali, come dimostrano le notizie che trapelano da Bruxelles e Berlino sulle discussioni fra i partner europei per definire in fretta «misure più rigide».
Da Teheran a parlare è il presidente, Mahmud Ahmadinejad, il quale assicura che «non cambieremo di uno iota il programma nucleare e non arretreremo di un centimetro», sebbene l’ambasciatore iraniano all’Aiea, Alì Ashgar Soltaniyeh, assicuri: «Siamo pronti a collaborare al fine di dimostrare che il rapporto pubblicato è fondato su bugie». Il vicecapo di Stato Maggiore, generale Massoud Jasayeri, si rivolge invece a Israele ammonendolo a non condurre blitz militari «perché se ciò dovesse avvenire noi reagiremo e vi sarà la distruzione di Israele». In particolare Jasayeri identifica un possibile obiettivo: «La centrale nucleare israeliana di Dimona è il sito più accessibile cui possiamo mirare e abbiamo capacità importanti per colpirlo».
Da Gerusalemme il premier israeliano, Benjamin Nethanyau, ha diffuso una nota in cui plaude al rapporto dell’Aiea chiedendo alla comunità internazionale di «fermare la corsa dell’Iran alle armi nucleari che mettono in pericolo la pace nel mondo e in Medio Oriente».
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