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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - Il Foglio Rassegna Stampa
04.11.2011 Bloccare il nucleare iraniano
Commenti di Fiamma Nirenstein, Giulio Meotti, Marco Pedersini

Testata:Il Giornale - Il Foglio
Autore: Fiamma Nirenstein - Giulio Meotti - Marco Pedersini
Titolo: «Ahmadinejad come Osama attaccarlo non è più tabù - Notizie bomba»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 04/11/2011, a pag. 1-2, gli articoli di Giulio Meotti e Marco Pedersini titolati " 'Day after' in Israele, prove di guerra e difesa contro l’atomica iraniana " e " Notizie bomba ". Dal GIORNALE, a pag. 17, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Ahmadinejad come Osama attaccarlo non è più tabù ".
Nell'immagine a destra, Mahmoud Ahmadinejad : " Abbiamo il nucleare ".
Ecco gli articoli:

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Ahmadinejad come Osama attaccarlo non è più tabù "


Fiamma Nirenstein

Non sarà la fine del mondo, forse sarà invece la fine di un incubo. Mentre in Israele si discute sulla possibilità di un attacco alle strutture nucleari iraniane va in scena la commedia della grande prudenza, del conformismo pacifista per cui la Nato, per esempio, si è affrettata a dire che lei non ci sta. Pure è evidente che ormai il pericolo iraniano è nel mirino di tutti: Obama altrimenti non si sarebbe mostrato con Sarkozy per dire che la minaccia iraniana è continua, e che insieme intendono imporgli una pressione «senza precedenti»; gli inglesi non avrebbero lasciato uscire la notizia che si stanno esaminando le postazioni migliori da cui dispiegare navi e sottomarini armati con missili Tomahawk; e soprattutto Israele non lascerebbe arrivare sulla stampa il suo dibattito su un eventuale intervento. Ma c'è una scadenza: martedì l'Aiea presenterà un rapporto, finalmente non drogato da El Baradei che è passato alla politica egiziana, e nero su bianco sarà chiaro a tutti che gli ayatollah sono quasi arrivati alla bomba atomica, massima scadenza il 2014, e che possiedono abbastanza materiale fissile per produrne una o due adesso.
La politica aggressiva dell'Iran, in questa primavera araba che suscita i suoi appetiti, lo mette in contrasto con la Turchia e l'Arabia Saudita, e ha suscitato ormai l'attenzione di Obama che credeva di ammansire Ahmadinejad con la politica della mano tesa. Invece si è dovuto accorgere dal complotto per uccidere a Washington l'ambasciatore saudita che siamo di fronte a un altro Bin Laden. È chiaro ormai che l'Iran va fermato: non c'è solo la bomba, l'Iran ha anche 100 missili Shihab 3 e Shihab 3b, che possono arrivare in Israele e oltre con i loro 2100 chilometri di gittata e che possono portare 1150 chili di dinamite e materiali chimici. E se l'Iran ottiene la bomba, la corsa all'atomica sarà il gioco preferito in Medio Oriente, in testa l'Arabia Saudita seguita a ruota dall'Egitto. Ma chi attaccherà? Israele è in cima a tutte le attenzioni perch´ è al centro del panorama di cenere in cui il messianismo sciita colloca la venuta del Mahdi sulla terra. Ma non è detto che sia così semplice: Israele, anche se la sua scelta strategica di fondo è contare solo su se stessa, deve essere molto sicura che funzioni la Iron Dome, la nuova cappa di difesa che deve proteggerla non solo dai missili iraniani, ma anche da quelli degli Hezbollah e di Hamas, alleati iraniani. Deve avere una certezza matematica che anche le centrali più infossate nel cemento vengano distrutte da un attacco aereo simile a quello di Osirak dell'81 alla centrale di Saddam, una sfida non da poco; deve poter contare sulla preparazione del fronte interno e sull'unità della gente.
Più difficile deve contare sull'opinione pubblica internazionale, spesso ostile. Ma Israele si aspetta che dopo le prossime rivelazioni dell'Agenzia gli americani e alcuni paesi europei decideranno che il rischio atomico dell'Iran è maggiore di quello bellico e che le sanzioni servono a poco. Se si muoveranno, Israele potrà allora dedicarsi alla difesa dalla pioggia missilistica che sia dall'Iran, che dal Libano che da Gaza gli si rovescerà addosso. In uno stato di necessità potrà aiutare, senza suscitare una dura reazione araba (in gran parte di maniera), combattendo di conserva con gli alleati contro il più grande pericolo che il mondo abbia corso dalla seconda guerra mondiale.
www.fiammanirenstein.com

Il FOGLIO - Giulio Meotti : "  'Day after' in Israele, prove di guerra e difesa contro l’atomica iraniana"


Giulio Meotti

Roma. Gli strike contro le installazioni atomiche iraniane sono su tutte le prime pagine dei giornali ebraici, ma in Israele c’è anche un lavorìo pratico, di massima allerta, per salvaguardare la popolazione civile. Le notizie che filtrano dall’intelligence sono laconiche ma pregnanti: non se ne parla di bombardare Teheran durante l’inverno, il clima non è buono. Intanto c’è una preoccupante frenesia di autodifesa, segno che il governo Netanyahu ha accelerato i piani da qualche settimana. Ieri, mentre l’esercito testava Jericho III, il missile che porta testate nucleari e che può colpire le centrali iraniane, la popolazione di Tel Aviv per la prima volta da molti anni è tornata a sentire le sirene. Hanno suonato alle 10.05 nel Gush Dan, che ospita un quarto di tutta la popolazione. Un’esercitazione di massa “Nbc”, pericolo nucleare, biologico e chimico. I tre incubi d’Israele. Si sa che la Siria ha agenti chimici patogeni, fra cui il “VX”, il gas sarin che brucia la pelle e soffoca.
Potrebbe anche averli dati a Hezbollah. Israele ha messo a punto sirene speciali per i missili che possono portare armi chimiche. Matan Vilnai, ministro per la Difesa interna, ha fatto sapere che in caso di guerra con Teheran “non ci sarà distinzione fra il fronte e le retrovie”. Il pronostico è fosco: “Mille missili al giorno, per un mese, senza un attimo di respiro”. Dopo la guerra del 2006, il paese è stato munito di oltre tremila sirene. Ieri Israele ha simulato la morte di 400 persone in un solo colpo a causa di missili a lunga gittata. Si teme per la centrale elettrica di Reading: se colpita, fermerebbe il paese. Ci sono teatri, come l’Habima, che sotto terra accoglieranno migliaia di persone. A Safed, località strategica in caso di attacco di Hezbollah, si costruisce il primo ospedale-bunker al mondo per bambini. Anche la Knesset, il Parlamento, ha sperimentato i rifugi. Il governo ha invece una “località segreta” nelle montagne della Giudea. Si è cominciato a discutere un piano di evacuazione per Ramat Gan, la vasta periferia di Tel Aviv su cui caddero i missili nel 1991. Si parla dello sgombero di decine di migliaia di persone verso il deserto del Negev, dove devono essere approntate ampie tendopoli. Fra le misure di difesa, Israele ha messo a punto un sistema della compagnia Ericsson che farà apparire su tutti i cellulari e cartelloni pubblicitari l’allarme “in tempo utile” per cercare un rifugio. Gli ospedali hanno già i piani per la disinfestazione e le grandi emergenze. Lo Yamam, la polizia antiterrorismo, si organizza velocemente in funzione dei nuovi scenari, come attentatori suicidi con “bombe sporche”. Le industrie più sofisticate, come la Bezec, la maggiore impresa di telefonia, assieme alle banche si stanno attrezzando con tecnologie di sostituzione in caso di collasso generale del paese. Si distribuiscono depliant dai titoli emblematici, come “spazio protetto”, “equipaggiamenti necessari”, “siringa”, “centri di aiuto”, “economia di emergenza” e “provviste”. Ogni casa diventerà un fronte. Si dovranno sigillare con la plastica porte e finestre, verificare i telefonini, le radio, i computer. Il giornale Yedioth Ahronoth ha raccontato anche di un gigantesco rifugio antiatomico alle porte di Gerusalemme, sull’esempio di quelli costruiti negli Stati Uniti negli anni più cupi della Guerra fredda. Una cittadella sotterranea e fortificata, dove troveranno rifugio, se dovesse arrivare il fatidico momento, i politici e lo stato maggiore della Difesa per assicurare il governo del paese. “E’ una cosa da film di Hollywood, ti muovi con sgomento, sapendo che è da questo posto che sarà governato il paese”, ha raccontato al giornale una fonte governativa. Nel cuore della montagna vicino a Gerusalemme è stato scavato un tunnel lungo due chilometri, alto una decina di metri, che sfocia in un’enorme caverna. Il “day after” d’Israele è già iniziato.

Il FOGLIO - Marco Pedersini : " Notizie bomba "


Marco Pedersini, AIEA

Roma. In meno di una settimana si saprà perché ieri, al G20 di Cannes, un Barack Obama più cupo del solito ha detto che le notizie in arrivo sul nucleare iraniano impongono di “mantenere una pressione senza precedenti su Teheran”. Il presidente francese Nicolas Sarkozy, di fianco a lui, annuiva convinto. Secondo molti resoconti pubblicati sulla stampa, Israele sarebbe pronto all’attacco militare, anche se il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, che è contrario allo strike dichiara: “Il 99 per cento di questi retroscena di solito è falso”. Per il Guardian, il rapporto dell’agenzia Onu per l’energia atomica (Aiea) atteso per l’8 novembre sarà un “game changer”, che costringerà persino Russia e Cina a schierarsi a favore delle sanzioni. Il Telegraph, sulla scorta di “fonti diplomatiche occidentali”, dice di poter anticipare le conclusioni: “L’Aiea dimostrerà che il programma per l’arricchimento dell’uranio si sta spostando dallo stabilimento di Natanz a Fordow, un impianto sotterraneo, vicino alla città santa di Qom, ritenuto a prova di bomba. L’Iran ha prodotto oltre settanta chili di uranio arricchito al venti per cento, una soglia che sarà facilmente superata se la produzione passerà a Fordow. L’uranio arricchito al venti per cento, infatti, può essere portato al grado necessario per farne un ordigno atomico (90 per cento) senza dover modificare le linee di produzione”. E’ probabile che il rapporto dell’Agenzia atomica dell’Onu, che potrebbe fornire le ragioni per rendere improrogabile un attacco militare, si mantenga su quanto anticipato dal Telegraph. E’ quanto il direttore generale dell’Aiea, il giapponese Yukiya Amano, aveva già riportato al board dell’Aiea il 12 settembre scorso: “Dal nostro ultimo incontro, l’Iran ha installato centrifughe a Fordow, con l’obiettivo dichiarato di produrre uranio arricchito al 20 per cento, e ci ha avvisato che i test per portare avanti l’arricchimento sarebbero iniziati il 6 settembre, in ulteriore violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu”. “L’Aiea è sempre più preoccupata della possibile esistenza, presente o passata, di materiale nucleare non dichiarato legato ad attività militari, incluso lo sviluppo di testate per un missile”, aveva detto Amano, lasciandosi alle spalle i dodici anni di Mohamed ElBaradei alla guida dell’Aiea, in cui gli scopi militari del nucleare iraniano erano sempre celati da pudici “non abbiamo le prove”, “non abbiamo i mezzi per confermarlo”. Ora dall’agenzia sulle rive del Danubio starebbe arrivando un rapporto che, per l’israeliano Israel HaYom, “permetterà agli Stati Uniti di rivolgersi al Consiglio di sicurezza dell’Onu e chiedere la quinta serie di sanzioni contro l’Iran. Saranno severissime e strangoleranno l’economia iraniana puntando alla Banca centrale e all’industria petrolifera”. In Iran si grida già al complotto: il viceambasciatore all’Onu, Eshaq Ale-Habib, grida all’“uso politico di un’agenzia che dovrebbe essere imparziale” e il deputato Alaeddin Boroujerdi lega con malizia la visita di Amano a New York (doveva relazionare all’Onu) all’imminente pubblicazione del dossier choc. I retroscena vanno forte anche in Israele, dove c’è chi imputa la fuga di notizie sui preparativi militari all’ex capo dello Shin Bet, Yuval Diskin, e all’ex numero uno del Mossad, Meir Dagan (che a gennaio aveva definito un’ipotesi del genere “l’idea più stupida che abbia mai sentito”). L’obiettivo dei delatori sarebbe sabotare le trame belliche, portandole allo scoperto. Un invito alla “cautela nella pubblicazione di materiale prematuro e inappropriato” è arrivato invece da Cina e Russia (il partner grazie al quale, nonostante il virus informatico Stuxnet, la centrale nucleare di Bushehr è stata attivata il 4 settembre scorso).

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