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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica - La Stampa - L'Unità - Il Manifesto Rassegna Stampa
02.11.2011 Palestina - Unesco: elogi immeritati a Mahmoud Abbas
commento di A. B. Yehoshua. Cronache di Francesca Paci, Fabio Scuto, Udg, Michele Giorgio

Testata:La Repubblica - La Stampa - L'Unità - Il Manifesto
Autore: A. B. Yehoshua - Francesca Paci - Fabio Scuto - Umberto De Giovannangeli - Michele Giorgio
Titolo: «Unesco, Netanyahu taglia i fondi all’Anp - Israele punisce l’Anp per il voto dell’Unesco. Colonie e niente fondi - Le prime rappresaglie di Israele»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 02/11/2011, a pag. 18, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Unesco, Netanyahu taglia i fondi all’Anp ". Da REPUBBLICA, a pag. 1-36, l'articolo di A.B.Yehoshua dal titolo " Ma per arrivare alla pace serve un´altra strada  ", a pag. 1-36, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo " Palestina. Prove tecniche di Stato  ". Dall'UNITA', a pag. 20, l'articolo di Umberto De Giovannangeli dal titolo " Israele punisce l’Anp per il voto dell’Unesco. Colonie e niente fondi  ". Dal MANIFESTO, a pag. 8, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Le prime rappresaglie di Israele ".
Ecco gli articoli:

La REPUBBLICA - A. B. Yehoshua : " Ma per arrivare alla pace serve un´altra strada  "


A. B. Yehoshua

Questa è l'anticipazione dell'articolo che A. B. Yehoshua ha scritto per LIMES, non ancora uscito. Il pezzo è tagliato, ma registriamo che Repubblica ha preferito dare uno spazio maggiore alle critiche che Yehoshua muove ad Israele piuttosto che quelle mosse all'Anp, conosciamo il motivo.
Aspettiamo, comunque, di leggere l'articolo per intero su Limes per commentarlo.
Ecco il pezzo:

Non c´è nell´identità ebraica concetto più problematico di «patria». «Vattene dalla tua terra, dalla tua patria, dalla casa di tuo padre, verso la terra che ti mostrerò». È la prima frase che viene detta ad Abramo, il primo ebreo. Nel corso di tutta la storia ebraica, la frase è stata adottata da molti ebrei tanto come comandamento teologico, quanto come possibilità esistenziale e ideologica. Lo stesso Abramo non abbandonò solo la propria patria e la casa paterna, ma perfino la nuova Terra che gli era stata destinata, e discese verso l´Egitto. Il popolo d´Israele non si è formato nella propria patria e anche la Torah, il nucleo essenziale della Bibbia ebraica, non gli è stata consegnata in patria ma nel deserto, zona intermedia fra la diaspora e la patria cui erano diretti.

Sono pochi i popoli che hanno consolidato la propria identità fisica e spirituale in un luogo diverso dalla patria. Gli esiliati condotti in Babilonia dopo la distruzione del primo Santuario di Gerusalemme, cantavano con emozione: «Sui fiumi di Babilonia sedevamo e piangevamo ricordando Sion». Ma quando, dopo soli 40 anni il re di Persia li chiamò per tornare alla loro terra e riedificare il Santuario, solo una parte di loro accettò di tornare nella Terra d´Israele. Per i 600 anni del periodo del Secondo Santuario di Gerusalemme, circa la metà del popolo d´Israele aveva già iniziato a vagare nel mondo antico, contribuendo al progressivo indebolimento del legame fisico con la Terra d´Israele. L´identità nazionale e religiosa ebraica non rinunciò alla patria, ma riuscì a trasformarla da concreta in virtuale.
I romani non esiliarono gli ebrei dalla Terra d´Israele dopo la distruzione del Secondo Santuario di Gerusalemme. Qualsiasi storico di quel periodo può offrirne le prove. E nei 1500 anni seguiti allo sfaldamento dell´impero romano, non c´era alcun presidio di aguzzini sui confini della Terra d´Israele, ad impedire il ritorno degli ebrei alla loro terra. Il falso mito dell´esilio degli ebrei da parte dei romani, profondamente radicato nelle ragioni che ci fanno pretendere il diritto storico sulla Terra, non ha il sostegno neppure della secolare preghiera ebraica, in cui si dice: «A causa dei nostri peccati siamo esiliati dalla nostra terra» e non «siamo stati esiliati». E così, i circa due milioni di ebrei che, secondo le stime più accettate vivevano in tutta la terra d´Israele al momento della distruzione del Secondo Santuario di Gerusalemme, non vennero ammassati su navi romane e forzosamente esiliati (dove poi?), bensì lasciarono pian piano la loro patria (in particolare dopo la rivolta di Bar Kochbà nel 135) e andarono ad unirsi al gran numero di ebrei già sparsi nei Paesi del mondo antico.
Una dispersione che è viva e dinamica anche ai nostri giorni. Dall´Afghanistan all´Iran, da Bukhara all´Uzbekistan, dall´Ucraina alla Romania, alla Turchia, all´Irak, allo Yemen, al Nordafrica e a tutto il bacino Mediterraneo, alla Russia in tutte le sue varianti etnico-regionali, all´Europa occidentale e orientale e in tutto il Nuovo Mondo, e anche le lontanissime Australia e Nuova Zelanda. Dagli inizi del XIX secolo (quando in Terra d´Israele risiedevano secondo fonti storiche solo 5000 ebrei su una popolazione ebraica globale stimata in 2,5 milioni) fino ad oggi, l´80% della popolazione ebraica ha cambiato la propria nazione di residenza. Il massimo dell´orrore può essere rappresentato dal fatto che perfino una gran parte delle vittime della Shoah non è stata eliminata nei luoghi dove risiedeva ma è stata trasportata all´annientamento con la forza, in una non-patria, in campi di sterminio alienati, privi di qualsiasi carattere nazionale.
La «patria virtuale» nella quale gli ebrei si sono specializzati , non è mai piaciuta agli altri popoli. Nelle composizioni filosofiche gordoniane sul rinnovato legame con il lavoro agricolo, nelle ideologie morali brenneriane sulla totale responsabilità verso la realtà, nelle utopie herzliane e nelle ammonizioni di Jabotinsky del genere «se non eliminerete la diaspora, la diaspora eliminerà voi» - i vari padri del sionismo tentarono di convincere gli ebrei agli inizi del XX secolo a restaurare il concetto di patria che tanto si era indebolito con il passare delle generazioni. Urgeva però trovare risposta a un´altra domanda: c´era un territorio libero per realizzare questo programma?
L´unico luogo nel quale sarebbe stato possibile convincere gli ebrei a rinunciare alla propria patria virtuale per identificarsi in una patria reale, fisica, era la Terra d´Israele. Ma la Terra d´Israele era già la patria degli abitanti che vi vivevano. Potevano gli ebrei mantenere con un comando a distanza un diritto storico sulla Terra d´Israele dopo centinaia di anni in cui ne erano stati assenti? Per questo l´unico diritto morale in virtù del quale il popolo ebraico ha potuto rendere la Terra d´Israele patria ebraica reale, gli è derivato dalle tragiche necessità di un popolo che altrimenti sarebbe stato condannato a morte. E così fu. La vecchia-nuova patria salvò di fatto dai campi di sterminio centinaia di migliaia di ebrei europei.
Quindi, dato che la patria non è solo territorio ma anche un elemento primario nella identità individuale e nazionale, la divisione della Terra d´Israele in due Stati non è solo l´unica soluzione politica, ma è anche un imperativo morale. E chi si impossessa di parti di territori palestinesi come fa quotidianamente lo Stato d´Israele al di là della Linea verde, deruba e ferisce la parte più delicata dell´identità dei suoi abitanti.
L´identità patriottica dei palestinesi è quasi opposta alla nostra, e anch´essa ha bisogno di revisione. Di fronte a un popolo che ha cambiato continuamente Paesi di residenza, il concetto di patria dei palestinesi si restringe talvolta al villaggio e alla casa. I palestinesi nei campi profughi a Gaza o in Cisgiordania sono rimasti a vivere a pochi chilometri di distanza dalle case e dai villaggi dai quali sono fuggiti o sono stati allontanati dalla guerra del 1948, e di fatto si trovano ancora nella patria palestinese. Nella loro percezione non sono stati solo esiliati dal villaggio o dalla casa, ma dalla patria stessa, e per questo da 64 anni abitano nelle condizioni umilianti e paralizzanti dei campi profughi. E il diritto al ritorno alla propria patria - una richiesta legittima - si è trasformato nel diritto a tornare nella propria casa dentro Israele - che è una richiesta impossibile e non indispensabile ai fini di una soluzione pacifica.
In giorni di sconforto politico, non vale forse la pena di cercare una nuova strada per la pace, rivedendo nelle due parti concetti antiquati?

La STAMPA - Francesca Paci : " Unesco, Netanyahu taglia i fondi all’Anp "

Contrariamente a quanto scrive Paci, Gerusalemme non è una colonia. La costruzione di case nella zona est della città non è 'colonizzazione'. Gerusalemme è la capitale di Israele.
Paci scrive : "
Nonostante il recupero di Hamas, beneficiato dallo scambio tra la libertà del caporale Shalit e quella di oltre mille connazionali, il presidente palestinese resta in vetta agli indici di popolarità ". I terroristi palestinesi liberati da Israele in cambio di Gilad Shalit sarebbero 'connazionali'. Connazionali di chi? Paci quanto avrà riflettuto sul termine da utilizzare per definire i criminali? Terroristi? No, troppo forte. Miliziani? Troppo inflazionato. Militanti? Scorretto. Ecco, connazionali, sufficientemente vago e politically correct. Chi ha preso parte ad attentati contro israeliani, chi ha commesso omicidio ed era in carcere per scontare una pena ora non si può più deinire 'terrorista' o 'criminale'. Il termine corretto, lo insegna Paci, è 'connazionali'.
Contrariamente a quanto si legge nel titolo, poi, Israele non ha 'tagliato' i fondi per l'Anp. Li ha semplicemente 'congelati'.
Ecco l'articolo:


Un 'connazionale' con un razzo
Ecco l'articolo:

E adesso? Cosa s’inventerà il presidente palestinese Abu Mazen nelle ansiogene settimane da far passare tra l’appena incassato riconoscimento dell’Unesco e l’atteso pronunciamento del Consiglio di Sicurezza Onu? La risposta israeliana all’abile mossa dell’avversario è stata tempestiva e spiazzante. Ieri sera, al termine della riunione d’emergenza con i sette ministri principali della coalizione al potere, il premier Bibi Netanyahu ha annunciato che il suo governo fermerà temporaneamente il trasferimento di fondi all’Autorità di Ramallah. Scacco matto o quasi. Almeno finché non sarà chiaro quanto avanti i palestinesi della Cisgiodania possano spingersi nel puntare sulla vittoria diplomatica (e simbolica) tutti i concreti traguardi economici raggiunti negli ultimi anni.

Israele insomma contrattacca. E non solo con la minaccia di bloccare all’aeroporto Ben Gurion le prossime delegazioni Unesco e con le ruspe che, nella consueta logica locale dell’occhio per occhio, sono appena state autorizzate a spianare la costruzione di 2000 nuove abitazioni per coloni a Gerusalemme Est, la parte araba della Città Santa. Ora, su suggerimento del ministro delle Finanze israeliano Yuval Steinitz, si passa direttamente al portafoglio, penultima scialuppa di salvataggio per l’eternamente sotto esame Abu Mazen prima del riconoscimento internazionale.

Netanyahu è consapevole del successo d’immagine incassato dalla metà del fronte nemico votatosi al soft power. Nonostante il recupero di Hamas, beneficiato dallo scambio tra la libertà del caporale Shalit e quella di oltre mille connazionali, il presidente palestinese resta in vetta agli indici di popolarità. Tanto che, si mormora, starebbe pianificando l’assalto diplomatico ad altre 16 agenzie delle Nazioni Unite tra cui l’International labour organization, l’Organizzazione mondiale della Sanità, l’Alto Commissariato per i rifugiati, l’Unione internazionale delle telecomunicazioni. Secondo la prestigiosa rivista Foreign Policy se la promozione dell’Unesco dovesse rispecchiare percentualmente il voto prossimo venturo del Consiglio di Sicurezza il risultato sarebbe pressappoco di 9 Paesi favorevoli, 2 contrari e 4 astenuti, uno scenario che costringerebbe Washington a porre il veto sacrificando l’immagine americana tanto faticosamente recuperata (almeno in parte) nel mondo arabo. Una decisione che, a detta dell’ex senatore democratico Tim Wirth, potrebbe minare seriamente il soft power del presidente Obama con conseguenze pratiche, per esempio, sull’influenza statunitense sull’International Atomic Energy Agency o sulla World Intellectual Property Organization.

«Israele lavora per la distruzione del processo di pace» attacca ora Ramallah rovesciando sull’avversario l’accusa di infrangere lo spirito bilaterale degli accordi di Olso mossale dallo stesso premier Bibi Netanyahu all’indomani del ricorso all’Onu. Sullo sfondo delle reciproche recriminazioni si profila lo spettro di una nuova guerra a bassa intensità che, sostengono i più dietrologi tra i palestinesi, potrebbe essere cominciata ieri mattina con il blackout del network telefonico Paltel, un presunto attacco hackeristico contro la rete Internet e i cellulari di Cisgiordania e Gaza.

Nessuna delle due parti sembra al momento intenzionata alla retromarcia. Di fronte al discorso newyorchese di Abu Mazen, il 23 settembre scorso, il ministro della Difesa israeliano Barak aveva vaticinato «uno tsunami diplomatico», una sorta di cataclisma incombente sul proprio Paese nel caso non fossero ripartiti i negoziati. Gli sviluppi delle ultime ore sembrano confermare le peggiori previsioni con un campo di battaglia insanguinato e senza vincitori.

La REPUBBLICA - Fabio Scuto : " Palestina. Prove tecniche di Stato  "


Mahmoud Abbas con Yasser Arafat

L'articolo di Scuto descrive lo Stato palestinese gestito dall'Anp, un non-Stato, per ora, ma ricco, basso tasso di disoccupazione, hotel di lusso, centri ospedalieri di alto livello. Un idillio...manca qualcosa. Gaza. Gaza non farà parte del futuro Stato palestinese? E Hamas? Scuto quasi non li menziona se non in queste poche righe : " Diversa la situazione a Gaza, dove Hamas controlla tutto dal 2007 e dove proliferano gruppi e gruppetti estremisti sempre ben armati. Anche a un livello superficiale l´Anp non sembra in grado di governare la Striscia, né Hamas è disposto a cedere i suoi poteri e rinunciare alle sue forze di sicurezza. Il destino di Gaza è una delle grandi incognite. ". A Gaza proliferano gruppi estremisti. Scuto non specifica quale sia la posizione di Hamas al riguardo, perchè è ovvia. A Gaza non prolifera nulla senza il benestare di Hamas. Il destino della Striscia, comunque, viene liquidato come 'grande incognita' e questo deve bastare al lettore.
Ecco l'articolo:

«Abbiamo una patria che è fatta solo di parole», scriveva Mahmoud Darwish, il grande poeta palestinese scomparso un paio di anni fa. Oggi forse quelle parole amare, tristi e senza una speranza nel futuro se non l´ostinazione estrema, non sarebbero più scritte. Fra i marosi della diplomazia internazionale, passo dopo passo, sta prendendo lentamente forma la Palestina, ormai più che un cantiere politico o una speranza appesa a un angolo del cuore per quattro milioni di palestinesi. Prima la richiesta all´Onu di Abu Mazen per il riconoscimento dello Stato lo scorso 23 settembre, su cui a fine mese si pronuncerà il Consiglio di Sicurezza dell´Onu.

Poi lunedì la battaglia vinta all´Unesco che ha votato a stragrande maggioranza l´ingresso della Palestina come Stato membro, ora l´annuncio che entro qualche settimana ci sarà richiesta di adesione ad altre 16 agenzie delle Nazioni Unite, prima fra tutte l´Oms, dove i palestinesi vorrebbero sedere a pieno diritto.
Certo agli americani e agli israeliani "la scorciatoia dell´Onu" non è piaciuta e vi si sono opposti con ogni mezzo. Ieri sera il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato dure ritorsioni contro l´Anp come il blocco del trasferimento delle tasse pagate per le merci destinate ai palestinesi (60 milioni di dollari al mese) e l´intensificazione nella costruzione di insediamenti ebraici nei Territori occupati con 2000 nuove case sui terreni oggetto della (ormai ex) trattativa di pace sostenuta da Stati Uniti e Europa. I palestinesi erano coscienti che lo "smacco dell´Unesco" non sarebbe rimasto senza risposta ma sembrano decisi ad andare avanti, la strada del riconoscimento all´Onu come Stato è considerata quella giusta. «Forse non siamo ancora davvero uno Stato, ma possiamo dire che i lavori sono in corso», dice convinto Salah Khalil, il libraio che sta nel centro di Ramallah , «potremmo chiamarle prove tecniche per uno Stato, basta guardarsi attorno per vedere come in questi ultimi cinque anni la situazione sia completamente cambiata».
L´atmosfera ieri nella Muqata, il palazzo presidenziale che era la sede del governatorato britannico ai tempi della Palestina mandataria, era colma d´orgoglio «Gli israeliani dovevano essere i primi a congratularsi con noi, invece…», dice Saeb Erekat, il capo dei negoziatori palestinesi, mentre infila in una cartella i telegrammi di complimenti arrivati a Ramallah dai quattro angoli del mondo.
«Quella all´Unesco è stata la prova del riconoscimento internazionale del diritto del nostro popolo a uno Stato indipendente», osserva nel suo ufficio al secondo piano Nabil Shaath, ex premier e ex ministro degli Esteri, ora consigliere del presidente Abu Mazen. Poi si alza e chiude la finestra per allontanare il fragore dei caterpillar che lavorano sulla collina davanti alla Muqata perché la capitale de facto della Palestina è un cantiere incessante, una frenesia edilizia sta completamente trasformando la skyline della città. Anche perché Ramallah è parte di quel 40 per cento della Cisgiordania dove i palestinesi possono costruire senza bisogno dei permessi israeliani. Spuntano grattacieli avveniristici in vetro e cemento destinati alle Banche arabe che hanno aperto qui sedi di "primo livello", magazzini, centri commerciali e centinaia di nuovi palazzi destinati ad abitazioni. Fervono lavori anche nella Muqata che ha perso quell´aria di fortino sotto assedio e sta per diventare un vero e proprio palazzo presidenziale con giardini e fontane. Il complesso è stato ampliato e ospiterà presto sette ministeri e l´ufficio del primo ministro. Già completato invece il grattacielo per Banca centrale palestinese. Nuove strade, una circonvallazione per aggirare il centro sempre assediato dalle auto. Guardando i titoli della Borsa di Nablus che scorrono sul maxi schermo su un lato di Piazza Manara si direbbe che la Borsa palestinese ha più successo di quelle in altre parti del mondo arabo. Ramallah sta assumendo sempre di più il ruolo destinato a Gerusalemme Est nei piani e nel cuore dei leader palestinesi. Per ora è la capitale futura della Palestina.
Questo boom edilizio e economico è uno dei segni più evidenti della crescita economica della Cisgiordania che è oltre l´8 per cento, la disoccupazione è scesa cento, grazie alla generosità dei Paesi donatori ma anche alla stabilità di questi ultimi cinque anni. Il tasso di violenza è crollato e le autorità israeliane hanno aumentato le tipologie e le quantità di merci che è possibile importare, ma le decine di check point di "sicurezza" sono ancora l´ostacolo maggiore a un vero sviluppo economico. Ma la questione scottante resta: l´Anp è in grado di gestire la transizione verso uno Stato reale?
Molto è stato detto e scritto sulla crescita economica, meno sulla effettiva capacità di governare. Prendiamo i cambiamenti nel sistema giudiziario. A differenza di quando c´era Yasser Arafat, la polizia palestinese non può più effettuare fermi arbitrari, detenere una persona senza portarla davanti a un giudice che ne convalidi l´arresto. E il numero dei giudici - grazie a un programma sostenuto dall´Unione Europea - è in aumento. I sondaggi di opinione indicano che il senso di sicurezza nelle grandi città è cresciuto e il miglioramento è sensibile anche nelle strade al visitatore distratto. Si esprime nella forte diminuzione della criminalità e nelle chiamate dei cittadini alla polizia palestinese. I civili armati, che erano una presenza regolare quasi a ogni angolo di strada, sono per la maggior parte scomparsi, alcuni arrestati dall´esercito israeliano, altri dalla sicurezza palestinese.
L´Onu, la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale hanno annunciato all´inizio di quest´anno che l´Anp è in grado di gestire uno Stato, con strutture moderne e dinamiche. Certo tutte queste istituzioni hanno esaminato solo la Cisgiordania, dove l´Autorità nazionale palestinese mantiene uno stretto controllo grazie ai 45mila membri delle sue varie forze di sicurezza. Diversa la situazione a Gaza, dove Hamas controlla tutto dal 2007 e dove proliferano gruppi e gruppetti estremisti sempre ben armati. Anche a un livello superficiale l´Anp non sembra in grado di governare la Striscia, né Hamas è disposto a cedere i suoi poteri e rinunciare alle sue forze di sicurezza. Il destino di Gaza è una delle grandi incognite.
Lo sforzo principale del premier dell´Anp Salam Fayyad - ex dirigente della Banca Mondiale - si è concentrato sulla Cisgiordania, con infrastrutture e sanità al primo posto. L´Anp, il cui bilancio di quest´anno è di quattro miliardi di dollari (di cui uno di aiuti esteri), ha investito una grande quantità di denaro per ristrutturare scuole e aprirne di nuove, oltre a pavimentare di tutte le città. Ramallah oggi può vantare un centro di cardiologia di primo livello, un ospedale pediatrico e una banca del sangue, che prima non esisteva. C´è anche la Palestine Football Association, ospitata in un palazzetto moderno non distante dal Parlamento che riunisce le 12 squadre che partecipano alla Premier League della Palestina. Il suo presidente? Un ex guerrigliero che è stato anche capo dei servizi segreti palestinesi ma che ora si è convertito alla "non violenza". «Abbiamo una terra che è nostra e un presidente», mi spiega convinto il gestore dello "Stars&Bucks Café" che si affaccia su Piazza Manara, «istituzioni, strutture, scuole, università, una nazionale di calcio, il nostro inno nazionale. Uno Stato lo siamo già da tempo, solo qualcuno non l´ha ancora capito».

L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Israele punisce l’Anp per il voto dell’Unesco. Colonie e niente fondi "


Bibi Netanyahu

Umberto De Giovannangeli accosta fatti che non sono collegati fra loro. L'ingresso dello Stato palestinese nell'Unesco e la decisione di Israele di autorizzare l'esercito a intervenire a Gaza contro Hamas e i suoi razzi.
Un ipotetico intervento militare di Israele nella Striscia avrebbe a che vedere esclusivamente con la politica di Hamas che lancia quotidianamente razzi qassam contro la popolazione israeliana. Non c'entra nulla con il riconoscimento all'Unesco. Nemmeno la costruzione dei 2000 alloggi a Gerusalemme è collegato, era una misura già approvata in precedenza e non si capisce, per altro, per quale motivo le due cose siano state associate, nè lo sdegno suscitato. Gerusalemme è la capitale di Israele ed è nei diritti di uno Stato quello di costruire nuovi appartamenti nella propria capitale.
Ecco l'articolo:

La «rappresaglia» è iniziata. Il primoministro israeliano Benjamin Netanyahu ha deciso di accelerare la costruzione di insediamenti in varie parti della Cisgiordania. Non solo. Israele fermerà temporaneamente il trasferimento di fondi all'Autorità nazionale palestinese dopo l'adesione all'Unesco. La decisione giunge al termine di una riunione straordinaria del Gabinetto ministeriale convocata per rispondere alla «provocazione » di Ginevra. Nel comunicato diffuso dopo la riunione del governo si specifica che Netanyahu intende accelerare sulla costruzione di circa duemila alloggi in Cisgiordania e nell'area di Gerusalemme. In particolare, 1.650 alloggi verranno costruiti a Gerusalemme Est mentre il rimanente negli insediamenti di Maale Adunim e di Efrat, secondo quanto reso noto da fonti governative. Per ora nessuna decisione sull' ipotesi di annullamento dei benefici concessi ad alcuni vip palestinesi di passare i checkpoint con lo Stato ebraico. Durissima la reazione palestinese: l’accelerazione impressa da Israele alla costruzione di insediamenti «e una decisione che accelera la distruzione del processo di pace», dichiara NabilAbuRudeinah, portavoce del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen). L’Anp, aggiunge Abu Rudeinah, considera «disumana » la decisione del governo israeliano di congelare il trasferimento di fondi ai palestinesi.
CONTROMISURE
«Non resteremo con le braccia conserte », aveva avvertito l’altro ieri in Parlamento Netanyahu, che ieri ha convocato a Gerusalemme i sette ministri principali del governo per definire una linea di azione nei confronti sia dell'Unesco sia dell'Anp. Alla Knesset, Netanyahu aveva sostenuto che questo insieme di attività del presidente Abu Mazen rappresenta una infrazione degli accordi di Oslo, in quanto sono tutte ispirate da un carattere unilaterale. Prima della seduta ristretta del governo, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman ha ribadito che è giunto il momento di troncare i rapporticon l'Anp. Il ministro delle Finanze, Yuval Steinitz, ha proposto di congelare i versamenti che Israele fa di norma sia all' Unesco che all'Anp. E se l'Autorità palestinese crollasse, o forse smantellata dallo stesso Abu Mazen? La risposta, in forma anonima, è giunta da un ministro citato dalla radio militare: Abu Mazen, a suo giudizio, sembra puntare versouno Stato palestinese indipendente, ostile ad Israele e non vincolato da legami di reciprocità. «E se questa è la situazione, non ci rattristeremmo troppo per la sua caduta», ha concluso. Ma a quanto pare Netanyahu preferisce muoversi con cautela. Una delle idee sottopostegli è il rilancio di progetti edili ebraici a Gerusalemme est. Per quanto riguarda l'Unesco, Israele - secondo la stampa - potrebbe negare il permesso d'ingresso a future delegazioni.
VENTI DI GUERRA
Dal «fronte-Unesco» a quello di Gaza. Il governo israeliano ha autorizzato l’esercito a intraprendere i passi necessari per fermare il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza, tra cui un'operazione di terra. Lo ha fatto sapere un ufficiale delle forze armate dello Stato ebraico in seguito a un incontro del Gabinetto in cui i ministri hanno discusso del recente aumento di lanci di razzi da Gaza. Il governo, ha spiegato l’ufficiale, ha approvato operazioni militari che vanno da attacchi chirurgici contro militanti palestinesi fino a un'ampia offensiva di terra. I ministrinon hanno ordinato un attacco di terra, ma hanno autorizzato i militari ad agire a seconda dell'intensità degli attacchi dei militanti palestinesi. L’ufficiale ha parlato a condizione di anonimato perché non era autorizzato a diffondere la notizia. Ieri mattina Israele aveva acconsentito a ritardare le operazioni militari contro la Striscia di Gaza e dato tempo all' Egitto fino alla mezzanotte di ieri per provare a raggiungere un accordo di cessate il fuoco informale fra le parti. L'obiettivo della mediazione egiziana sarebbe quello di convincere i militanti palestinesi a fermare i lanci di razzi verso il sud di Israele.

Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Le prime rappresaglie di Israele "


Michele Giorgio

Come Udg, anchye Giorgio cerca di convincere il lettore della crudeltà di Israele accostando l'ingresso palestinese nell'Unesco, alla costruzione di nuove case a Gerusalemme e all'autorizzazione a un ipotetico intervento a Gaza. Giorgio, però, non si accontenta e aggiunge una menzogna. Accusa, nemmeno troppo velatamente, Israele di essere responsabile dell'attacco informatico al colosso delle telecomunicazioni palestines  : "In ogni caso Abu Mazen e i suoi collaboratori per ilmomento sembrano non temere la rappresaglia israeliana – forse già cominciata con l’attacco lanciato ieri da hacker al più grande network palestinese che ha lasciato decine di migliaia di persone senza internet e telefono ". Poveri palestinesi, senza internet e telefono per un giorno. Ma in Cisgiordania non si moriva di fame per colpa dell'occupazione israeliana che strozza l'economia palestinese?
Ecco l'articolo:

Benyamin Netanyahu e i suoi principaliministri ieri sono rimasti riuniti per ore. Sul tavolo di lavoro del gabinetto di sicurezza israeliano non c’era solo l’avvio di una nuova devastante offensiva di terra contro Gaza - dopo l’escalation dei giorni scorsi –, ma anche il punto sulla reazione al voto di lunedì alla Conferenza generale dell’Unesco che ha ammesso la Palestina nell’agenzia dell’Onu per la cultura, la scienza e l’istruzione. «Israele rifletterà molto bene, sia a livello diplomatico che politico, tenendo conto dei suoi interessi», ha avvertito prima della riunione il vice-ministro degli esteri Danny Ayalon. Dopo la riunione il governo in un comunicato ha annunciato le prime ritorsioni: accelerare la costruzione di insediamenti ebraici in Cisgiordania e di 2000 alloggi solo a Gerusalemme est; congelare il trasferimento di fondi (palestinesi) ai palestinesi: yba decisione che l’Anp ha definito «disumana». Washington ha già fatto la sua parte annunciando subito la sospensione di un versamento di 80 milioni di dollari destinato all’Unesco: una misura automatica, visto che due leggi approvate negli anni ’90 dagli Usa, da sempre alleato fedele di Israele, vietano espressamente il finanziamento di qualsiasi organizzazione Onu che accetti la Palestina comemembro a pieno titolo. A ruota il Canada, «non contento» del riconoscimento della Palestina e che attraverso il suo ministro degli esteri, John Baird, ha fatto capire che taglierà i 10 milioni di dollari che passa annualmente all’agenzia dell’Onu. «E’ molto negativo che gli Stati uniti abbiano deciso di privare l’Unesco del loro contributo », ha commentato la Russia, sottolineando che «il conseguimento da parte della Palestina dello status di membro all’Unesco era una richiesta legittima del governo di Ramallah». Ma ora si guarda più di tutto alla ritorsione di Israele, che potrebbe materializzarsi al più presto, se non avranno successo gli inviti alla calma che, si dice, la Casa bianca e il Dipartimento di stato starebbero lanciando al premier israeliano. Il primo passo sono stati «l’accelerazione» di nuove case e il congelamento dei dazi doganali e di altre tasse che Israele, come prevedono gli accordi di Oslo del ’93, raccoglie ai valichi di frontiera e ai porti per conto dell’Autorità nazionale palestinese (Anp): 40-50 milioni di dollari al mese vitali per la sopravvivenza del governo del premier palestinese Salam Fayyad. D’altronde il punto sul quale battono Netanyahu e il suo ministro degli esteri Avigodor Lieberman è il presunto «abbandono» di Oslo da parte del presidente dell’Anp AbuMazen per seguire la strada delle «mosse unilaterali ».Ma si prospettano anche restrizioni dei movimenti degli stessi esponenti dell’Anp, la chiusura più ermetica delle aree autonome e forse anche la revoca dei permessi di lavoro a migliaia di palestinesi. «Noi non rifiutiamo il negoziato ma Israele deve prima interrompere totalmente le costruzioni nelle colonie nelle nostre terre», ha ribadito qualche giorno fa Abu Mazen che in una intervista è arrivato addirittura ad affermare che fu «un errore» da parte degli arabi rifiutare il piano votato dall’Onu nel 1947 per la spartizione della Palestina in due stati. Una dichiarazione che ha fatto saltare sulla sedia non pochi palestinesi.Ma a Netanyahu non basta. In ogni caso Abu Mazen e i suoi collaboratori per ilmomento sembrano non temere la rappresaglia israeliana – forse già cominciata con l’attacco lanciato ieri da hacker al più grande network palestinese che ha lasciato decine di migliaia di persone senza internet e telefono - e assicurano che proveranno ad ottenere l’ammissione della Palestina in una dozzina di agenzie dell’Onu e di organizzazioni internazionali. Il prossimo obiettivo è l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Il ministro della salute Fathi Abu Moghli ha già preso contatto con i funzionari dell’Oms in Cisgiordania. Subito dopo verrà l’Agenzia atomica internazionale. L’attenzione però potrebbe presto spostarsi su Gaza. Il ministro israeliano Silvan Shalom ha avvertito che il governo è vicino «ad una decisione drammatica che metterà fine al bombardamento del sud del paese». Potrebbe perciò scattare una seconda operazione «Piombo fuso» contro Gaza dopo l’escalation cominciata nel weekend con l’uccisione di cinque militanti del Jihad colpiti dall’aviazione israeliana in un campo di addestramento nel sud diGaza e seguita dal lancio di decine di razzi e colpi di mortaio verso il territoriomeridionale di Israele. Negli ultimi giorni i raid aerei hanno ucciso 12 palestinesi; i razzi lanciati da Gaza hanno ferito mortalmente un israeliano ad Ashqelon. «La responsabilità è soltanto di Hamas... se i lanci di razzi non si fermeranno, colpiremo direttamente i leader dei terroristi e le loro infrastrutture», ha minacciato Shalom. Lamediazione egiziana ieri sarebbe riuscita a bloccare Israele, ma solo per il momento

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