martedi` 13 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Corriere della Sera - Libero Rassegna Stampa
02.11.2011 Siria, la repressione di Bashar al Assad raggiunge il Libano
cronaca di Guido Olimpio, analisi di Carlo Panella

Testata:Corriere della Sera - Libero
Autore: Guido Olimpio - Carlo Panella
Titolo: «In Libano l' 'altro fronte' di Assad - Conti turchi»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/11/2011, a pag. 18, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " In Libano l' 'altro fronte' di Assad ". Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Conti turchi ".
Ecco i due articoli:

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " In Libano l' 'altro fronte' di Assad "


Bashar al Assad

WASHINGTON — Il Libano per la Siria è stato sempre il cortile di casa. Un Paese dove fare e disfare, un polmone economico. Oggi rischia di diventare un secondo fronte che si aggiunge a quello turco. Una retrovia per chi si batte contro il regime di Damasco, visto che ci sono più di 5 mila rifugiati scappati dalla Siria. Non c'è da stupirsi, allora, se Bashar Assad faccia il bullo con il piccolo vicino mentre tratta con la Lega araba per l'avvio di negoziato con l'opposizione.
Partiamo dalla fine. Forze speciali siriane sono entrate in territorio libanese per bloccare le vie di fuga di quanti vogliono sottrarsi alla repressione. Soldati ed elementi del Mukhabarat sono stati dispiegati lungo le strade e, sopratutto, sui sentieri che da sempre battono i trafficanti. Inoltre, i siriani hanno iniziato a deporre delle mine antiuomo. Duplice l'obiettivo: prevenire l'esodo dei profughi, bloccare il flusso di armi destinate all'opposizione.
A queste iniziative trasparenti si sono sommate quelle segrete. Dalla primavera sono stati rapiti in Libano diversi dissidenti siriani. Ufficialmente si parla di quattro casi, in realtà il numero potrebbe essere più alto. In febbraio, a Baabda, scompaiono i tre fratelli Jassem. Uno di loro è fermato dalla polizia perché distribuiva volantini. Il giudice ne ordina il rilascio e lui chiede ai fratelli di venire a prenderlo. Davanti al posto di polizia i tre sono intercettati da uomini armati che usano Suv con la targa della sicurezza interna. A maggio un nuovo caso. Shibly al Aisami, 89 anni, fondatore del partito Baath (al potere in Siria) che da anni viveva negli Stati Uniti, si reca a Beirut per visitare la figlia. Alle 16.30 del 24 maggio esce per una passeggiata. Non lo vedranno più. Secondo dei testimoni è stato caricato a forza su una vettura con i vetri oscurati. Al Aisami stava per pubblicare un libro che poteva essere imbarazzante per gli Assad.
Le indagini, pur a rilento, scoprono che i rapimenti sono stati effettuati da poliziotti libanesi al servizio di Damasco. A guidarli il tenente Salah al Haji, responsabile della protezione dell'ambasciata siriana in Libano. Sembra, inoltre, che il network abbia avuto l'appoggio di un gruppo palestinese sul libro paga dei siriani. Vecchie amicizie che tornano sempre utili. Il risvolto incredibile è che al Haji non è stato arrestato ma solo trasferito. «Mancanza di prove», è la scusa.
In una cornice così drammatica, con tremila persone uccise, un segnale — ambiguo — arriva dalla diplomazia. Ieri la tv siriana ha annunciato un'intesa con la Lega araba. La Siria — sempre secondo l'emittente — avrebbe accettato un piano in base al quale ritira l'esercito dalle città, libera i prigionieri politici arrestati da febbraio, accetta l'invio di osservatori e avvia un dialogo con gli oppositori. Particolari che devono però essere confermati. La Lega araba, infatti, è parsa prudente: per ora non abbiamo ricevuto risposte ufficiali.
Damasco si è sempre opposta a colloqui in territorio neutro (Il Cairo) e non va dimenticato che il regime ha affidato spesso la repressione alla milizia degli «Shabiha». Dunque non basta richiamare gli uomini in divisa. Servono concessioni vere. In tanti pensano che l'unica vera soluzione sia la partenza del tiranno: Washington, salutando l'intesa, lo ha ribadito.

Il FOGLIO - Carlo Panella : " Conti turchi "


Carlo Panella        Recep Erdogan

Roma. Una guerra sottotraccia contro la Siria; la mediazione tra l’Afghanistan di Hamid Karzai e il Pakistan di Ali Zardari; la guerra ai curdi del Pkk; il tentativo di inviare un contingente militare turco in Iraq; la vittoria della propaggine tunisina del partito di governo ad Ankara, l’Akp; e infine la vittoria della strategia palestinese all’Unesco. Queste sono le iniziative che la Turchia di Recep Tayyip Erdogan sviluppa su più fronti per marcare il suo ruolo egemonico. La più pesante è la prima, cioè la decisione di dare concretezza alla minaccia da parte del presidente, Abdullah Gül, di iniziare azioni armate contro il regime siriano di Bashar el Assad se non ferma la repressione della rivolta: l’esercito turco fornisce assistenza militare alle azioni dei disertori dell’armata siriana. La guerra turca alla Siria è ormai una realtà che annulla l’iniziativa della Lega araba – molto ambigua – che dice di aver trovato un accordo con Damasco sulla fine delle violenze. Nei giorni scorsi il ministero degli Esteri di Ankara, Ahmet Davutoglu, ha organizzato nei pressi della frontiera turco-siriana un incontro tra i giornalisti turchi e il colonnello siriano Riad al Assad, che ha disertato lo scorso agosto ed è a capo della Free Syrian Army: il colonnello siriano si è presentato con tutti gli onori dai militari turchi e ha dichiarato di disporre di un’armata di diecimila disertori, inquadrati in 12 battaglioni. Il quotidiano israeliano Haaretz ha pubblicato un’analisi sugli scontri in Siria che dimostra come essi si sviluppino lungo una linea retta che parte da Jabal Zawiya, a ridosso del confine turco e del campo dei profughi siriani che serve da santuario alla Free Syrian Army, e che arriva al nord del Libano, passando per Homs e Hama. La Free Syrian Army dovrebbe disporre anche di “santuari” nel nord del Libano, tanto che l’esercito siriano ieri ha fatto un’incursione in territorio libanese e minato la frontiera. La impressionante capacità di mobilitazione della rivolta popolare siriana (343 le vittime nelle ultime due settimane), sommata alla azione di un piccolo, ma efficiente esercito di disertori e al palese appoggio politico-militare turco, ha spinto domenica scorsa Bashar el Assad a una forte reazione e a minacciare “l’occidente” (ma in realtà si rivolgeva alla Turchia): “Volete vedere un altro Afghanistan, o decine di Afghanistan? La Siria è completamente diversa da Egitto, Tunisia, Yemen. La storia è diversa, la politica è diversa; la Siria è il fulcro della regione, è la sua linea di faglia, e se si gioca col terreno si causa un terremoto. Qualsiasi problema con la Siria metterà a ferro e fuoco l’intera regione”. Questa decisa presa di posizione ha avuto l’immediato effetto di fare ritirare le critiche iraniane a Damasco, rilanciando invece il “pieno appoggio” da parte del governo di Teheran: “Qualsiasi vuoto di potere in Siria avrebbe conseguenze imprevedibili”. Assad non si limita alle parole e contrattacca sul terreno: l’incremento delle azioni armate dei curdi del Pkk contro i militari turchi in Anatolia sono favorite – come è stato fino al 1998 – da una ripresa dell’appoggio di Damasco ai combattenti del Pkk che hanno alcuni santuari nel Kurdistan siriano. Impegnato in questa “guerra sottotraccia” con la Siria, per pilotare il regime change a Damasco (anche l’opposizione politica siriana, organizzata nel Consiglio nazionale siriano, è ospitata e finanziata oggi da Ankara), Erdogan gioca anche su altri quadranti. Ieri e oggi ha organizzato ad Ankara una conferenza per tentare una pacificazione tra Karzai e Zardari, accusato (a ragione) dal presidente afghano di tollerare complicità di settori dell’esercito pachistano con i talebani (la Turchia ha in Afghanistan un contingente di 1.750 militari). Il governo iracheno ha invece rifiutato l’offerta di Erdogan di sostituire con truppe turche il contingente americano in procinto di lasciare Baghdad. Con gli americani Erdogan sigla contratti militari – come la costruzione congiunta di droni – e si lascia anche dire dal dipartimento di stato di Hillary Clinton (attesa a Istanbul, ma rimasta in America a causa della morte della madre, ieri) di addolcire la politica nei confronti di Israele. Questo naturalmente finirà per alienare del tutto le simpatie della Repubblica islamica d’Iran nei confronti della Turchia, che soltanto fino a pochi mesi fa si faceva garante del programma nucleare di Teheran – progetto per ora quantomeno congelato.

Per inviare la propria opinione a Corriere della Sera e Foglio, cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@corriere.it
lettere@libero-news.eu

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT